Serrone città d’arte. La chiesa di San Pietro fra storia e bellezza

Ai piedi del Monte Scalambra, nel cuore pulsante della Ciociaria, sorge un piccolo comune ricco di storia e bellezza. Serrone ebbe una prima occupazione in epoca preromana, a opera della popolazione italica degli Ernici. Essi, nel II a.C. lasciarono spazio, dopo decenni di belligerante convivenza, alla totale dominazione romana, durante la quale il territorio divenne sede di numerose ville. Con il Medioevo la città cadde sotto il controllo ecclesiastico, costituendo il primo nucleo dello Stato della Chiesa. Nel X d.C. il territorio confluì nell’area di pertinenza dei monaci benedettini di Subiaco. Proprio all’epoca dovrebbe appartenere una prima edificazione della maestosa chiesa di San Pietro.

Dell’edificio, profondamente restaurato nei secoli, non è stato possibile rintracciare una data certa di costruzione, a causa della mancanza di annali storici. Una visita pastorale del 1754 permise di scoprire, tuttavia, che nel 1192 la chiesa era già ampiamente soggetta al controllo del vescovo di Palestrina. Le prime vicende di fabbrica note risalgono al 1600, periodo nel quale la struttura fu interessata da un radicale restauro, comprensivo di ampliamento, da parte dei cittadini.

Cristo che consegna le chiavi a San Pietro. Affresco sulla parete esterna dell'edificio - Sito della Provincia di Frosinone
Cristo che consegna le chiavi a San Pietro. Affresco sulla parete esterna dell’edificio – Sito della Provincia di Frosinone
L’interno

L’intero è suddiviso in tre navate, di cui le due laterali di dimensioni inferiori rispetto alla centrale. In esse si sviluppa un presbiterio rialzato, un coro e una cappella laterale dedicata al Sacro Cuore di Gesù e risalente all’opera del vescovo Aronne. Un grazioso pulpito risalta per le sue forme finemente cesellate nel legno. Sorretto da piccole colonne scanalate, caratterizzate da capitelli ionici rimaneggiati, ha un ricco basamento barocco. La facciata dell’opera è scandita da tre piccole nicchie, entro le quali fanno mostra altrettante statuette lignee di evangelisti. Due delle preziose effigi sono state, tuttavia, oggetto di furto, lasciando uno spazio vuoto nelle nicchie laterali.

Di particolare valore è lo splendido organo settecentesco, pezzo unico per la pregevole fattura.

Un secondo, profondo, restauro, risale al 1926, quando a subirlo furono il pavimento interno e il grande portale d’accesso. Al di sotto delle lastre, probabilmente, si cela persino un’area cimiteriale di datazione ignota.

 

Le opere

La struttura ospita, all’interno delle sue navate, numerose opere di grande valore artistico. Sul soffitto di quella centrale è affisso un imponente dipinto, mentre su quelle laterali sono ancora osservabili alcuni affreschi di scuola raffaellita. Essi, nei secoli, furono ricoperti dalla calca durante una terribile epidemia di peste, che decimò la popolazione, al fine di disinfettare gli ambienti e abbattere il contagio. Da un’attenta osservazione è stato possibile notare alcune radicali somiglianze con l’arte del Pinturicchio e di altri pittori presenti a Roma nei XVI d.C. Ciò è attribuibile all’influenza dei Colonna, che all’epoca possedevano il controllo su Serrone e non nascondevano una sfacciata predilezione per la scuola umbra. Secondo altre ipotesi, poi, gli affreschi potrebbero appartenere persino alla scuola dei pittori attivi alla Farnesina, sotto il mecenatismo di papa Leone X.

Fiuggi e il suo patrono. Storia e leggende di San Biagio

Fiuggi e il suo patrono. Storia e leggende di San Biagio

Sulla parete esterna della navata di destra appare una scena ritraente Erode, con la testa di Giovanni Battista fra le mani, e Salome con il leggendario vassoio proteso ed il volto girato ad evitare la vista spiacevole del cadavere. Poco distante, sulla medesima parete, spicca in primo piano la figura del papa che posa un copricapo sulla testa di un cavaliere, affidandogli un incarico. Nel prospetto opposto, invece, appare l’effigie di Luigi Gonzaga, impegnato nel sacramento della Comunione con un cavaliere aureolato, probabilmente all’interno della stessa chiesa, che appare essenzialmente riproposta in uno scorcio.

Un ultimo affresco rappresenta l’apparizione dell’angelo a San Pietro. Scene della vita del Santo sono, inoltre, largamente rappresentate nella chiesa, comparendo persino nella parete destra dell’abside. Lì Pietro è raffigurato mentre riceve le chiavi del Paradiso.

Sull’altare maggiore è conservata una mirabile pala, di pregevole fattura e autore ignoto, ove compare l’Arcangelo Michele, patrono della città. Si tratta di una produzione seicentesca, ad immagine e somiglianza di un’analoga pittura del 1635, opera di Guido Reni. Secondo l’ipotesi, formulata da un critico d’arte statunitense, il dipinto sarebbe attribuibile alla scuola romana di Maratta, attiva fra gli anni ’60 e gli anni ’80 del XVII d.C. L’autore sarebbe, in particolare, Pietro Lauri di Guido, allievo di Reni.

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