Il mondo delle favole

Eccoci qua, a presentare un nuovo numero de Il Prometeo, stavolta con un’edizione soft, dedicata al mondo delle favole.

Favole e Fiabe, accompagnano l’umanità da millenni e spesso sono state il primo metodo di tramandazione di fatti storicamente accaduti.

Molte favole sono state scritte invece per esprimere una morale, come ad esempio nelle “Favole di Esopo”, con la classica favola di “Al lupo! Al lupo!”che viene appunto trascritta dal favolista greco. In quest’ultima infatti il contadino che si divertiva a spaventare i suoi compaesani gridando inutilmente “Al lupo! Al lupo!”, non venne creduto quando poi ne incontrò uno davvero, venendo in alcune versioni sbranato, in altre salvato da un pastore o un cacciatore, che poi lo rimproverava per aver dato tanti falsi allarmi.

Le favole quindi non hanno assunto soltanto un modo per riportare fatti realmente accaduti, ma anche verosimili o fantastici, per esercitare una sorta di educazione primordiale agli infanti quanto agli adulti creduloni delle epoche passate.

Molte volte le favole sono state associate ai proverbi, come nel caso per esempio della “volpe che non arriva all’uva e quindi dice che è acerba”, utilizzate quanto per intrattenere, in un’epoca in cui non esistevano televisione e internet, quanto per argomentare, come nel caso della volpe.

Su questo numero riporteremo le favole più famose, la loro storia, le origini e le credenze popolari associate, le tradizioni e il folklore che gravitano intorno ai racconti più belli di sempre, che hanno fatto sognare grandi e piccini.

Immergetevi nella lettura e cominciate a sognare ad occhi aperti …

Animali, dame, cavalieri, creature mitologiche popolano il regno della fantasia

Il termine italiano favola, deriva dal latino fabula che a sua volta determina da for, faris, fatis, sum, fari, che significa “dire”, “raccontare”.

Le prime “favole” le troviamo nella Bibbia, con le parabole di Gesù ad esempio, che sono racconti canonici e non canonici e fonti antiche. La parabola attraverso degli esempi di comparazione e similitudine, riporta un insegnamento morale o religioso.

Si può affermare che le favole siano nate assieme al linguaggio. Alcune storie per esempio compaiono nelle opere pittoriche rupestri, per poi proseguire sulle più antiche pergamene, tramandandosi fino ai giorni nostri, assumendo a volte chiavi e significati differenti.

 

Le Favole di Esopo

 

Come detto in Editoriale, Esopo fu uno dei più conosciuti narratori di favole del suo tempo arrivando fino ai giorni nostri. Le favole più note sono:

 

La Volpe e l’uva

Una volpe non riesce a prendere dei grappoli d’uva su un albero, saltando con tutte le sue forze. Alla fine se ne va, dicendo che sono acerbe. La morale dice che non bisogna giudicare malevolmente ciò che l’uomo non riesce a compiere nella propria vita.

La cicala e la formica

Una cicala canta tutta l’estate, prendendo in giro delle formiche che raccolgono le provviste. Continua nel suo ozio, incurante degli avvertimenti riguardo alla pericolosità dell’inverno, quando non ci sarà niente da mangiare. Giunge l’inverno, e la cicala corre dalle formiche a chiedere da mangiare, ma è respinta, morendo.

Al lupo! Al lupo!

Un contadino si diverte a spaventare i paesani, gridando che un lupo giunge a devastare il gregge. Dopo che ha varie volte chiamato invano al lupo, al lupo, giunge veramente un lupo che gli divora le pecore. Ma il contadino, pur chiamando in aiuto gli uomini, rimane solo, perché non è più creduto, e muore assieme alle pecore.

La lepre e la tartaruga

Durante una gara di corsa, una lepre velocissima incontra una tartaruga che vuole gareggiare, e si mette a prenderla in giro. La tartaruga tuttavia è decisa a correre, e la gara inizia. La lepre corre più veloce, ma alla fine, sapendo che ce la farà, decide di riposare. La tartaruga, furba, la sorpassa di nascosto, e alla fine vince la gara.

