Carica di Isbuscenskij: Gli ultimi eroi a cavallo

La Carica di Isbuscenskij: l’ultima carica di cavalleria della storia

 

Il 24 agosto 1942, alle porte del piccolo villaggio di Isbuscenskij, lungo le rive del fiume Don in Russia, si compie un gesto che appartiene tanto all’epica quanto alla storia: la carica di cavalleria del Reggimento “Savoia Cavalleria” (3º), una delle ultime della storia militare mondiale.

 

Il contesto storico

 

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia fascista di Mussolini partecipa alla campagna di Russia al fianco della Germania nazista. Tra le truppe inviate sul fronte orientale vi è il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), poi divenuto ARMIR. In un momento di grave pressione bellica sul fronte del Don, un piccolo reggimento di cavalleria italiana, composto da circa 600 uomini, si trova di fronte a una minaccia ben superiore: oltre 2.000 soldati sovietici appostati in posizione vantaggiosa.

Il fiume Don
La carica

 

Comandati dal colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, gli uomini del Savoia Cavalleria decidono di tentare l’impensabile: una carica a cavallo contro una fanteria moderna armata di mitragliatrici e mortai. Al grido di “Savoia!”, gli squadroni si lanciano al galoppo, sfruttando il terreno per colpire il nemico di sorpresa. La cavalleria viene affiancata da azioni coordinate di mitraglieri a terra e manovre di accerchiamento.

 

L’esito

 

La carica riesce: il nemico viene respinto, lasciando sul campo circa 150 caduti. Le perdite italiane sono contenute: 32 morti e 52 feriti. Una vittoria tattica, ottenuta con mezzi anacronistici ma con una disciplina e un coraggio fuori dal tempo.

La carica
Il significato

 

La carica di Isbuscenskij non fu solo un atto militare, ma un simbolo di orgoglio e tradizione, che contrappose l’eleganza della cavalleria sabauda all’atrocità della guerra moderna. Fu anche un gesto tragico, immerso in un conflitto che avrebbe travolto l’Italia stessa.

 

L’impresa fu celebrata dalla propaganda fascista, ma negli anni successivi ha assunto un valore più umano che politico: l’estremo baluardo di un’era che stava morendo, sacrificata sull’altare della modernità bellica.