Franz Horny: il pittore tedesco che fece di Olevano Romano la sua musa
Ormai lo sappiamo bene, Olevano Romano (città metropolitana di Roma) è stata fonte d’ispirazione per numerosi artisti che si recavano qui e ne dipingevano i paesaggi e i contorni urbanistici. Era talmente importante per la loro formazione che, quando l’usanza del Grand Tour (viaggio di formazione culturale e storica della ricca aristocrazia europea) divenne un punto fisso nella loro educazione e il borgo laziale ne divenne una tappa immancabile.

Furono soprattutto gli artisti a recarsi qui in cerca di quell’ispirazione che poi alla fine li rese eterni nella storia dell’arte. Tra questi ebbe sicuramente un ruolo di primo piano, Franz Theobald Horny.

Franz Horny: il pittore tedesco che fece di Olevano Romano la sua musa
Nato nel novembre del 1798, aveva nel sangue la vena artistica. Il padre (Conrad), infatti, era un noto incisore tedesco, tanto da essere apprezzato dal celebre scrittore del “Faust”, J. W. Von Goethe, il quale, oltre ad ammirare la sua arte, ne era anche profondamente amico. Il padre, quindi, lo instradò verso gli studi artistici, mandandolo all’accademia delle arti di Weiwar ( città natale di Franz): la Weimar Princely Free Zeichenschule. Qui, ebbe l’occasione di approfondire la sua passione, grazie anche alla guida di J. H. Meyer, celebre pittore e critico svizzero.
È indubbio come i suoi insegnamenti fossero fondamentali per formare e, soprattutto, preparare il giovane talento. Probabilmente fu proprio Meyer che gli suggerì di andare in Italia. Giunse a Roma nel 1816 e fu preso sotto la guida di un altro grande pittore dell’epoca, Joseph Anton Koch, che aveva fatto dell’Italia, la sua seconda casa. È innegabile come Roma fosse in quegli anni particolarmente vivace culturalmente. È proprio nella città eterna che Franz ebbe modo di frequentare i salotti letterari e artistici, confrontandosi con le maggiori personalità dell’epoca.

L’arte di Franz crebbe in modo vortiginoso sia per tecnica sia per soggetto ed è in questi anni che si specializzò soprattutto come paesaggista. Tutto sembrava quindi perfetto, ma appena due anni dopo il suo arrivo in Italia, nel 1818, si manifestò per la prima volta la tubercolosi polmonare, una malattia che non gli dette mai tregua fino alla morte, avvenuta il 23 giugno del 1824. Si ritirò così in cerca di pace a Olevano Romano, dove, tra l’altro, conobbe sua moglie ( Cassandra Ranaldi) e dove visse gli ultimi anni della sua vita.
La morte prematura
Purtroppo della sua arte non rimane molto: si conservano alcuni disegni a matita, a inchiostro, qualche acquarello e alcuni affreschi, come quello presente a Villa Giustiniani al Laterano, una villa seicentesca a Roma, dove realizzò un ciclo di ghirlande e festoni che separavano le immagini dantesche realizzate invece da Koch. Questi bastano per mostrare quanto fosse un’artista pregevole e quanto apprezzasse la vita olevanese. D’altronde, anche nelle memorie del parroco ricorre il suo nome. Don Giovanni Rocchi lo descrive come un giovane di talento, tanto da affidargli la realizzazione di dodici tavolette rotonde, rappresentanti i Misteri del Rosario. Oggi, purtroppo, non rimane traccia di questo ciclo artistico.
Alla sua morte, lo seppellirono nella Chiesa di San Rocco a Olevano, dove tutt’oggi riposa.