 

Esopo rende protagonisti nelle sue storie gli animali, un vero precursore della fiaba moderna, considerato che  nell’epoca in cui visse, i racconti ruotavano principalmente sulla mitologia, sulla vita degli dei o le battaglie e le gesta leggendarie di guerrieri ed eroi.

Sono almeno 350 le favole di Esopo che ci sono pervenute e che hanno insegnato per quasi 2600 anni la morale a grandi e piccini.

 

Le fiabe tradizionali

 

Nella tradizione occidentale ed europea, ci sono centinaia di fiabe più o meno famose che comunque riprendendo il favolista Esopo, inseriscono animali buoni o cattivi, è il caso di Cappuccetto Rosso.

Cappuccetto Rosso, chiamata anche Cappuccetto, è una bambina che vive con la sua mamma in una casetta vicino al bosco. Un giorno la mamma le consegna un cestino pieno di cose buone da portare alla nonna malata, che vive al di là della foresta. La mamma raccomanda a Cappuccetto di fare attenzione, durante il tragitto. Nel bosco, però, la bambina incontra un lupo nero, che con l’inganno le si avvicina e si fa rivelare dove abita la nonna. Il lupo così si allontana, arriva prima di lei alla casetta, bussa alla porta, presentandosi alla nonna come la nipotina, e così apre la porta e se la mangia in un sol boccone. Cappuccetto Rosso arriva più tardi alla casetta, entra e trova il lupo nel letto, travestito da nonna, e anche la bambina viene a sua volta divorata in un sol boccone. Successivamente un cacciatore, amico della nonna di Cappuccetto, si accorge di quello che è accaduto, si precipita nella casetta e uccide il lupo, tagliandogli la testa con una scure. Poi gli apre la pancia dalla quale fuoriescono immediatamente la nonna e Cappuccetto Rosso sane e salve. Il cacciatore prende allora il lupo e si avvia verso casa, per farne delle pellicce.

Origini e Varianti

La versione scritta più antica della fiaba è Le Petit Chaperon Rouge, apparsa nella raccolta di fiabe I racconti di mamma l’oca del 1697.

La versione di Perrault è molto più breve di quella successiva dei Grimm e non contiene un lieto fine: non è infatti presente la figura del cacciatore che salva nonna e nipote. Vi sono inoltre espliciti riferimenti sessuali: una volta giunta al cospetto del lupo travestito da nonna, Cappuccetto viene indotta da lui a togliersi i vestiti e giacere nel letto insieme a lui. Perrault conclude la narrazione con una spiegazione esplicita della morale:

“Da questa storia si impara che i bambini, e specialmente le giovanette carine, cortesi e di buona famiglia, fanno molto male a dare ascolto agli sconosciuti; e non è cosa strana se poi il Lupo ottiene la sua cena. Dico Lupo, perché non tutti i lupi sono della stessa sorta; ce n’è un tipo dall’apparenza encomiabile, che non è rumoroso, né odioso, né arrabbiato, ma mite, servizievole e gentile, che segue le giovani ragazze per strada e fino a casa loro. Guai! a chi non sa che questi lupi gentili sono, fra tali creature, le più pericolose!”

La versione di Perrault della fiaba, incluse le conclusioni morali, fu tradotta in italiano da Collodi nel 1875 e inclusa nella sua raccolta di fiabe I racconti delle fate. Voltati in italiano, Firenze, Paggi, 1875.

 

La versione dei fratelli Grimm

 

Nel XIX° secolo i fratelli Grimm udirono due versioni della fiaba e trasformarono una delle due versioni nella storia principale, e la seconda in un seguito. La prima, col titolo Rotkäppchen, fu inclusa nella prima edizione della loro raccolta Kinder- und Hausmärchen (1812)In questa versione la ragazza e sua nonna venivano salvate da un cacciatore interessato alla pelle del lupo. Nella seconda storia, Cappuccetto Rosso incontra un secondo lupo che tenta di ingannarla con lo stesso stratagemma del precedente, ma grazie all’esperienza acquisita con il primo lupo lo inganna a sua volta dandogli indicazioni sbagliate per raggiungere la casa della nonna; la bambina rimane invece sulla strada maestra e arriva dalla nonna, barricandosi con lei in casa. Quando il lupo sopraggiunge, tenta di penetrare in casa dalla canna fumaria, ma la nonna mette nel camino un pentolone d’acqua bollente e il lupo vi cade dentro, annegando (in una maniera analoga a ciò che accade al lupo de I Tre Porcellini.

