La Madonna dei Pellegrini di Caravaggio

Articolo a cura del Dott. Elio Barbati
La Caravaggio-mania, che pure è presente ai giorni nostri, si diffuse come un’epidemia, un’onda anomala che travolse tutti già prima della sua morte, nel 1610. Oggi è ancora palpabile sia nelle lunghe file di visitatori presenti alle sue mostre, sia nella enorme quantità di pubblicazioni che ogni anno esplora nuovi argomenti e fa scoperte. All’inizio del ‘600 era diventato un vero e proprio
fenomeno di mercato.


Non si può comprendere appieno la grande portata della straordinaria rivoluzione
caravaggesca, senza premettere alcune nozioni generali. Caravaggio fu un pittore innovativo ed
eversivo nei confronti delle iconografie tradizionali sacre, capace di inventare ogni volta soluzioni
compositive completamente nuove e sconosciute, rompendo gli schemi consolidati dell’epoca, che
spiazzarono un pubblico abituato a temi standardizzati. Per inquadrare la reale portata della
rivoluzione caravaggesca nel contesto artistico del suo tempo, bisogna metterla a confronto con i
precedenti esempi del ‘500.

La “Madonna dei pellegrini” è forse uno dei dipinti meno noti del grande lombardo, ma è
l’emblema del suo spirito libero e fortemente innovativo. La si può ammirare entrando liberamente
nella chiesa di Sant’Agostino a Roma, nei pressi di piazza Navona; siamo nel quartiere chiamato di
“Campo Marzio” ove il pittore visse e lavorò per circa 10 anni.

Il quadro è una pala d’altare e lo si trova nella prima cappella di sinistra, una cappella che
Ermete Cavalletti aveva acquistato alla fine del ‘500. Nativo di Bologna, il Cavalletti era un
funzionario dello Stato pontificio, notaio e computista della Camera Apostolica, che morì nel 1602-
1603.

Fu proprio lui a commissionare il dipinto al Caravaggio? O fu la moglie Orinzia, in memoria
del marito, forse per esaudire un suo desiderio? Ciò che è noto è che Ermete era particolarmente
devoto alla Madonna di Loreto e che, nella cittadina marchigiana, si era anche recato in
pellegrinaggio. Ma poteva il notaio pensare di chiedere, a un pittore così rivoluzionario, di eseguire
un quadro religioso usuale, nel solco della tradizione? O, non essendo molto esperto nella pittura,
pensò di affidarsi all’artista più in voga a Roma in quel momento? Chi, guardando per la prima
volta questa scena, potrebbe pensare a un dipinto religioso, ricordando la consueta iconografia
delle pale d’altare dell’epoca?

Pala Colonna (Raffaello) - Wikipedia

Raffaello Sanzio, La Pala Colonna, olio su tavola cm.242×169, c.1503-1505 (Metropolitan Museum di New
York).
RAFAEL - Madonna Sixtina (Gemäldegalerie Alter Meister, Dresde, 1513-14. Óleo sobre lienzo, 265 x 196 cm).jpg
Raffaello Sanzio, La Madonna Sistina, olio su tela cm.265×196, c.1513-14 (Gemäldegalerie di Dresda).

Per valutare appieno la portata straordinariamente rivoluzionaria della pittura di Caravaggio, una
pittura non più legata al consueto cliché religioso, per comprendere quanto i suoi quadri possedessero una straordinaria, spiazzante novità, è necessario conoscere la pittura che lo
precedette. Perciò, nelle figure 2 e 3, possiamo osservare due pale d’altare, opera del “divin
Raffaello”, l’artista osannato a Roma in vita e anche da morto, a cui tutti gli artisti si ispiravano. Le
figure successive, invece, servono per riportare alla mente quale fosse la consuetudine con cui si
raffigurasse il tema della traslazione della casa della Madonna di Loreto.

State et tenete traditiones: Novena alla festa della Traslazione della  Santa Casa della Beata Vergine Maria a Loreto

Francesco Foschi, Traslazione della Santa Casa, (Palazzo Apostolico, Santuario della Santa Casa,
Loreto).

