Cristina Trivulzio di Beljoso, storia di una patriota
Prima ancora che il Bel Paese divenisse l’Italia unita che il mondo contemporaneo è abituato a conoscere uomini e donne hanno lavorato nell’ombra affinché i cittadini di tutta la Nazione potessero unirsi sotto una sola bandiera. Un personaggio, di cui la memoria si è spesso persa fra le pieghe della storia, apparteneva alla ricca nobiltà Milanese ed era conosciuta sotto il nome di Cristina Trivulzio di Beljoso.
Cristina nacque a Milano nel 1808 da una ricca e nobile famiglia, fra le più antiche della città. Il padre, IV marchese di Sesto Ulteriano, scomparve quando la figlia era ancora in tenerissima età. La madre, rispettato il lutto annuale, si risposò con un discendente dell’influente famiglia Aragona e con lui ebbe quattro figli. Anche questa unione, tuttavia, era destinata a finire. Il marito, Alessandro Visconti, fu arrestato nel 1821, con l’accusa di partecipazione ai moti carbonari. L’evento, seguito alla morte del padre, segnò profondamente la piccola Cristina. L’uomo, con l’aiuto della moglie, riuscì ad essere rilasciato pochi anni dopo, nel 1824, ma non si riprese mai e per la figliastra fu come perdere un secondo padre.
Appena adolescente toccò alla giovane Cristina trovare marito e la scelta ricadde sul principe Emilio Barbiano di Beljoso, a discapito dell’atteggiamento sprezzante e libertino del pretendente. La sedicenne, celebre come ereditiera più ricca d’Italia, convolò a nozze con una cerimonia che raccolse i più importanti esponenti della nobiltà italiana dell’epoca.
La vita coniugale non fu semplice, le abitudini del principe non tardarono a bussare alla porta di Cristina, che dal canto suo cominciava una lunga lotta che la tormenterà fino alla morte. La donna scoprì, infatti, di soffrire di epilessia, patologia che oltre a provocarle gravi crisi incise sul suo comportamento, azzerando qualsiasi appetito sessuale. Tutto questo, unito ad una duratura relazione intercorsa fra il marito e Paola Ruga, un’amica della donna, determinò la separazione. Il divorzio non giunse mai, ma i due si allontanarono a partire dal 1828.
A quegli anni risale anche il primo contatto fra la Beljoso e alcune personalità coinvolte a stretto giro nei movimenti di liberazione nazionale contro il dominio austriaco. Per lungo tempo Cristina riuscì a non finire mai nelle grinfie dei nemici, che visto il suo rango non osarono arrestarla. Il nonno materno era stato Gran Ciambellano dell’Imperatore d’Austria e successivamente anche Ministro Plenipotenziario d’Austria presso il Regno Sabaudo. Lo scandalo scaturito dall’arresto della nipote di una tale personalità avrebbe prodotto un contraccolpo terribile.
Proprio nell’anno dell’allontanamento coniugale la principessa decise di lasciare Milano. Alla fine dell’anno giunse a Genova, dove ricevette una calda accoglienza, anche dall’aristocrazia locale. Riuscì, infatti, a stringere un duraturo rapporto con la marchesa e patriota Teresa Doria. La salute precaria, tuttavia, la costrinse spesso a lunghi periodi di riposo, che non furono, però, per Cristina una battuta d’arresto. Entusiasta di trovarsi in un ambiente tanto fervente intessé numerosi rapporti di matrice rivoluzionaria.
Già dall’anno successivo, il 1829, ebbe inizio un intenso periodo di peregrinazioni fra le maggiori città del Paese. Fu a Roma, dove probabilmente entrò a far parte della Carboneria, poi a Napoli e infine a Firenze. In Toscana conobbe molti amici e visse un periodo di grande spensieratezza.