I Grimm continuarono a rivedere la storia nelle edizioni successive; quella meglio nota è la revisione finale, del 1857, con il taglialegna che sostituisce il cacciatore.

 

La versione di Italo Calvino

 

La finta nonna è il titolo di un’antica versione italiana della fiaba trascritta fra gli altri da Italo Calvino nella raccolta  Fiabe Italiane [La finta nonna, N. 116 (Abruzzo), pp. 653-655 (ed. de I Meridiani)]. In questa versione la bambina va a trovare la nonna ma al suo posto nel letto trova un’orchessa. La bimba si accorge che non si tratta di sua nonna, e con l’astuzia riesce a far uscire dalla casa l’orchessa e a farla cadere nel fiume.

Analisi ed interpretazione

Nel tempo si sono susseguite analisi e interpretazioni presenti nel sottotesto della storia. Già Bruno Bettelheim ha evidenziato come la fiaba si presti a un’interpretazione FREUDIANA. Se è evidente la presenza di contenuti sessuali nella storia (si veda il passo di Perrault citato sopra), le interpretazioni discordano sostanzialmente solo su quello che potrebbe essere inteso come significato principale (ovviamente, è soprattutto verosimile che numerosi significati si siano sommati durante l’evoluzione storica della fiaba). La maggior parte delle proposte enfatizza uno dei seguenti temi:

  • La prostituzione. La fiaba potrebbe essere intesa come un’esortazione a non esercitare il “mestiere”. Quella della “giovane donna nel bosco” è uno stereotipo che in molte tradizioni viene metaforicamente associato alla prostituzione; nella Francia del XVII secolo, tra l’altro, la “mantellina rossa” era un segnale esplicito in questo senso.
  • La maturità sessuale. In questa interpretazione, la mantella rossa rappresenta le mestruazioni e l’ingresso nella pubertà, che conduce la bambina nella “profonda e oscura foresta” della femminilità; il lupo rappresenta, quindi, l’uomo visto come predatore sessuale da cui guardarsi.
  • L’antropofagia. Altre interpretazioni si focalizzano sull’elemento antropofago: la fiaba ha origine nel contesto di un’Europa periodicamente flagellata da terribili carestie durante le quali si segnalarono diversi casi di cannibalismo (siano d’esempio il caso della carestia francese del X secolo e della Grande carestia del 1315-1317). Il fatto che nelle versioni più antiche della fiaba la figura antropofaga fosse interpretata da un’orchessa, un elemento mostruoso ma antropomorfo e di sesso femminile, anziché da un lupo (un animale di sesso maschile, la cui antropofagia, pur connotata negativamente, rientra nell’ordine naturale delle cose) danno supporto a queste interpretazioni e al fatto che la fiaba, nella sua forma orale, si sia evoluta nel corso del tempo, per andare a rispondere a diverse esigenze formative.

 

Jack e la pianta di fagioli

 

Jack e la pianta di fagioli (Jack and the Beanstalk) è un racconto popolare inglese, diffuso in Gran Bretagnaa e Stati Uniti. Ne esistono numerose varianti, ed è nota con diversi titoli; in italianoo “Jack” diventa talvolta “Giacomino”. Il racconto è conosciuto anche con il titolo Jack e il fagiolo magic.

C’era una volta un ragazzo di nome Jack, che viveva in una fattoria insieme alle sue sorelle e a sua madre vedova. Un giorno una zia andò nella fattoria e vide la mucca che aveva costruito Jack; la madre disse che Jack aveva fatto la mucca perché era diventato un inventore, ma la zia disse che doveva venderla; se fosse andato a vendere la mucca lei gli avrebbe dato i soldi che aveva nella borsa. [Secondo un’altra versione, la mucca il cui latte sfamava tutta la famiglia aveva smesso di dare latte, e quindi andava venduta.] Allora Jack andò a vendere la mucca.

Incontrò un vecchio signore che, in cambio della mucca, gli offrì un sacchetto di fagioli fatati. Quando Jack rientrò a casa, la madre andò su tutte le furie per ciò che aveva fatto il figlio e gettò i fagioli dalla finestra, per poi punire il ragazzo mandandolo a letto a digiuno.