La Santa Casa e il volo degli Angeli da Nazareth a Loreto - Il Corriere  Apuano

Classico esempio di un dipinto che narra della traslazione della Santa Casa trasportata dagli angeli.

La leggenda narra che tale traslazione sia stata un prodigio operato dagli angeli che, in volo,
trasportarono la Santa Casa, quella in cui aveva abitato la Madonna, da Nazareth a Loreto [ 1 ] e in
tal modo venne più volte raffigurata. In essa nacque Maria Santissima, lì avvenne la visita
dell’Arcangelo Gabriele e lì si compì il mistero dell’Incarnazione. Secondo la tradizione, questa
Santa Casa venne trasportata miracolosamente dagli Angeli a Loreto ove fu poi costruita una
grande basilica, meta di frequenti pellegrinaggi.

All’epoca si raccontava anche che San Nicola da Tolentino, un santo scomparso nel 1305,
avesse proprio visto gli angeli mentre trasportavano a Loreto la Santa Casa della Madonna.
Prima di Caravaggio questo tema sacro aveva avuto svariati esempi pittorici. La tradizione
iconografica vedeva la Vergine col Bambino in trono, seduta sul tetto della Santa Casa che gli
angeli portavano in volo a Loreto, come nel dipinto di Bernardino Campi antecedente al 1599
(Pinacoteca Volpi di Como).

Ma il quadro di Caravaggio mostrava tutt’altro, stravolgendo il racconto; non ci sono né casette trasportate in volo, né angeli svolazzanti né Madonne sedute in
trono, ma una popolana, vestita semplicemente, con in braccio un bambino cresciutello e due
pellegrini stanchi davanti a una povera casa. Qui, miracolosamente, appare la Madonna,
ricompensandoli della loro fede.

Gli storici affermano che la casa di Maria venne portata a Loreto su iniziativa della nobile famiglia Angeli.
La veridicità della casa è stata comunque comprovata negli anni da numerose prove storiche e
archeologiche che hanno attestato la sua origine palestinese, risalente ai tempi di Gesù.

Utensile e strumento (Parte prima) - LUCA SACCOCCIO

Annibale Carracci, Traslazione della Santa Casa di Loreto, tela cm.260×150, c.1605 (Chiesa di S. Onofrio,
Roma).
Annibale, molto stimato anche dal Caravaggio, era il famosissimo e principale interprete a Roma
della pittura bolognese.
Antonio Liozzi - Wikiwand
Antonio Liozzi (1730-1807), Madonna di Loreto e San Nicola, c.1780

Fedele ai suoi principi di pittura rigorosamente realistica, ripresa dal vero, Caravaggio dipinse i
due pellegrini inginocchiati, le mani giunte in preghiera, con i vestiti laceri, la cuffia di lei sdrucita e,
in primo piano, quei piedi di lui nudi, sporchi e gonfi, segnati dal cammino e dalla sporcizia della
strada, ma indici di una umanità vera, reale, e non idealizzata e irreale.
Per il volto e la figura slanciata della Madonna il maestro usò come modella Lena (Maddalena
Antognetti, che comparirà anche in altri dipinti del pittore) e il suo bambino. Ma all’epoca, a Roma,
la donna era ben conosciuta perché, oltre a essere l’amante del pittore, era una cortigiana d’alto
bordo [ 2 ] ben nota in città perché frequentava un angolo della centrale piazza Navona.

Oltre alla notorietà di Lena nel quartiere, fece scalpore anche la posa della donna, appoggiata a
una porta, in un atteggiamento mai visto per una figura sacra, una figura non più idealizzata ma
viva, reale, esistente, con le gambe incrociate, china verso i due pellegrini. Inoltre si può anche
sottolineare quanto sia stato sensuale, per l’epoca, la raffigurazione della gamba e del ginocchio di
Lena modellati dal sottile vestito, seducente esempio di bellezza femminile.

Ma il pittore sembra piuttosto che abbia voluto esaltare la semplicità e la sincerità della fede
popolare impersonata da due pellegrini che nulla posseggono o possono dare se non la loro fede,
il loro amore, la loro devozione. L’ambientazione è familiare, terrena, come a simbolizzare che la
divinità possa manifestarsi sulla terra e tutto possa avvenire in nome della fede, anche una
apparizione, una visione mistica.

