Marco da Nizza e le sette città d’oro
Al di là del mondo conosciuto, in un luogo remoto e dimenticato dagli uomini nacque una straordinaria leggenda. Nel pieno del fiorente Rinascimento spagnolo un frate narrò che a Cibola, località sperduta oltre l’Atlantico, esistessero sette splendide città d’oro.
Agli albori del XVI secolo, un frate, Marco da Nizza, salpò dalle coste europee carico di aspettative. L’uomo, diretto nelle Americhe, attraversò l’oceano per unirsi alla spedizione in Perù capitanata da Francisco Pizarro. Lì poté assistere personalmente alla caduta di uno dei più celebri e ricchi imperi del sud America, quello Inca. Pochi anni dopo, in seguito ad un lungo soggiorno in Guatemala, giunse in Messico. Dietro ordine del viceré Antonio de Mendoza, affascinato dai mirabolanti racconti di Álvar Núñez Cabeza de Vaca sui popoli indigeni, il frate esplorò la zona settentrionale del paese. Il viaggiò durò ben tre anni, durante i quali entrò in contatto con gli Zuñi, popolo dal quale apprese la straordinaria storia delle sette città d’oro.
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Il viaggio
Nel 1539 il francescano si rincamminò e con l’esploratore Estevanico si mise alla ricerca del mitico luogo. Le città sarebbero sorte nel XII secolo, in seguito alla conquista di Merida da parte dei Mori. In quel tempo di orrore, infatti, sette vescovi avrebbero lasciato la Spagna carichi di tesori nella speranza di poterli nascondere e proteggere dagli infedeli. Essi, oltrepassato l’oceano, avrebbero fondato una città ciascuno: Aira, Anhuib, Ansalli, Ansesseli, Ansodi, Ansolli e Con. La reale posizione dei neonati centri rimase per molto tempo un mistero. Inizialmente si affermò l’idea che potessero trovarsi ad Antilia, un’isola leggendaria nel bel mezzo dell’Atlantico. In seguito, si credette che fossero situate in Nord America. Fu grazie ad un libro scritto da Álvar Núñez Cabeza de Vaca che le città furono definitivamente individuate a Cibola, luogo il cui nome deriverebbe da cibolo, termine in uso per indicare i bisonti, tanto diffusi nelle praterie nordamericane.
Lungo il tragitto i due fecero ritorno nella terra degli Zuñi che li riaccolsero con rabbia, furiosi soprattutto con Estevanico. Egli, secondo loro, sarebbe stato colpevole di estrema cupidigia e avrebbe desiderato non solo di appropriarsi dei loro beni, ma anche delle loro donne. Fu così che l’esploratore berbero fu ucciso e frate Marco da Nizza, rimasto solo, dovette lasciare il Messico e fare ritorno in Spagna.
La spedizione che portò alla rovina
Giunto alla corte del viceré narrò le sue peripezie, non dimenticando di citare l’esistenza di un mitico regno colmo di ricchezze, da lui scovato. Convinto, probabilmente, che il sovrano lo avrebbe rispedito in Sudamerica, questa volta accompagnato e difeso da una scorta armata, fu deluso nell’apprendere ciò che sarebbe accaduto in seguito. Antonio de Mendoza decise di assegnare a Francisco Vázquez de Coronado, un esploratore iberico, il compito di cercare il luogo tanto decantato dal religioso, che lo avrebbe accompagnato. Allo stesso tempo fu chiesto anche a Hernando de Alarcón di partire per il golfo della California, procedendo via mare una volta giunto a destinazione. I due contingenti salparono nel 1540 e fu in quel periodo che le cose per il frate cominciarono a precipitare. Quando gli esploratori raggiunsero Cibola risultò chiaro l’errore. Non esisteva alcuna città d’oro, al loro posto solo poveri villaggi abitati da popoli locali. Sul francescano ricaddero le conseguenze del suo gesto. Allontanato con disonore dalla spedizione e macchiato dalla vergogna decise di ritirarsi in uno sperduto convento, dove morì nel 1558.