Il mattino seguente, era spuntata un’enorme pianta di fagioli. Jack si arrampicò su per la pianta e trovò il castello di un gigante. All’arrivo del gigante che disse: “Ucci, ucci sento odor di cristianucci”, il ragazzo si nascose.

Jack osservò la moglie del gigante preparare una lauta cena per il marito e vide questo contare tanti sacchetti di monete d’oro. Quando il gigante si addormentò, Jack si impadronì dell’oro.

Il giorno dopo, si arrampicò di nuovo sulla pianta e stavolta rubò una gallina dalle uova d’oro, anch’essa di proprietà del gigante. Infine, la terza volta, Jack si appropriò dell’arpa del gigante, ma lo strumento chiese aiuto e il gigante si lanciò all’inseguimento giù per la pianta. Terrorizzato, il ragazzo abbatté il tronco e il gigante cadde, schiantandosi al suolo. Da allora lui e la mamma vissero nell’agiatezza e nella gioia.

L’autore originale è ignoto. La prima pubblicazione apparve nel libro The History of Jack and the Bean-Stalk (1807), stampato da Benjamin Tabart (nato nel 1767). In seguito, la fiaba fu resa popolare soprattutto dalla raccolta di favole English Folk & Fairy Tales di Joseph Jacobs.

 

Biancaneve e i sette nani

 

Biancaneve, nota anche come Biancaneve e i sette nani (titolo tedesco: Schneewittchen), è una fiaba popolare europea. La versione attualmente conosciuta è quella scritta dai fratelli Grimm in una prima edizione nel 1812, pubblicata nella raccolta Kinder- und Hausmärchen (Fiabe dei bambini e del focolare), evidentemente ispirata a molti aspetti del folclore popolare, del quale i due fratelli erano profondi studiosi.

Esiste un’altra fiaba dei fratelli Grimm in cui la protagonista si chiama Biancaneve: Biancaneve e Rosarossa.

Non esiste alcuna correlazione fra le protagoniste delle due fiabe, che nell’originale tedesco hanno anche due nomi leggermente diversi: Schneewittchen (la Biancaneve di Biancaneve e i sette nani) e Schneeweißchen (quella di Biancaneve e Rosarossa). I due nomi hanno lo stesso significato; il primo è scritto secondo i dialetti della Bassa Germania, il secondo quelli dell’Alta Germania.

La storia di “Biancaneve e i sette nani” a cui si fa generalmente riferimento è quella raccontata nella settima edizione delle fiabe dei fratelli Grimm del 1857. Tale versione racconta che in una giornata d’inverno una regina, mentre è intenta a cucire vicino a una finestra con la cornice in legno di ebano, si punge un dito e, guardando le gocce di sangue cadute sul terreno innevato, esprime il desiderio di avere una figlia con i capelli scuri come l’ebano, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue; dopo qualche tempo la regina e il re hanno una bambina, che possiede proprio le caratteristiche fisiche desiderate dalla madre, alla quale danno il nome Biancaneve. Poco dopo la nascita della fanciulla, la regina muore a seguito delle ferite riportate durante il travaglio.

Il re, per assicurare una figura materna alla figlia, decide di risposarsi. La seconda moglie del re è una donna bellissima e molto vanitosa che possiede uno specchio magico al quale chiede in continuazione chi sia la donna più bella del regno, sentendosi continuamente rispondere che è lei. A un certo punto lo specchio le dice che la ormai cresciuta Biancaneve è più bella di lei, allora la regina, arrabbiatissima e invidiosa della figliastra, incarica un cacciatore di portare la ragazza nel bosco, ucciderla e riportarle i polmoni e il fegato come prova della conclusione del suo compito. Il cacciatore tuttavia, impietosito, non ha cuore di svolgere l’incarico, allora decide di lasciare la fanciulla nel bosco e di uccidere al suo posto un cinghiale, portandone poi gli organi alla regina, convinto che Biancaneve verrà comunque sbranata da qualche belva feroce. La regina, dopo aver ricevuto il fegato e i polmoni del cinghiale, li mangia, convinta che siano quelli di Biancaneve.