In quei primi anni del ‘600, a Roma, le prostitute erano numerose e giovani, al servizio, per così dire, sia di
nobili, sia di facoltosi cardinali che di ricchi mercanti. Lena faceva parte di una élite di ragazze comprendente
anche Fillide Melandroni e Domenica Calvi, detta Menica, giovani donne che più volte il Caravaggio utilizzò
come modelle. Proprio per Lena, una sera d’estate del 1605, il pittore aggredì il notaio Mariano Pasqualone,
finendo poi in galera.

Giovanni Baglione [ 3 ] nella biografia su Caravaggio, scrisse: “Nella prima cappella della chiesa
di Loreto o di Sant’Agostino, alla manca, fece una Madonna di Loreto ritratta dal naturale con due
pellegrini, uno co’piedi fangosi di deretano, e l’altra con una cuffia sdrucita, e sudicia di deretani e
per queste leggeriezze in riguardo delle parti, che una gran pittura haver dee, da’ popolani ne fu
fatto estremo schiamazzo”.

Non poteva essere altrimenti; quando il quadro fu posto sull’altare fu
fatto dai preti e da’popolani estremo schiamazzo. E certamente fecero scalpore, se non scandalo,
il riconoscibile volto di Lena e quei piedi nudi e sporchi in primissimo piano, oltre il modo in cui era
stato stravolto il racconto biblico, senza angeli in volo e con una casa cadente ove l’intonaco è
scrostato, lasciando i mattoni a vista. E la Madonna non solo aveva il volto di una prostituta, ma
era raffigurata come una donna in abiti da popolana, una donna in carne e ossa, senza manti e
cieli azzurri ma solo con una sottile aureola. L’immagine del divino ne risultava stravolta.

Verosimilmente qui il pittore voleva ribadire l’adesione alla povertà assoluta della Sacra Famiglia,
secondo quegli insegnamenti di san Filippo Neri che lui seguiva.
E naturalmente il Baglione non mancò di sottolineare la “volgarità” con cui la scena e i
personaggi, secondo lui, erano stati rappresentati per una pala d’altare da esporre in una chiesa,
alla vista di un vasto pubblico e non in una collezione privata.

Parimenti scrisse del dipinto, pochi anni dopo, Giovanni Pietro Bellori: “Seguitò a dipingere
nella Chiesa di Santo Agostino l’altro quadro della cappella de’ Signori Cavalletti, La Madonna in
piedi col fanciullo fra le braccia in atto di benedire: s’inginocchiavo avanti due pellegrini co’ le mani
giunte; e il primo di loro è un povero scalzo li piedi, e le gambe, con la mozzetta di cuoio, e l’
bordone appoggiato alla spalla è accompagnato da una vecchia con una cuffia in capo […]. In
Santo Agostino si offeriscono le sozzure de’ piedi del Pellegrino”.

Il critico non può perdonare al
pittore l’estrema povertà, gli abiti sdruciti, i piedi sporchi del pellegrino posti in primissimo piano, la
povera cuffia della donna.
Eppure tutto, in quel quadro, si avvicinava alla realtà, con la Madonna vestita senza sfarzo, una
casa nient’affatto nobiliare come doveva essere quella di Nazareth, dei pellegrini che, stanchi e
laceri dopo tanta fatica, inginocchiati davanti alla casa sacra, avevano la grazia di un’apparizione
divina. L’attenzione di Caravaggio nel raffigurare una realtà non fittizia, ma vera, rivoluzionò il
modo di concepire la pittura. Ma da sempre il rapporto con poveri e anziani, nella sua opera, fu
attento, rispettoso e denso di comunicazione affettiva.

È bene osservare quanto, più volte, il Caravaggio abbia ribadito l’adesione alla povertà assoluta della Sacra Famiglia, che la Chiesa
avrebbe dovuto osservare. La sua pittura, dai risvolti umani profondi, qui ridà onore e dignità a due
poveri viandanti e con loro a tutta una schiera anonima di umili credenti. È quanto rivendicavano
quei piedi pieni di terra in primo piano, piedi simili a quelli di ogni altro viandante lacero che aveva
percorso il faticoso cammino. La devozione di quei pellegrini era simile a quella di ogni altro
cristiano.