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Il primo soggiorno in Francia
La forte vivacità di spirito della principessa la spinse anche oltre i confini nazionali. Nel 1830 decise di partire per la Svizzera. A Ginevra si sottopose alle più innovative cure mediche, nel tentativo di contrastare i pesanti sintomi derivanti dalla sua malattia. Da lì, in cerca di un clima mite che potesse giovarle e sotto consiglio del medico, decise di spostarsi in Francia, in un piccolo centro della Provenza. Prima della definitiva partenza, tuttavia, si recò a Lugano, in visita alla madre e alla confidente e amica Ernesta Bisi.
In quel periodo le autorità austriache intensificarono il controllo su di lei, giungendo in un’occasione persino a tentare di impedirne l’espatrio.
Cristina riuscì, nonostante tutto, grazie ad un arguto ingegno e ai molti contatti a raggiungere la Francia. Si fermò prima in Provenza, poi a Marsiglia e Lione, ma il soggiorno più lungo sarà a Parigi. Nella capitale la principessa visse per mesi in forte ristrettezza economica. Le autorità austriache, infatti, nel tentativo di riportarla nel regno le confiscarono l’intero patrimonio, costringendola a lavorare come sarta per sopravvivere. La donna, con coraggio, affrontò tutte le asperità che le giunsero d’innanzi, decisa a non fare ritorno in territorio imperiale.
In quei mesi ebbe modo di frequentare il generale La Fayette, con il quale stabilì un rapporto di grande affetto.

Egli tentò strenuamente di aiutare la donna, riuscendo a far intercedere in extremis il conte Apponyi, ambasciatore imperiale a Parigi.
Cristina, sempre in cerca di nuovi stimoli, iniziò una fruttuosa collaborazione con il giornale Constitutionnel, sul quale pubblicò numerosi articoli in merito alla questione italiana, oltre ad occuparsi anche della traduzione di pezzi dall’inglese. Sotto invito del redattore Alexandre Bouchon fu autrice di un bozzetto raffigurante il parlamento francese, firmandosi La Princesse ruinée.
Nei mesi successivi le finanze della principessa tornarono ad avere rinnovata fortuna, tanto che propose al coniuge, ormai lontano da anni e volenteroso di trasferirsi a Parigi, di condividere una nuova e non più modesta abitazione.
Nella capitale ebbe occasione di dar vita ad un vivace salotto, nel quale accoglieva borghesia europea ed esuli italiani. Esso divenne, nei dieci anni di permanenza della donna, uno dei più importanti e famosi crogioli di artisti, letterati e intellettuali. In quel periodo le furono persino dissequestrati i beni, in seguito ad un complesso sistema di intercessioni, al vertice del quale si pose lo stesso Metternich.
Il soggiorno francese della Beljoso non fu esente da gravi asperità. Non per ultima l’opposizione contrappostale da numerosi immigrati italiani. La posizione della donna agli occhi dei connazionali era peggiorata dal difficile rapporto con Mazzini, di cui Cristina non approvava l’attività politica.
Si avvicinò anche al mondo del liberalismo cattolico, sviluppando forte affinità con il pensiero dell’abate Pierre-Louis Coeur. Il sacerdote era un attivo sostenitore della necessità per la Chiesa di abbracciare il processo sociale. Il rapporto fra i due si strinse con il passare del tempo, a partire dal 1834, sfociando in un’intensa relazione epistolare.
In parallelo la principessa mantenne sempre un grande interesse per la causa italiana, continuando ad apportarle un fondamentale contributo. Agì attraverso i giornali, intercedendo presso i potenti ed elargendo generose somme di denaro.
La svolta nella complessa vita della donna giunse con la nascita dell’unica figlia, Maria, evento che la indusse a trascorrere alcuni anni in uno stato di semi-isolamento.