 

La matrigna davanti allo specchio magico. Illustrazione tedesca di Franz Jüttner, 1905

Biancaneve, dopo aver vagato per un po’ nel bosco, si imbatte in una piccola casa, costruita proprio nel cuore della foresta, nella quale abitano sette nani, che per guadagnarsi da vivere lavorano in una vicina miniera. La casa è vuota e Biancaneve, affamata e stanca, entra, si nutre con parte del cibo e del vino già preparato dai nani, prendendone un poco di ogni porzione, e poi si addormenta nell’unico dei sette letti della propria misura. I nani, quando rientrano dal lavoro, dopo un primo attimo di sgomento per l’intrusione, sono felici di ospitare la dolce Biancaneve, che in cambio li accudisce aiutandoli nelle faccende domestiche. La vita scorre tranquilla fino a quando la regina cattiva scopre che la figliastra è ancora viva e in salute, grazie allo specchio magico che le dice nuovamente che Biancaneve è più bella di lei. Travestitasi da vecchia venditrice, allora, si presenta alla casa dei nani e cerca per due volte di uccidere Biancaneve, prima stringendole una cintura in vita fino a toglierle il respiro, poi facendole passare tra i capelli un pettine avvelenato. In entrambi i casi la giovane sviene, ma viene salvata dall’intervento dei nani, che riescono a farle riprendere i sensi, ammonendola ogni volta di non far entrare nessuno in casa in loro assenza.

A questo punto, travestita da vecchia contadina e venditrice di frutta, la regina si avvia per la terza volta verso la casa dei nani con l’obiettivo di far assaggiare a Biancaneve una mela avvelenata per metà: per convincerla ad accettare il frutto taglia la mela in due e assaggia la metà che non era avvelenata. Biancaneve, al primo morso della parte avvelenata, cade in uno stato di morte apparente da cui nessuno degli sforzi compiuti dai nani riesce a risvegliarla. Gli stessi nani, convinti che sia morta, la pongono in una bara di cristallo e la sistemano sulla cima di una collina in mezzo al bosco.

Per molto tempo Biancaneve resta vegliata dai nani, finché un giorno viene notata da un principe che passa di lì a cavallo. Questi, colpito dalla bellezza della fanciulla, vorrebbe portarla nel suo castello per poterla ammirare e onorare per tutti i giorni della sua vita. Dopo molte insistenze i nani, impietositi dai sentimenti del giovane, acconsentono alla sua richiesta. A un certo punto uno dei servitori del principe, arrivati per trasportare la bara al castello, inciampa in una radice sporgente e fa cadere la bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta, dalla bocca di Biancaneve esce il boccone di mela avvelenato e così la ragazza si risveglia. Biancaneve s’innamora subito del principe e vengono organizzate le nozze, a cui viene invitata anche la Regina cattiva. Questa, che non conosceva il nome della sposa ma era stata avvertita dallo specchio magico che era più bella di lei, rimane impietrita riconoscendo la sua figliastra.

Nel frattempo erano state fatte arroventare sulle braci due scarpe di ferro, che la malvagia matrigna di Biancaneve viene costretta a indossare. A causa del dolore procuratole dalle calzature incandescenti, la Regina cattiva è costretta a ballare finché non cade a terra morta.In un’altra versione il finale è diverso: la malvagia matrigna, giunta al castello per il matrimonio, rimane stupita. Riavutasi dalla sorpresa, tenta di fuggire, ma i presenti chiedono al re di punirla. Così, vestita di cenci e dimenticata, vive a lungo in un carcere oscuro. Solo Biancaneve si reca spesso a darle conforto, poiché i buoni non conoscono l’odio.

Anche in questo caso esistono diverse varianti della storia, oltre alla celeberrima trasposizione della Disney, che con questa e molte altre fiabe hanno fatto sognare milioni di bambini.

Purtroppo le pagine del nostro giornale sono insufficienti per riportare tutte le favole più belle e famose, o anche quelle meno conosciute ma non per questo non importanti, perché anche ogni più piccolo insignificante racconto, rappresenta il frutto della fantasia di un sognatore, di un adulto rimasto un po’ bambino nel cuore …

Condividi