L’invenzione della ghigliottina

Nel pieno fervore dell’Umanesimo francese comparve, come un inquietante presagio, una macchina destinata a segnare la storia del Paese sotto un terrificante marchio di sangue.

La ghigliottina, tristemente nota per il frequente utilizzo durante l’epoca del terrore in Francia, nacque da mente francese solo nella sua forma definitiva. Macchine analoghe, infatti, apparvero già in Irlanda sul principio del XIV. Una stampa del 1307, attualmente al British Museum, racconta la tragica storia di uno dei primi usi dello strumento, in occasione della condanna a morte di un tale Murdoc Ballag.

Altre attestazioni collocano oggetti simili in Italia, Inghilterra e Germania. Nel Regno di Napoli giunse, stando alla Cronaca figurata del Ferraiolo, almeno dalla fine del XV. Nel resto del Paese il marchingegno di uso comune era la Mannaja, che rimase in vigore a Roma sino alla conquista della città da parte del Regno d’Italia nel 1870. Lo strumento era per forma e funzione del tutto simile alla ghigliottina francese, ma se ne distaccava per la curvatura della lama, nel caso italiano a mezzaluna e non obliqua. Quasi un secolo dopo sarebbe poi apparsa oltremanica, con il nome di Scottish maiden, e tempo dopo l’analogo Patibolo di Halifax si diffuse in tutta l’Inghilterra.

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Diffusione francese

In Francia la ghigliottina spopolò sul finire del regno di Luigi XVI, che ne testò di persona e tragicamente l’efficienza. Erroneamente la sua invenzione fu, per decenni, attribuita al dottor Joseph-Ignace Guillotin, dal quale, comunque prese il nome. Egli in realtà contribuì a diffonderne fama ed utilizzo attraverso la presentazione di un progetto di legge di fronte all’Assemblea Nazionale, tenutasi a Parigi il 9 ottobre 1789. La proposta legislativa constava di sei articoli nei quali veniva stabilita l’uguaglianza della pena a dispetto del rango del condannato. Stesso valeva anche per il tipo di reato nel caso in cui fosse stata decretata la pena di morte, perpetrata a mezzo della ghigliottina.

Vi fu una seconda occasione nella quale Guillotin presentò l’efficacia del marchingegno. In questo caso, il 1° dicembre dello stesso anno, sembra che il medico abbia utilizzato un tono non apprezzato dalla platea che lo derise, ma approvò il primo articolo dell’emendamento. Qualche settimana dopo, il 21 gennaio 1790 la discussione fu ripresa, ma il secondo articolo non passò neppure ai voti.

Applicazione

Il dispositivo, che nella sua forma ad oggi conosciuta nacque proprio in territorio francese nel XVIII secolo, ebbe un largo successo principalmente per la capacità di garantire un’esecuzione identica per tutti i condannati. La lama in metallo, originariamente orizzontale e solo in un secondo momento orizzontale, si abbatteva sui colpevoli con forza lungo dei binari. Il collo del malcapitato veniva reciso di netto, evitando inutili e terrificanti agonie.

Discussione legale

Il periodo che rese tristemente celebre lo strumento fu quello delle Rivoluzione Francese, durante la quale il capo dei condannati, raccolto in un secchio di zinco, veniva mostrato al pubblico dal boia. In quel tempo fervettero i lavori per la redazione di un nuovo Codice penale e nel 1791 tornò in auge la discussione in merito alla pena di morte. Essa restò in vigore, ma si allargò il dibattito sulla sua effettiva esecuzione. La scelta ricadde fra impiccagione e decapitazione e vinse la seconda. La decisione suscitò una voce di dissenso. Il boia di Parigi Charles-Henri Sanson, infatti, scrisse una lettera al ministro della giustizia Duport-Dutertre, evidenziando quanto l’uso della macchina avrebbe nuociuto al suo lavoro. A suo dire, poi, la destrezza dell’esecutore e la collaborazione del condannato sarebbero state necessarie al fine di un’ottimale decapitazione.

Costruzione e messa in opera

L’evoluzione della macchina fu laboriosa e impegnò persino un illustre medico quale era Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Accademia di Medicina, chiamato in seguito al perentorio rifiuto di Guillotin. Louis presentò, nel marzo del 1791 una descrizione tecnica e molto dettagliata della ghigliottina. Vista poi l’urgenza di assicurare una morte rapida ai condannati venne incaricato il carpentiere Guidon della realizzazione materiale. Egli gonfiò smisuratamente il preventivo suscitando lo sdegno del ministro delle imposte. Sanson, dunque, intervenne ancora e presentò a Louis un amico clavicembalista, il prussiano Tobias Schmidt.

Nella primavera del 1792 la ghigliottina fu pronta e sotto la sua lama cadde, per primo, Nicolas Pelletier, reo di aver commesso omicidio e furto. La folla, a onor del vero, rimase profondamente delusa dalla velocità dell’esecuzione.

Pelletier fu solo il primo di una lunga serie, che contemplò persino il re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta d’Asburgo Lorena. Ancora ad oggi resta sconosciuto in numero preciso dei condannati ad aver subito tale supplizio capitale, ma il metodo divenne talmente efficiente da essere esportato in Cina, Algeria, Madagascar, Principato di Monaco e altri stati europei. In Francia se ne attestò l’ultimo uso pubblico nel 1939 all’esterno della prigione di Saint-Pierre a Versailles. L’evento destò un tale morboso interesse da indurre il governo a spostare le esecuzioni lontane da occhi curiosi. L’ultima applicazione si ebbe il 10 settembre 1977 a Marsiglia, nel carcere, quando perse la vita Hamida Djandoubi, torturatore e omicida della fidanzata.

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