Gli Equi dall’Alta Ciociaria al Cicolano

Il popolo che ha insegnato a Roma il Diritto Internazionale

Virgilio nell’Eneide disegnò l’indole aggressiva e selvaggia del popolo degli Equi distribuito tra le Valli dell’Aniene, del Turano e del Salto, dall’Alta Ciociara al Cicolano. Ai tempi della Roma monarchica gli Equi, come ricorda più volte nella sua opera lo storico Livio, confinavano con i Marsi, i Volsci, gli Ernici e i Sabini. Il Fiume Licenza, affluente di destra dell’ Aniene, doveva probabilmente segnare il confine con i Sabini, mentre la dorsale sud-est dei Monti Simbruini dagli Altipiani di Arcinazzo e il territorio di Trevi li divideva dagli Ernici.

Pastori guerrieri, come altre popolazioni italiche limitrofe, la cui economia silvo-pastorale imponeva per la loro sopravvivenza il controllo dei pascoli d’altura e dei percorsi di transumanza, un popolo certamente rude che però non doveva essere tanto rozzo se il re romano Anco Marzio ne trasse il rituale dei Feziali, nucleo originario del diritto romano internazionale, come tramandano Livio e Dionigi di Alicarnasso.

Stando alle fonti infatti, fino dall’età della monarchia latino-sabina, esisteva in Roma un collegio sacerdotale, quello dei Feziali, la cui attività veniva richiesta nei momenti più significativi dei rapporti con altre comunità ed erano preposti alla tutela e al rispetto della Fides Publica inter populos.

Come sacerdoti depositari del diritto internazionale era di loro competenza valutare, in caso di conflitto, la gravità di una offesa, determinare la riparazione, giudicare se la guerra era giusta, dichiararla, stabilire la pace e consacrare i trattati con cerimonie religiose, consiglieri o ambasciatori all’ occorrenza. Un’altra prova a sostegno della nostra tesi di quanto grande fu l’apporto delle popolazioni italiche a Roma, non solo in campo militare come forze dell’esercito ma anche in campo religioso, giuridico, contribuendo con i loro valori civili alla grandezza della città eterna.

Dai Monti Simbruini quindi ha inizio il territorio degli Equi e Trevi nel Lazio, la Treba Augusta, ne divenne certamente un caposaldo e un avamposto nel cuore degli Ernici, quando intorno al VII secolo a.C. forse per un aumento demografico le nostre zone montane furono interessate a vaste ondate migratorie da parte di popolazioni osco-umbre. Gli Equi, provenendo probabilmente dalla zona interna degli Abruzzi, occuparono entrambi i versanti della parte superiore dell’Aniene, quello di destra con i Monti Simbruini, quello di sinistra con i Monti Affilani e Ruffi.

E’ questa una zona strategica frequentata fin da epoca antichissima, come testimoniano i numerosi rinvenimenti dal paleolitico all’ età del bronzo, in quanto passaggio obbligato per i percorsi di collegamento delle zone interne laziali e abruzzesi con la pianura pontina. I nostri pastori fino agli anni successivi alla seconda guerra mondiale seguivano gli stessi tratturi che da Trevi, Fiuggi, Ponza (Arcinazzo Romano) giungevano a Terracina o a Doganella di Cisterna.

Gli insediamenti degli Equi consistevano in sedi sparse non urbanizzate, una sorta di vaste entità territoriali, i “pagi”, che troviamo ancora in età augustea, se Orazio, l’amico di Ottaviano, possedeva una villa nel Pagus Mandelae, l’ attuale Mandela nei pressi di Licenza. All’interno dei pagi, diversi erano i vici, villaggi posti in pianura, mentre un ruolo importante era rivestito dagli insediamenti fortificati di altura (gli oppida) e dai luoghi sacri (i fana).

I principali insediamenti degli Equi sono attestati a partire dall’età del bronzo quando negli oppida alle fortificazioni in muratura a secco e palizzate lignee si sostituirono mura in opera poligonale, come nella Ciociaria Storica nei centri di Trevi, Olevano, Roiate, Bellegra, Agosta, Canterano, Ciciliano, Roviano, Affile, dove ancora oggi sono visibili queste grandiose opere protostoriche, abbandonate nel tempo, inglobate nella vegetazione e soprattutto ignorate e trascurate dagli uomini. Anche altrove in territorio equo sono presenti strutture simili, come a Riofreddo, crocevia tra la valle dell’Aniene, la piana del Cavaliere e la valle del Turano, in località Antignano, in contrada la Botte, a Colle Cacione, a Monte Croce, sul monte Aguzzo e sul monte S. Elia. Ed è proprio Riofreddo nella sua parte più occidentale, a Castel Civitella, a conservarci l’unica necropoli conosciuta nel Lazio attribuibile a questo antico popolo italico.

Gli Equi, come tutte le popolazioni antiche, vivevano in stretto contatto con la natura e con gli dei che segnavano con la loro forza protettiva le attività di pace e di guerra: così i fana svolgevano la funzione di luoghi sacri di aggregazione e di scambi. La tradizione e i rinvenimenti ci hanno tramandato alcuni nomi di divinità cui i fana erano dedicati: Vacuna, la divinità italica della natura e dei campi associata poi alla personificazione della Vittoria a Roccagiovine, la dea Fortuna a Tremula Suffenas, Juppiter Cacunus la divinità dei monti ad Orvinio.

Anche nel campo delle divinità quanto apporto hanno dato al mondo romano le popolazioni italiche prima che venissero assorbite da Roma, come gli Equi, sconfitti definitivamente nel 304 a.C. ad opera del console Publio Sempronio Sofo, dopo avere già perso una durissima battaglia nel 458 a.C. in uno scontro diventato leggendario che ebbe per protagonista da parte romana Cincinnato, celebrato poi da tutta la letteratura trionfalistica di Roma!

Quanto all’ etnonimo, questo non ha niente a che vedere con il mondo equino, ma, alla stregua del filologo Giovanni Semerano, riteniamo che , richiamando l’antico accadico “Eqlum” che sta ad indicare semplicemente “Terra, Regione”, il nome degli Equi starebbe ad indicare gli “Abitanti della Regione”.

Condividi