Il rientro in Italia
Nel 1839, dopo una serie di rapidi spostamenti, rientrò in Italia. Nonostante ad accoglierla avesse trovato l’amica Ernesta Bisi il primo impatto con la madrepatria non fu positivo. L’eco della ribellione carbonara era lontana e l’élite locale la accolse con grande freddezza. Primo fra tutti Alessandro Manzoni, che le impedì persino di recarsi a porgere l’ultimo saluto alla madre Giulia Beccaria, di cui Cristina era sinceramente amica.

Trasferitasi nella residenza famigliare di Locate si impegnò con dedizione ad aiutare i poveri della zona. Si spese instancabilmente per combattere l’analfabetismo infantile e a tale scopò aprì una scuola elementare per ragazzi e ragazze e vari fra laboratori e istituti tecnici per permettere ai giovani di imparare un mestiere. La donna, tuttavia, non si limitò a questo. Secondo il modello fourieriano trasformò la sua dimora in un falansterio, dove accolse donne in difficoltà e malati. Tentò di estendere agli altri proprietari terrieri il suo obiettivo umanitario, ma la proposta non trovò terreno fertile. Cristina, determinata, non si abbatté. Nel tempo, infatti, organizzò anche associazioni di lavoratori anticipando di molto l’avvento del sindacalismo.
I rapporti con gli amici francesi non cessarono mai e fatto ritorno a Parigi la Trivulzio ebbe occasione di conoscere nuovi personaggi che intrecceranno fortemente le loro vite con la sua. Uno dei frequentatori più assidui fu Victor Considerant, la cui presenza influirà profondamente nel pensiero della nobildonna.
In quegli anni fervette sempre più anche l’attività giornalistica, alla quale Cristina si dedicava con instancabile impegno. Divenne la sua occupazione principale fra il 1845 e il 1848, quando diffuse clandestinamente in Italia la neonata Gazzetta italiana, fondata poco prima a Parigi. Tirò le fila del quotidiano invitando personalità di spicco a scrivervi, ottenendo firme del calibro di Giuseppe Montanelli e Angelo Brofferio. Dopo appena un anno la Trivulzio abbandonerà il progetto, costretta dalla strenua opposizione dei mazziniani e dalla censura austriaca, ma si dedicò alla creazione di una seconda testata, l’Ausonio.
Continuò a battersi anche in campo politico, tentando di convincere quanti più sostenitori possibili ad abbracciare la causa di Carlo Alberto di Savoia. Solo appoggiando la dinastia piemontese, infatti, sarebbe stato possibile unire il Paese. L’idea della principessa non era, tuttavia, l’instaurarsi di una monarchia, bensì la creazione di una repubblica a immagine somiglianza di quella francese.
Nel 1848, durante un soggiorno a Napoli venne a conoscenza dello scoppio delle cinque giornate di Milano e decise di far ritorno in Lombardia, accompagnata da circa 200 cittadini partenopei.
Pochi mesi dopo, a causa della presa austriaca della città meneghina, fu costretta all’esilio per evitare il capestro. In un primo momento tornò, con la figlia, in Francia, prima a Grenoble e poi a Parigi. Nel 1849, poi, viaggiò alla volta di Roma, per partecipare in prima linea alla battaglia in difesa della Repubblica Romana. Si occupò dell’organizzazione degli ospedali, assurgendo ad antesignana della celebre Florence Nightingale.
I moti, tuttavia, furono soppressi, anche a causa dell’intervento francese. La nobildonna, allora, delusa e scoraggiata, salpò verso Malta. Fu l’inizio di un lungo viaggio, che la condusse in Grecia e in Asia Minore, di cui lei stessa scriverà ampiamente.
Tornò in Italia, a Locate, solo nel 1855, grazie a un’amnistia rilasciata dal governo austriaco.
Cristina riuscì ad assistere alla tanto agognata Italia Unita, sancita nel 1861, evento che le permise di lasciare con serenità il mondo politico. Si ritirò poi a vita privata.
Morì serenamente nella sua dimora nel 1871. Aveva 63 anni.
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