Il megalodonte, mostro dei mari
A spasso per gli oceani secoli or sono spadroneggiava un maestoso predatore. Considerato fra i più grandi animali ad aver mai popolato le acque terrestri, il megalodonte è entrato nell’immaginario collettivo, tanto da influenzare con forza la cultura di massa.
L’animale, ormai estinto, era uno squalo di maestose dimensioni, noto attualmente grazie al ritrovamento di grandi denti fossili. Proprio questi ultimi, insieme ad altri resti, sono stati rinvenuti in contesti risalenti al lungo arco cronologico compreso fra Miocene e Pliocene, corrispondenti a circa 13,6 e 4,2 milioni di anni fa.
Megalodonte e squalo bianco
Per lungo tempo si è immaginato che il megalodonte potesse essere imparentato con lo squalo bianco, al quale molti studiosi lo hanno paragonato. L’animale, appartenente alla famiglia degli Otodontidi, estinti, secondo altri esperti potrebbe essere stato simile piuttosto ad uno squalo elefante o ad uno squalo toro, anche per le sue notevoli dimensioni. I fossili, infatti, restituirebbero una stima di lunghezza massima pari a circa 15 metri.
Il suo attacco doveva essere certamente implacabile. Le possenti mascelle potevano esercitare una forza straordinaria, pari a quasi 90mila Newton. Una letalità raggiunta solo da alcuni coccodrilli, come ad esempio il Purussaurus, che era persino in grado di superarla.
Nei decenni il megalodonte ha affascinato moltissimi ricercatori, che ne hanno fornito una prima descrizione solo nel 1881, ad opera di Roberto Massimo Lewley. Il naturalista lo classificò come Selache manzonii, ma sul tema è ancora fervente il dibattito. L’animale, infatti, è stato inserito, a partire dal 1995, nel neonato genere Carcharocles, classificazione largamente accettata dagli esperti. Solo nel 2016 giunse la proposta di una nuova classificazione, con la rivalutazione del genere Otodus e l’inserimento dei Carcharocles proprio in questo gruppo.
In virtù della valutazione biologica l’animale vivente considerabile più vicino nella scala evolutiva sembra essere il grande squalo bianco, fatto comunque messo largamente in discussione. Nonostante l’apparente somiglianza, in particolare dell’apparato dentario, alcuni ricercatori hanno avanzato per i due animali la sussistenza del fenomeno dell’evoluzione convergente. Lo squalo bianco, infatti, sarebbe più vicino allo squalo Isurus hastalis.

Un mostro colossale
La ricostruzione delle dimensioni e della forma del grande megalodonte è stata compiuta sulla base dello squalo bianco, nonostante se ne conservino esempi di denti e alcune vertebre. Come già specificato l’opinione comune è che la lunghezza massima potesse raggiungere i 15 metri circa, tuttavia, negli anni ’90 del secolo scorso è stato ipotizzato, da due biologi marini che l’animale potesse raggiungere persino i 25 metri. Queste colossali dimensioni avrebbero impattato anche sul peso, attestato intorno alle 35 tonnellate. Un animale di tale stazza rappresentava certamente un pericolo terrificante per altri abitanti marini, vista anche la sua voracità. Lo squalo, infatti, necessitava di una grande quantità di cibo giornaliera, che doveva aggirarsi intorno ad un quinto del suo peso.
Diffusione
L’habitat ideale erano le acque oceaniche, in larga parte della loro estensione, vista anche la grande capacità adattiva. L’animale prediligeva i climi più temperati e caldi e le zone relativamente più vicine alle coste, dove poteva incontrare una maggior quantità di prede. Si registrano, tuttavia, alcuni ritrovamenti fossili in mare aperto, a dispetto della predilezione alla caccia in acque più basse. Le femmine, poi, si pensa deponessero le uova in baie isolate, dove i piccoli potessero rimanere protetti fino ad una crescita sufficiente a farli nuotare senza rischi.
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Nei decenni si sono affermate molte teorie, alcune delle quali hanno propugnato la sopravvivenza di alcuni esemplari o quantomeno la loro estinzione in tempi di gran lunga più recenti rispetto a quelli indicati nelle ipotesi ufficiali. Gli indizi a favore, però, sarebbero scarsi e poco consistenti. Si tratta non solo del ritrovamento di due denti, per i quali è stata proposta una datazione fra i 24mila e gli 11mila anni fa, ma anche di numerosi presunti avvistamenti. I denti, innanzitutto, potrebbero appartenere ad un deposito pleistocenico, ma aver raggiunto, a causa di una forte erosione, uno strato successivo. Gli avvistamenti, poi, sarebbero fonte, nella maggior parte dei casi, di un apparente abbaglio. Il grande mostro marino, infatti, sarebbe stato confuso più volte con squali elefante e squali balena o persino altre specie.
L’immaginario collettivo continua ad essere catturato da una fascinazione mista a terrore. Oltre ad essere stato protagonista di innumerevoli racconti, il megalodonte è apparso per decenni anche nella cultura cinematografica, finendo per divenire protagonista assoluto di pellicole che lasciano lo spettatore con un brivido lungo la schiena.
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