L’assedio di Malta e il coraggio di Jean de La Valette

Nella seconda metà del XVI secolo la tranquilla isola di Malta venne sconvolta da un evento che tese a minarne l’indipendenza. Nel 1565, infatti, l’Impero ottomano, deciso a conquistare l’isola, condusse un violento assedio per eliminare l’Ordine ospedaliero di San Giovanni.

A sud della Sicilia, nel cuore del Mediterraneo, l’isola di Malta ha per lungo tempo giocato un ruolo cruciale nel controllo delle rotte commerciali marittime. Dotata di ottimi attracchi naturali divenne ben presto una vera e propria roccaforte strategica.

 

L’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme

Nel 1530 giunse su territorio isolano fra’ Philippe Villiers de L’Isle-Adam, Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, con i suoi cavalieri al seguito. L’obiettivo era la presa di possesso di Malta, ceduta in feudo dall’imperatore Carlo V. L’Ordine, reduce da numerose peripezie, cambiò nome, divenendo Ordine di Malta. In breve tempo l’isola divenne la perfetta base di partenza di navi armate pronte a contrastare turchi e corsari. Nel 1540, poi, i pirati berberi cominciarono a infestare le acque del Mare Nostrum attaccando le navi cristiane. Proprio in seguito allo sciame di azioni offensive l’allora Gran Maestro fra’ Juan de Homedes ordinò il rafforzamento delle difese del forte Sant’Angelo in Birgu e l’edificazione di due nuove roccaforti, una nel promontorio di Senglea e una sulle pendici del Monte Sceberras. Entrambi i progetti furono completati in appena sei mesi e poterono rivestire un ruolo cruciale nel grande assedio del 1565.

 

Jean de La Valette

Nel 1557 fu eletto come nuovo Gran Maestro dell’Ordine fra’ Jean de la Valette. Egli condusse da subito numerosi e violenti attacchi contro le navi non cristiane che comparivano nelle acque a largo dell’isola.

Jean de La Valette in un'opera di Dominicus Custos - Wikipedia
Jean de La Valette in un’opera di Dominicus Custos – Wikipedia

Proprio in quel periodo gli ottomani cominciarono a pianificare l’invasione del piccolo territorio, non cogliendo tuttavia più volte l’occasione propizia. Fu solo nei primi mesi del 1565 che qualcosa cambiò.

Al Gran Maestro venne ricapitato un rapporto stilato da alcune spie genovesi, secondo il quale a breve sarebbe scattata un’incursione nemica. Jean de La Valette decise, quindi, di disporre immediatamente il rafforzamento delle misure difensive, prevedendo sia il reclutamento di nuovi soldati sia la ristrutturazione delle fortezze di Sant’Angelo, San Michele e Sant’Elmo. Nel contempo vennero persino allontanati i civili e posta in essere la tattica della terra bruciata a Malta e Gozo. Le azioni, tuttavia, furono lente e il nemico giunse con quasi un mese di anticipo rispetto alle previsioni, nel maggio del medesimo anno.

 

Il primo assedio

Il Gran turco condusse la flotta, composta da uno spiegamento di forze mai visto prima, da Costantinopoli, partendo nel mese di marzo. Due mesi dopo, nel maggio, arrivò a largo delle coste maltesi senza, però, sbarcare. Costeggiò le rive e toccò la terraferma a Marsa Scirocco. Ciò probabilmente derivò da un contrasto interno ai capi delle truppe.

La prima battaglia interessò il forte Sant’Elmo, alla cui difesa Jean de La Valette aveva assegnato cento cavalieri e cinquecento miliziani. Ad essi fu ordinato di combattere fino alla morte, in attesa dei rinforzi promessi dal viceré di Sicilia. I bombardamenti furono atroci e strapparono la vita a molti soldati, immediatamente sostituiti da nuove truppe. Il forte non cadde, ma la mattina del 3 giugno subì un feroce attacco volto a distruggerne le mura. I giannizzeri si lanciarono furibondi nella scalata della parete in pietra, venendo colpiti dalla colata di fuoco greco disposta dai cavalieri. I pochi superstiti che riuscirono a raggiungere la cima incontrarono soldati addestrati ed equipaggiati che non gli lasciarono scampo. Poche ore dopo i turchi batterono in ritirata.

Gli assediati avevano scongiurato l’attacco non solo tramite la forza dell’esercito, ma anche con l’impiego di tecnologia all’avanguardia per l’epoca. Oltre al fuoco greco le truppe disposero di rudimentali bombe a mano e trombe, potenti lanciafiamme. L’arma più determinante fu il cerchio, un anello ligneo rivestito di un tessuto imbevuto di pece. L’ingegnoso e innovativo strumento veniva acceso e fatto rotolare contro i nemici, trasformandoli in vere e proprie torce umane.

