La storia del Bar italiano

De secoli il Bel Paese è celebre per la convivialità dei suoi cittadini. Sembrò naturale, infatti, già dal XVIII secolo che cominciassero a comparire i primi luoghi di aggregazione, che in futuro sarebbero divenuti i celebri bar.

Al principio nacquero i caffè, introdotti in Austria sul finire del XVII secolo e solo nei primi decenni del secolo successivo in Italia. Nel 1720, a Venezia, comparve il Caffè Florian, dalle cui sale si dipartì la lunga storia dei bar nazionali. Si trattò, in primo luogo, di un ambiente con forte inclinazione elitaria, riservato all’incontro di artisti e intellettuali. Ben presto, poi, persino le donne poterono godere della frizzante atmosfera di questi luoghi.

In pochi anni il fenomeno dilagò per tutto il territorio nazionale, dando luogo alla nascita del caffè Pedrocchi a Padova, del Gilli a Firenze, il Greco a Roma, il Florio a Torino e il Gran Caffè Renzelli a Cosenza.

Il secolo più florido fu, certamente, il XIX quando nelle principali città italiane aprirono le porte altri e numerosi locali storici, come Le Giubbe Rosse di Firenze. Esso fu, per lungo tempo, ritrovo di pittori e scrittori, come Marinetti e d’Annunzio. A Napoli fu l’epoca dello sfarzoso Caffè Gambrinus, che divenne in breve un centro della mondanità cittadina.

 

La fontana della Galera dei Musei Vaticani

La fontana della Galera dei Musei Vaticani

 

La nascita del bar all’italiana

Con l’arrivo nel Paese degli anglicismi giunse anche il termine bar, a indicare la barra che da sempre ha diviso i clienti dal banconista. A fine XIX, dunque, sorse il primo vero bar, a Firenze. All’epoca da luogo elitario divenne incontro per tutte le classi sociali, aperto a chiunque volesse consumare in compagnia un ottimo caffè o persino alcolici e altre bevande.

Nei bar nacquero alcune fra le storie più curiose e divertenti legate alla mondanità nazionale, restando essi i luoghi per eccellenza della socialità. A partire dal secondo dopoguerra divennero i luoghi della dolce vita. Così essa si aggirava fra i tavoli in via Veneto a Roma e nel frattempo a Milano il Jamaica diveniva gremito di artisti, che fecero di Brera il loro quartiere di elezione.

Ben presto si diffuse sul territorio il concetto di american bar e di bevanda miscelata, che iniziò a incontrare il gusto dei cittadini. Sul finire del XIX nacquero il Milano-Torino e le sue celebri varianti Americano e Negroni, aprendo la strada al notissimo e largamente apprezzato cocktail Martini.

Il boom economico portò sempre più avventori nelle sale dei locali e dopo una cesoia, rappresentata dagli anni ’70 con l’ombra del terrorismo, gli italiani tornarono a incontrarsi nei bar. Negli anni ’80 nacque, infatti, il celebre slogan “La Milano da bere”, divenendo immediatamente simbolo di una società in cerca di spensieratezza e divertimento.

La vera svolta giunse negli anni ’90 con l’invenzione dell’happy hour, ad opera di Vinicio Valdo. L’epicentro fu ancora Milano, ma la nuova tendenza si diffuse a macchia d’olio in tutto il territorio italiano.

Con gli anni duemila si assistette, poi, alla moltiplicazione delle attività, complice anche la caduta del blocco delle licenze. La concorrenza si fece sempre più spietata e di conseguenza si fece sentire sempre più la necessità di innovare e conquistare una nicchia di pubblico.

 

Immagine di copertina ad opera di Freepenguin – Wikipedia

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