“Tranquillo ha fatto una brutta fine”, il delitto del bitter

“Il signor Tranquillo ha fatto una brutta fine”

Il “delitto del bitter” è uno dei casi di cronaca nera più singolari e discussi dell’Italia del dopoguerra. Avvenuto ad Arma di Taggia (IM) il 24 agosto 1962, vide come vittima Tranquillo “Tino” Allevi, un commerciante di prodotti lattiero-caseari originario di Pavia.

Tranquillo Allevi, con la moglie Renata Lualdi
Il delitto

 

Quel giorno, Allevi ricevette un pacco anonimo contenente una bottiglia di bitter Sanpellegrino senza etichetta, con un tappo di sughero non originale, accompagnata da una lettera indirizzata a lui. Il pacco era stato ritirato dalla moglie, Renata Lualdi, e portato nel magazzino di Allevi. La sera stessa, Allevi decise di assaggiare la bevanda insieme al suo collaboratore Isacco Allegranza e a un rappresentante di formaggi, Arnaldo Paini. Dopo aver notato un gusto estremamente amaro, Allegranza si recò al vicino “Bar Sport” per acquistare una bottiglia identica e confrontare i sapori. Al suo ritorno, trovò Allevi in preda a convulsioni. Trasportato d’urgenza alla clinica “Villa Spinola” di Bussana, Allevi morì alle 23:00 dello stesso giorno.

Tranquillo Allevi
Le indagini

 

L’autopsia rivelò la presenza di Parathion, un potente pesticida, nel corpo di Allevi. Le indagini si concentrarono sulla moglie, Renata Lualdi, che indicò come responsabile il suo amante, Renzo Ferrari, veterinario e vicesindaco di Barengo (NO). Le prove includevano una lettera scritta con una macchina da scrivere Olivetti Lexikon 80, identica a quella utilizzata nel municipio di Barengo, e l’acquisto da parte di Ferrari di sei fiale di veleno in una farmacia di Momo. Ferrari fu arrestato il 6 settembre 1962.

Renzo Ferrari
Il processo e la condanna

 

Il processo di primo grado iniziò il 28 febbraio 1964 presso la Corte d’Assise di Imperia e si concluse il 15 maggio con la condanna di Ferrari a trent’anni di carcere e al risarcimento dei danni al socio e ai due figli di Allevi. Il 21 dicembre 1965, la Corte d’Assise d’Appello di Genova aumentò la pena all’ergastolo. La Corte di Cassazione confermò la condanna il 17 ottobre 1967. Ferrari scontò 24 anni di carcere, proclamandosi sempre innocente. Nel 1986, ottenne la grazia dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e tornò a vivere a Barengo, dove morì due anni dopo a causa di un ictus.

 

L’eco mediatica

 

Il caso suscitò grande interesse mediatico, attirando l’attenzione di giornalisti e scrittori, tra cui Oriana Fallaci. La vicenda divenne simbolo di un’epoca in cui la cronaca nera si intrecciava con passioni, tradimenti e vendette, lasciando un’impronta indelebile nella memoria collettiva italiana.

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