Ad Arcinazzo Romano, Stefano D’Arrigo completò la sua opera più importante
Non è sempre facile riassumere in poche parole le personalità della nostra letteratura, per di più se si tratta di quelle novecentesche. Con le loro sfumature linguistiche e lessicali, scrittori e scrittrici hanno dato un’impronta indelebile alla nostra letteratura. Se dovessimo però sintetizzare la persona di Stefano D’Arrigo potremo così definirla: poliedrico, poeta, romanziere e anche critico d’arte.
Ad Arcinazzo Romano ( Altipiani), Stefano D’Arrigo completò la sua opera più importante
Nato nell’ottobre del 1919 in provincia di Messina, la sua famiglia era di umili origini. Il padre ( Giuseppe) e la madre ( Agata Miracolo) si trapiantarono nel piccolo borgo di Al Marina, oggi denominato Alì Terme. L’infanzia, e poi la giovinezza dello scrittore non furono molto facile: il padre, infatti, ben presto lasciò la famiglia per tentare fortuna in America. Nonostante le difficoltà economiche ed emotive, riuscì a completare gli studi superiori con notevole successo; dopo il diploma, si trasferì, con la madre e i fratelli, a Messina per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia. Sembrava che tutto procedesse per il meglio, fin quando lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e la successiva partecipazione italiana, non lo portarono nell’esercito. Iniziò il corso di ufficiale a Udine che non completò poiché trasferito di nuovo in Sicilia. Lo scoppio della guerra però non lo fermò, tanto che riuscì a laurearsi in Lettere con una tesi sul poeta e filosofo tedesco, F. Hörderlin, il quale influenzò tutte le sue opere letterarie, diventando, nel corso degli anni, un punto di riferimento imprescindibile.

Dopo la fine del conflitto, visse tra Milano e Napoli, fin quando non si trasferì stabilmente a Roma, dove trovò la sua dimensione culturale. Nella capitale, infatti, frequentò i circoli letterari e si dedicò all’altra sua passione: l’arte. Il suo amore per l’arte era sempre stato presente, ma solo a Roma ci si dedicò quasi a tempo pieno, diventando uno stimato critico di arte contemporanea. In quegli anni, la capitale era davvero una fucina di cultura: era il periodo del Neorealismo, di opere intramontabili come quelle di Vittorio De Sica o Pier Paolo Pasolini.
L’anima letteraria
D’Arrigo divenne un ospite fisso di questi incontri, tanto da stringere amicizie profonde e durature con Elio Vittorini, Flaiano e Mazzullo. Furono personalità che, in modo diverso, lo influenzarono nelle sue opere più importanti, come il Codice Siciliano, ossia una raccolta di diciassette liriche che convinse anche i critici più severi. Quella che però è ricordata maggiormente ancora oggi è Horcynus Orca: un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1975 che narra il ritorno a casa ( un po’ in stile epico) del protagonista. Si tratta, dunque, di un poema epico moderno, nel quale cerca di superare i canoni letterari del neorealismo.

Fu un lavoro monumentale, sia per lingua che per mole, e a a cui lavorò per lunghissimo tempo, dedicandogli gran parte della sua vita. fu soprattutto il lavoro di revisione a onerarlo, poiché lo corresse dal 1964 all’anno prima della pubblicazione, nel 1975. Gli ultimi anni di stesura e revisione però D’Arrigo trovò un luogo di pace che sicuramente lo ispirò: gli Altipiani di Arcinazzo. Un luogo dove egli concluse l’ultima ( e quella più importante) revisione dell’opera della sua vita. D’Arrigo scelse proprio questa zona per cercare quella calma necessaria per dare l’impronta definitiva a Horcynus Orca. La fatica lo ripagò, consacrandolo tra le menti più brillanti del suo tempo.
Morì agli inizi degli anni Novanta ( 1992) nella sua casa romana.