Tazio Nuvolari, il pilota d’Italia
L’automobilismo ci ha regalato, nel corso della sua storia, numerose personalità che, ancora oggi, ricordiamo con ammirazione, come nel caso di Nuvolari. Chi era però questo pilota eterno?

Tazio Nuvolari, il pilota d’Italia
Tazio Giorgio Nuvolari nasce a Castel d’Ario (Lombardia) l’11 novembre del 1892 da Arturo ( agricoltore) e Elisa Zorzì. Già da piccolo, lo spirito sportivo era insito nella sua persona poiché, infatti, sia il padre sia lo zio era validi ciclisti che avevano partecipato e – in qualche caso- vinto qualche gara. Tazio iniziò a interessarsi al motociclismo, grazie allo zio che lo introdusse in quest’ambiente e facendogli da primo maestro. Gli faceva, infatti, guidare le sue moto quando era poco più che un’adolescente. Da parte dei genitori, soprattutto il padre, l’educazione fu abbastanza rigida: Arturo, infatti, aveva un carattere deciso che trasmise al figlio, facendogli superare le sue paure e soprattutto spingendolo sempre ad andare oltre i suoi limiti. Questo, come si può immaginare, fu fondamentale perché Tazio lo sfruttò nelle gare automobilistiche e motociclistiche. Lo scoppio però della Prima Guerra Mondiale capovolse anche gli equilibri della famiglia Nuvolari: Tazio fu arruolato come autiere ( trasporto e guida di autoveicoli) del servizio automobilistico dell’esercito. Ed è forse qui che comprese quanto la sua passione per i motori fosse forte, tanto che già nel 1920 ( secondo altre fonti nel 1915) ottenne la licenza da pilota di moto da corsa.

La carriera di Tazio
In ogni modo, la carriera da pilota esplose nel 1920 sul Circuito internazionale Motoristico di Cremona, vinse però la prima gara l’anno successivo a Verona e poi ancora nel 1923 a Busto Arsizio. Tra gli estimatori e cultori della sua persona fu, però, la gara del 1924 per la casa automobilistica Chiribiri, tra le prime degne di note: in questa, Tazio condusse una corsa tirata, fermandosi varie volte anche in situazioni pericolose, come a picco sul mare. Inoltre, vicino ormai all’arrivo, si ribaltò e, rimasto illeso, chiese aiuto agli spettatori per rivoltare la vettura. Una volta ripartito, tagliò il traguardo per primo. Sebbene le quattro ruote gli avessero dato grandi soddisfazioni, non abbondonò nemmeno le due e con le quali continuò a ottenere numerosi risultati.

Il successo vero arrivò però con la Bianchi ( casa ciclistica e automobilistica di Edoardo Bianchi), con la quale firmò il contratto nel 1924. Dopo un inizio in sordina, sul circuito ostiense riuscì a imporsi, arrivando tra i primi. E anche su quello di Lario, giungendo al traguardo primo. Nel frattempo, si stava svolgendo il Gran Premio Motociclistico delle Nazioni, un’importante gara italiana a cui partecipavano tutti i grandi dell’epoca. Nuvolari, in quel momento, si trovava a Monza e, quando seppe che l’Alfa Romeo cercava un sostituto per la sua vettura, si propose. Dopo aver eguagliato il tempo del precedente pilota ( Antonio Ascari) ottenne l’ingaggio. Durante la corsa, però, un gravoso incidente lo coinvolse: portato in ospedale, con diverse fratture e lacerazioni, Nuvolari si fece medicare e decise di correre ugualmente. Vinse, diventando il campione d’Europa nella classe 350. La stagione successiva però fu deludente, non ottenne nessun risultato soddisfacente.
Tra le macchine e le moto
L’amore per le macchine non lo abbandonò mai: nel 1927 creò la propria casa automobilistica, così da partecipare ai vari premi e gare. Acquistò quattro Bugatti, con le quali vinse il Gran Premio di Tripoli e poi il circuito veronese. Nel 1935, l’Alfa Romeo, dopo la morte di un suo pilota di punta ( Gastone Brilli Pieri), era rimasta di nuovo sprovvista e così convocò Nuvolari, con il quale sottoscrisse un contratto. Alla gara delle Mille Miglia, Nuvolari dimostrò la sua astuzia: per tutte le tappe, aveva sempre avuto lo scontro con il suo rivale, Achille Varzi e, dopo aver recuperato un ritardo, nei pressi di Vicenza, spense le luci dell’auto, simulando così un guasto, si fece passare da Varzi e, guidando grazie ai fari dell’avversario, lo superò, stracciandolo sul traguardo. Dopo altre vittorie, la sua fama era ormai nazionale, tanto che D’Annunzio lo invitò al Vittoriale come ospite insigne.

Il Vate gli regalò anche una tartaruga d’oro , strappandoli però la promessa di vincere la Targa Florio, una gara che si disputava due settimane dopo. È inutile dire che Tazio non deluse le attese dannunziane. Altri successi lo decretarono il pilota migliore d’Italia, fino allo stop forzato della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra, partecipò ad altri premi, ma la sua salute iniziò pian piano a farsi più fragile. Tazio non decretò mai il suo ritiro ( forse non volendo credere di abbandonare il sua grande amore) ma nel 1952 fu colpito da un ictus che lo lasciò semiparalizzato. Se ne andò l’anno dopo, l’11 agosto sempre a causa di un altro ictus.
Oggi, la sua memoria collettiva è invariata; amanti delle auto e non lo ricordano con ammirazione perché ha reso grande l’Italia nel mondo.
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