Ma la grande novità espressiva di Caravaggio sta nel come il mondo divino si offra a
un’umanità credente che ha i piedi sporchi e i vestiti laceri, non ad una umanità idealizzata e
irreale. La sua pittura, che prendeva sì gli occhi ma che toccava anche il cuore, espresse i
sentimenti e gli ideali della chiesa cosiddetta popolare, era infatti una pittura che non seguiva le
aspirazioni trionfalistiche della corte vaticana ma proponeva le espressioni basilari dei sentimenti
Giovanni Baglione (Roma 1566-1644), forse il più acerrimo nemico di Caravaggio, visse da vicino le
vicende del Merisi in quanto attivo contemporaneamente nella Roma dell’epoca.

Fu un discreto pittore che, dopo un inizio in ambito tardo-manierista (con commissioni anche da papa Sisto V), tentò di aggiornare il
suo stile imitando i modi di Caravaggio, evidenziando però una comprensione solo superficiale ed esteriore
(vedi “I Santi Pietro, Paolo e Sant’Andrea” per Santa Cecilia in Trastevere e “L’Amore divino che vince il
terreno” ove i prestiti caravaggeschi sono talmente palesi da far pensare a pedissequa imitazione). Per
queste ragioni il pittore fu oggetto della feroce e irridente satira del Merisi e dei suoi amici, alla quale il
Baglione reagì intentando un processo per diffamazione.

Oggi, anziché per la sua pittura, è più noto per il
celebre processo, che poi perse; curiosamente (immagino soprattutto per lui) oggi è ricordato quando è
menzionato in relazione al suo nemico. Allontanatosi dai modi caravaggeschi, il Baglione aderì a diverse
correnti stilistiche, per poi rientrare nell’orbita della pittura accademica, facendosi paladino delle idee dello
Zuccari. È ricordato soprattutto come biografo e storiografo per “Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal
pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a tempi di Papa Urbano VIII” del 1625, pubblicato nel ’42,
ricchissimo di notizie e di osservazioni critiche importanti, che furono messe in discussione già dai
contemporanei.

Popolari, nel solco di quella religiosità pauperistica che il pittore seguiva sull’onda di una Chiesa
povera, come lo era nei primissimi secoli.
Caravaggio aveva creato un’immagine nuova, lontana da ogni schema tradizionale. La sua
sensibilità religiosa lo spingeva alla restituzione della dignità umana, col rifiuto di “edulcorare” la
realtà, ma col desiderio di accettarla e ritrarla così com’era, nelle sue debolezze, nelle sue
meschinità, con la comprensione e la compassione verso gli umili e gli anziani (vedi gli straordinari
esempi dei vari dipinti con san Gerolamo).

Da un punto di vista pittorico non va dimenticata la grande qualità di tutto il dipinto, in
particolare il bianco tipico del Caravaggio con cui dipinse il panno del Bambino, che diffonde
luminosità nella scena, e il pezzo di bravura della manica marrone di Lena che termina nel polsino
bianco.

Per inciso, secondo alcuni critici, i due pellegrini potrebbero essere il committente Ermete
Cavalletti e sua madre.

La nostra storia potrebbe terminare qui. Ma c’è un’altra cosa che mi piace segnalare: la grande
tolleranza degli agostiniani, abituati fin dal Rinascimento ad accogliere tutti in questa chiesa,
permetteva alle cortigiane rinascimentali e poi alle prostitute dell’epoca di venire qui a messa,
sedendosi nelle prime file per non essere importunate dal popolo. Ma probabilmente un conto era
vederle frequentare la chiesa e un altro vederne una ritratta come Madonna sull’altare. Ma fu la
medesima grande tolleranza degli agostiniani a far sì che, nonostante lo schiamazzo, il quadro
rimanesse lì. Chissà con quale orgoglio e senso di rivalsa si sentirono investite quelle donne,
quando la domenica entrarono in quella chiesa e guardarono quel dipinto…

