La miniera di asfalto di Filettino

La campagna laziale è colma di borghi ricchi di storia, arte e cultura che sanno sorprenderci e incuriosirci. E non è da meno, quello di Filettino. Questo paese si trova in provincia di Frosinone ed è posto perfettamente nel centro tra i Monti Simbruini e quelli dei Cantari. La sua storia, poi, è antichissima che inizia addirittura con gli Equi, i quali occuparono per primi la zona.  Sono dunque molte le tracce di popoli e personaggi che incontrarono Filettino nella loro storia. Sicuramente, un sito che desta oggi molta curiosità è quello della cosiddetta miniera di asfalto, ossia un sito dismesso di estrazione e lavorazione del bitume.

Immagine del borgo.

Questo interessante luogo è posto sui Monti Simbruini; in particolare, la scoperta del bitume a Filettino risale al XVIII secolo, come possiamo dedurre da una lettera inviata da Padre Bartolomeo Gandolfi al nobile Andrea Doria Phampili. Il parroco era stato, in realtà, inviato a Subiaco per dirigere e partecipare ai lavori di un frantoio ed è proprio durante la sua realizzazione, che un monaco sublacense gli suggerì Filettino, o meglio la sua miniera, che produceva  il bitume.

Il parroco, dunque incuriosito, decise di andare a Filettino, risalendo il fiume Aniene. Durante, però, la sua escursione, pur avendo trovato qualche traccia di materiale, non riuscì a scovare giacimenti significativi e, quando stava per perdersi d’animo, arrivò nei pressi di Filettino ed è qui che scovò il primo vero giacimento di bitume. Già in superfice, notò pezzi di bitume che gli fecero dedurre che, probabilmente, scavando, avrebbero potuto trovare un serbatoio molto ricco, tanto che egli suggerì di procedere con gli scavi e così fu.

Immagine del Bitume naturale. Wikipedia.

In poco tempo, riuscirono a trovare numerosi giacimenti. Padre Gandolfi, però, non si fermò qui, ma, grazie all’uso di tecniche di allora ( come la distillazione ad olio) tentò di datare questi ritrovamenti. Durante queste ricerche, inoltre, capì che il bitume poteva bruciare per un tempo maggiore rispetto a un olio, mettendoli entrambi in un braciere.

Dagli studi di Padre Gandolfi, le ricerche si fermarono per lunghissimo tempo fino alla metà dell’Ottocento quando la Chiesa incentivò la ricerca su alcuni materiali, come, appunto, il bitume. Ed è quindi in questo momento che la miniera divenne di rilevante. Essa permetteva l’estrazione di un materiale che era economicamente molto più vantaggioso rispetto agli altri, sfruttati fino a quel momento. La miniera poi fu venduta al conte Vincenzo Cagiano, il quale la portò al massimo funzionamento. Secondo i documenti storici, sappiamo che fu attiva almeno fino al 1877 e un decreto regio la inserì tra quelle “ufficiali” del Regno d’Italia, nel 1879.

Da qui le sue vicissitudini furono alterne. All’inizio del Novecento la concessero nuovamente a un nuovo proprietario  – la Società Anonima per la conservazione del legno e distillerie di catrame-. L’azienda la fece diventare nota in tutto il Paese, tanto da essere anche visitata dal Re Vittorio Emanuele II. Nel corso del Novecento poi pian piano la abbandonarono: già nel 1935 è descritta come in disuso. Poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’estrazione di bitume naturale non risultò più redditizia. Così quasi tutte le miniere, come quella di Filettino, chiusero definitivamente i battenti.

 

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