 

La ripresa del conflitto

Nei giorni successivi l’assalto riprese e i due schieramenti si inflissero rispettivamente terrificanti atrocità. L’8 giugno, poi, i cavalieri a difesa del forte, stremati, chiesero al Gran Maestro di poter morire combattendo durante un’incursione in campo nemico. Jean de La Valette, tuttavia, negò l’autorizzazione a procedere e impose ai soldati di rimanere a difesa della roccaforte. Appena dieci giorni dopo, il 18 giugno, forte Sant’Elmo cadde sotto la forza dei nemici, ormai ridotto ad un cumulo di macerie. In quell’occasione, però, accadde un evento insperato. Sulle coste maltesi attraccarono alcuni nobili licatesi, guidati da Giovanni Antonio Grugno. Essi riuscirono a colpire, con il loro cannone, il capitano ottomano Dragut, salito su un’altura per assistere alla battaglia.

Il 23 giugno i turchi si appropriarono definitivamente della roccaforte, ma la vittoria fu amara. Le forze nemiche, infatti, subirono una terribile decimazione e la feroce rappresaglia degli sconfitti, che sotto ordine di Jean de La Valette decapitarono i prigionieri e ne lanciarono le teste verso il campo nemico. L’errore strategico per gli ottomani fu evidente.

Il culto dei morti Toraja, dove i defunti tornano in vita

Il culto dei morti Toraja, dove i defunti tornano in vita

I soccorsi

Nel frattempo la notizia dell’assedio giunse nel continente e destò grande preoccupazione. Se i turchi fossero riusciti a conquistare Malta essa sarebbe divenuta la base di partenza per la conquista dei territori italiani e di larga parte dell’Europa occidentale. Si decise, dunque, di inviare un Gran Soccorso. La spedizione, capitanata dal genovese Gianandrea Doria, comprendeva navi appartenenti a tutti gli stati mediterranei, ad eccezione di Francia e Venezia.

Filippo II di Spagna ordinò al viceré di Sicilia di non spiegare tutte la sua potenza navale, memore della terribile sconfitta di Gerba. Il viceré fu quindi colto da un terribile dilemma. Il suo onore di combattente gli imponeva di partire alla volta dell’isola assediata, ma la politica lo tratteneva. Fu così che alcuni trasgressori si misero in mare per portare aiuti alle truppe della resistenza. Persino Enrique de La Valette, nipote del Gran Maestro, partecipò alle operazioni, non riuscendo però a raggiungere la costa.

Solo il 28 giugno un manipolo consistente di uomini giunse a Malta e poco dopo anche la spedizione disposta dal Ducato di Savoia, chiamata Piccolo Soccorso, contribuì a migliorare lo spirito della resistenza.

 

Il secondo assedio

Ben presto i nemici riorganizzarono le truppe e si prepararono per un secondo, feroce, assalto. Ebbe tutto inizio con un tentativo di attacco anfibio contro il promontorio di Senglea, scongiurato grazie alla soffiata di un disertore turco. Jean de La Valette, informato, decise di costruire misure difensive sottomarine ed il 15 luglio le navi nemiche vi si schiantarono contro. Anche i pirati vennero abbattuti e l’azione marittima fallì.

L'assedio di Malta in un dipinto di Matteo Perez d'Aleccio - Wikipedia
L’assedio di Malta in un dipinto di Matteo Perez d’Aleccio – Wikipedia

Allo stesso tempo i nemici attaccarono Birgu e Medina, abbattendosi sulle città con una potenza di fuoco mai vista fino ad allora. L’assedio, nonostante il dispiegamento di forze, fu respinto.

Il 7 agosto, poi, i turchi tornarono alla carica scagliandosi contro il forte San Miguel e la cittadella di Birgu. La Valette, allora, decise di far uscire i cavalieri dalle mura e lasciare che essi combattessero corpo a corpo. Ciò determinò la ritirata. I nemici, tuttavia, non si persero d’animo e continuarono ad attaccare ininterrottamente per giorni. Il 18 agosto, poi, riuscirono ad aprire una breccia nelle mura difensive e le truppe giannizzere vi si precipitarono. L’evento costrinse persino La Valette a scendere in campo, infondendo nei suoi uomini coraggio, tanto da riuscire a respingere l’offensiva.

 

L’esito del conflitto

Il Gran Soccorso, poi, tardava ad arrivare. La flotta, nonostante le tante difficoltà, riuscì a raggiungere l’isola e infliggere il colpo di grazie ai turchi. Essi, sconfitti nel combattimento sulla piana di Pietranera, si ritirarono e il 12 settembre lasciarono Malta.

La notizia della vittoria cristiana giunse rapidamente nel continente e in segno di ringraziamento vennero inviati sull’isola numerosi doni. Papa Pio IV offrì a La Valette, persino, di divenire cardinale, ma il Gran Maestro rifiutò. Egli, ricevute ingenti somme di denaro dai sovrani europei, decise di avviare la costruzione di una nuova capitale fortificata, che potesse accogliere la sede del suo Ordine. La città, completata dopo la morte del suo fondatore, fu chiamata La Valletta.

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