(*) Giuseppe Elio Barbati vive e lavora a Napoli. Medico radiologo, da sempre attratto dalla pittura,
con predilezione per le opere di natura morta, ha da molti anni dedicato studi approfonditi a tale
argomento, appassionandosi in particolare alle prime opere del genere.
È l’autore del libro “La nascita della natura morta in Europa” che si può acquistare tramite bonifico,
o carta di credito, presso la Kairòs Edizioni http://www.kairosedizioni.it/ o richiedendolo via mail
[email protected]

APPROFONDIMENTI

● Caravaggio non fu semplicemente il pittore realista e crudo (per le imperfezioni dei corpi, le
membra emaciate dei poveri, le rughe dei vecchi, lo spasmo dei morenti), che dipinse le scene dal
vero, ma anche un pittore che invitava all’umiltà. In ciò seguiva le teorie di san Filippo Neri e del
cardinale Carlo Borromeo, che conducevano una vita molto povera. Infatti Gesù, la Madonna, o gli
apostoli e i santi, sono raffigurati poveri, posti in relazione a una sobrietà di vita e non raffigurati
come splendidi e ricchi signori, vestiti riccamente e ornati di gioielli, come invece erano i vescovi e
la corte papale di Roma. Egli stravolse completamente ogni impostazione accademica, scegliendo
di raffigurare la realtà così come gli si presentava, comprese le sue brutture, le sue volgarità,
senza idealizzazione alcuna.

● “Maddalena Antognetti”, romana, descritta in alcune cronache come “donna di
Michelangelo”comparve negli ultimi quadri romani di Caravaggio. Proveniva da una famiglia di
cortigiane: sua sorella Amabilia era una prostituta bellissima e un documento la mostra di notte su
un cavallo, con le chiome sciolte, mentre torna a casa dopo una notte passata con il bargello del
Campidoglio. Lena compare sicuramente in due dipinti e probabilmente anche in un terzo: ”La
Madonna dei palafrenieri” del 1604, “La Madonna dei pellegrini” del 1606, “La Maddalena in estasi
del 1606. Lena morì ancora prima di Caravaggio.

L’anno dopo la fuga dell’artista da Roma, tornò a vivere con la madre e la sorella in via dei Greci, dove morì nel 1610. Aveva solo 28 anni.
Da giovanissima era stata amante prima del «giovane morbido», cardinale Montalto, poi di
monsignor Melchiorre Crescenzi e del cardinal Peretti, nipote di Sisto V. Faceva parte di un gruppo di prostitute d’alto bordo con Fillide Melandroni, Menica Calvi e Tella Brunori. Fare di Lena la
“Madonna dei Pellegrini” fu una mossa rischiosa, qualcosa di ben diverso dal ritrarre Anna
Bianchini o Fillide Melandroni nei panni della Maddalena per una collezione privata. La giovane,
infatti, era un volto conosciutissimo in città.

● Il concilio di Trento aveva bandito “tutte le lascivie di una sfacciata bellezza delle figure” e la
Chiesa necessitava di immagini per promuovere la sua Controriforma, per cui richiese agli artisti
una pittura religiosa più aderente alla realtà. Come scriveva il cardinal Paleotti [*] nel 1582, “l’ufficio
del pittore era l’imitare le cose nel materiale suo essere e puramente come si sono mostrate agli
occhi de’ mortali”, per poi lasciare ai teologi “il dilatarle ad altri sentimenti, più alti e più nascosti”.
Nella Roma dell’epoca, manierista e bigotta, era in auge una pittura di “devozione” o cosiddetta di
“nobiltà”; nobiltà di soggetti e di azioni, riferibili a qualsivoglia mitologia indirizzata secondo la
superficiale inventiva degli ultimi manieristi: dal Pulzone al Muziano, al Barocci.

Il formalismomanierista, così di moda in quegli anni, ripeteva in maniera codificata i vari aspetti della vita
quotidiana e nei ritratti riproponeva una bellezza di tipo eclettico, con ideali modelli presi in parte
da Michelangelo e in parte da Tiziano o Raffaello.

