La storia del brigante Stefano Polloni, il Passatore

Il brigantaggio fu un fenomeno sociale e storico che si diffuse per molti secoli. Alcune di queste figure sono tutt’oggi ricordate e non solo per i loro crimini. Essi sono entrati in qualche modo nell’immaginario collettivo e rimangono impressi anche nelle generazioni meno giovani. Tra i più noti sicuramente, c’è Stefano Pelloni, detto il Passatore.

La storia del brigante Stefano Polloni, il Passatore

Nato nel 1824 a Boncellino -oggi una frazione di Bagnacavallo in provincia di Ravenna- la sua carriera iniziò fin da giovanissimo. I suoi genitori avrebbero voluto instradarlo verso la carriera ecclesiastica, ma le condizioni precarie della famiglia ( era l’ultimo figlio di dieci) e, soprattutto, la poca inclinazione di Stefano allo studio lo fece lasciare in terza elementare. Nel corso degli anni, fece diversi umili lavori come il bracciante agricolo e il muratore e fu proprio durante queste giornate di lavoro che conobbe, forse, ladri e malviventi che lo portarono a darsi alla criminalità. Sicuramente, contribuì il suo senso di rivalsa nei confronti delle classi più agiate: quotidianamente notava, soprattutto quando lavorava nei campi, i numerosi privilegi sociali ed economici della nobiltà e questo dette un forte impulso al brigantaggio. Già nell’adolescenza, egli aveva già collezionato una sostanziosa lista di crimini, tra cui un omicidio: sembra che a Bagnacavallo, durante una lite in piazza, avesse scagliato un pietra contro il rivale colpendo una donna incinta. Per questo  lo condannarono al carcere, ma ben presto riuscì ad evadere.

Giornale di Roma che riporta i saccheggi del brigante. WIkipedia.

Dopo l’evasione, si unì a una banda locale che operava nei paesi del ravennate e ben presto ne divenne una figura centrale. Non era ufficialmente il capo, ma un riferimento per i briganti. In molti, nel corso degli anni, si unirono a questo gruppo, tanto che ben presto divenne tra i più numerosi della zona. Operarono dal 1849 al 1851 nei territori vicino a Bologna, Ravenna e Forlì che all’epoca tutte delegazioni pontefice. Il successo dei furti e rapine era una vasta rete di spie, soprattutto con la popolazione più umile: soprattutto,  i contadini avvisavano la banda quando stava per giungere le guardie pontefice. Ed è per questo motivo che il Papato non riuscì mai a fermarli. Da questo momento fu un escalation di violenza: saccheggiò molte città, tra cui Castel Guelfo ( Bologna), Cotignola (Ravenna) e Consandolo ( Ferrara).

Le sue imprese criminali

La sua impresa più celebre, e violenta, però fu quella di Forlimpopoli, il 25 gennaio del 1851, quando lui e la sua banda entrarono nel teatro della città e, con i fucili sugli spettatori, iniziarono a elencare alcune persone molto facoltose. Queste li avrebbero dovuti accompagnare a casa, dove alcuni membri della banda li avrebbero rapinati. Tra questi ci fu anche il noto critico Pellegrino Artusi, la cui famiglia ne rimase traumatizzata, soprattutto la sorella, la quale dopo una violenza da parte di un membro della banda, avrà un crollo nervoso, tanto da morire in manicomio. Dopo quest’atto, si rifugiò nell’alta Emilia, vicino alle terre toscane.

Immagine ricreata attraverso una foto dell’epoca. Foto di Aronchi. Wikipedia.

Lo stesso anno però trovò la morte a Russi ( Ravenna). Le dinamiche della morte non sono ancora chiare. La tesi più accredita è, durante la latitanza, qualcuno informò le guardie pontefice. Queste lo trovarono in campagna, nascosto in un capanno. Lo uccisero durante il conflitto a fuoco.

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