Il disastro di Bhopal

Nel 1984 nella zona del Bhopal, in India, avvenne un incidente molto grave che ebbe conseguenze disastrose; il 3 dicembre, infatti, nello stabilmente industriale della società Union Carbide ci fu una fuoriuscita di circa quaranta tonnellate di isocianato di Metile ( MIC), una sostanza altamente tossica e infiammabile.

Il disastro di Bhopal

La società Unione Carbide era stata fondata all’inizio degli anni Trenta e fu uno dei primi investimento nello stato indiano. Si tratta di un colosso del settore che operava in vari campi chimici e industriali. Al momento dell’incidente, lo stabilmento era compartecipato anche da azionisti privati. Fondarono l’impianto di Bhopal nel 1969 su un terreno statale, il quale era vicinissimo al centro urbano della città. Produceva principalmente insetticidi e, solo in seguito aggiunsero anche quella di Isocianato di Metile, utile anche questo per la produzione degli insetticidi. In questo modo, la società americana si garantì la sua produzione, essendo l’unico impianto fuori dagli USA a produrlo. Tutto sembrò filare liscio fino alla fine degli Settanta quando la produzione iniziò a rallentare; nel mercato, infatti, erano stati introdotti prodotti molto più economici e meno danno per l’ambiente e l’uomo. Quindi, le scorte aumentarono a dismisura poiché la sua realizzazione, sebbene il calo di richieste, continuò.

L’impianto di Bhopal. Foto di Bhopal Medical Appeal, Martin Scott. Wikipedia.

La notte tra il 2 e il 3 dicembre, il turno di notte iniziò come di consueto le operazioni di pulizia; queste sono particolarmente delicate perché il materiale non deve entrare in contatto con l’acqua, con la quale reagisce violentemente. Per questo motivo, al momento della pulizia, l’isocianato era isolato con alcune paratie; la notte, però, del 2 dicembre, una di queste non resse e quindi l’acqua toccò la sostanza. La reazione si sviluppò in calore, facendo aumentare la temperatura dell’isocianato che, quindi, iniziò a bollire. L’ebolizione comportò l’aumento di pressione che ruppe così i serbatoi e fece uscire la sostanza. Nell’arco di poco tempo, ne uscì una quantità impressionante di sostanza.

Il disastro

Il tempo meteorologico poi fece il resto; l’umidità creò uno strato spesso della sostanza che era più pesante dell’aria. La nuvola tossica si diresse, con l’aiuto del vento, verso l’agglomerato urbano. Le conseguenze furono immediate: in moltissimi iniziarono ad avere crisi respiratorie e forti reazioni cutanee. Molti fuggirono dalla parte opposta della nuvola, su un colle, cercando aria fresca. Fin da subito, fu chiaro che le norme di sicurezza non avevano funzionato, nessun allarme o protezione era stato fornito, colpendo così la popolazione, ignara del disastro.

Murales in ricordo delle vittime. Foto di Luca Frediani. Wikipedia.

Sebbene le indagini fossero partite subito, in realtà non dettero molti risultati: il governo americano non s’interessò molto e dall’altra parte quello indiano cercò di sminuire l’incidente, annacquando le pene ai dirigenti d’azienda. Alla fine, però, l’azienda pagò circa 400 milioni di dollari di risarcimento, ma pochissimi arrivarono ai superstiti.
Cercarono anche di ripulire la zona. Oggi, questa sembra sempre contaminata, sebbene i livelli si siano abbassati notevolmente. Resta però sempre dannosa per la salute umana.

Condividi