La “maniera” (cioè lo stile) dell’artista era considerata bella nella misura in cui si avvicinava alle opere dell’antichità. Il Cesari dominava la
scena artistica romana insieme a Federico Zuccari e Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio.
Forse fu proprio il manierismo retorico ad aprire allo Zuccari la strada nella nomina di “Principe
(cioè presidente) dell’Accademia di San Luca” [**] verso la fine del 1593. Di conseguenza il suo
insegnamento ebbe grande influenza sulle giovani generazioni di pittori, incentrato sulla necessità
di un sicuro controllo concettuale del fare artistico, da raggiungersi in primo luogo attraverso la
fase del disegno preparatorio e dello studio dei modelli.

[*] Cardinale Gabriele Paleotti, “Discorso intorno alle immagini sacre e profane etc.”, Bologna 1581-1582.
[**] L’attività più rilevante dello Zuccari fu proprio quella di “principe” e insegnante presso il prestigioso
istituto romano di pittura (vedi cap.6) della neonata Accademia di San Luca, nella città dominata dal papa.

● L’estate del 1600 vide certamente l’esplosione della popolarità del Merisi come pittore di
immagini sacre per importanti committenze romane. La direzione della sua ricerca artistica fu un
esempio e un insegnamento che coinvolse (o sconvolse?) ogni artista presente a Roma. Quelle
tele le videro tutti, e in molti strabuzzarono gli occhi. Malignamente Baglione riferì invece che una
delle massime autorità ufficiale dell’epoca, l’invidioso Federico Zuccari, principe dell’Accademia di
San Luca, esclamò “Che romore è mai questo? Io non ci vedo altro che il pensiero di Giorgione”
davanti a quelle opere che creavano tanto scompiglio nella comunità artistica. Il tentativo era di
ricondurre la novità dirompente delle tele caravaggesche alla ben nota e più rassicurante pittura
veneta.

D’altra parte lo stile di Caravaggio non poteva essere più lontano dall’idea di pittura dell’antiquato
manierista di regime Zuccari, fondata sullo studio dei maestri del passato e sull’esercizio del
disegno, espressione più alta e compiuta, a suo modo di vedere, dell’intelletto umano. Ma l’astro di
Caravaggio volava ormai alto, impossibile da abbattere, primo attore carismatico della scena
artistica. I pittori affermati lo detestavano perché sovvertiva la struttura artistica con la quale
avevano fatto carriera, facendo apparire vuota e superata la corrente tardo-manierista e stupidi gli
esagerati contorcimenti tipici dell’epoca.

Ma inevitabilmente avranno coltivato anche un risentimento per quel forestiero che diventava l’idolo dei giovani pittori “che accorrevano a lui”.
Il suo pubblico si dividerà definitivamente in estimatori entusiasti e detrattori feroci, in un clima di
gran fervore per il nuovo (in)discusso genio della scena romana. Intanto i giovani pittori
celebravano Caravaggio “come unico imitatore della natura”, affascinati dal suo stile “tutto risentito
di oscuri gagliardi…e si danno ad imitare i suoi quadri e i suoi soggetti preferiti, ritraendo dal vero i
modelli nello studio ed alzando i lumi” (come scrisse il Bellori nel 1649), ovvero accentuando i
contrasti di luce e di ombra.

L’adesione al vero di Caravaggio venne invece letta dallo Zuccari come una mancanza di quello
che doveva essere il principio generatore della pittura, cioè l’equilibrio fra l’imitazione del reale e la
necessaria correzione mentale, l’idealizzazione della realtà.
Velàzquez sarà colui che meglio saprà cogliere l’essenza delle novità caravaggesche, non
fermandosi all’effetto chiaroscurale ma interpretando lucidamente la poesia lirica e malinconica, la quotidiana fatica e le brevi gioie di un mondo marginale, secondario eppure vivo, perché carico di
umanità e verità.

Oggi, dopo 400 anni, si parla ancora tanto di Caravaggio. La sua intensità narrativa, straordinario
concentrato di energia, sentimenti, arte e passione, miscuglio di fantasia e realtà, la sentiamo
ancora fluire, forte e viva, nelle sue opere, al di là del tempo, dello spazio e delle menti limitate.

Alcuni brani sono estrapolati dal libro “La nascita della natura morta in Europa”(Kairòs edizioni), di
Giuseppe Elio Barbati.

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