Jolly Nero, cronaca di un disastro

Sono ormai trascorsi dieci anni da una delle vicende di cronaca che hanno tenuto l’Italia con il fiato sospeso. Il naufragio della motonave Jolly Nero, avvenuto nel 2013, ha costituito una tragedia che ha inciso profondamente nella coscienza del Paese.
Dai cantieri della società di navigazione Ignazio Messina & C nel 1976 uscì la motonave Jolly Nero, nata Adrian Maersk. Si trattava di un portacontainer, facente parte di una classe di nove, che avrebbe segnato il definitivo abbandono della compagnia delle navi portarinfuse. Proprio questo passaggio sarebbe stato decisivo nell’instaurarsi di nuova tendenza nel movimento delle merci, incidendo sulle strutture portuali, in vista di un importante aggiornamento.
La nave ebbe negli anni diversi nomi e fu oggetto di un largo ampliamento nel 1984, quando venne dotata di una sovrastruttura a poppa e di un nuovo motore Diesel, al fine implementarne potenza e velocità.
Fra il 1995 ed il 1999 lavorò sotto il controllo del governo Statunitense, affittuario del mezzo. Il suo ruolo fu quello di trasportare carico secco, sotto il nome di USNS SP5 Eric G. Gibson (T-AK-5091), in onore di un soldato decorato caduto in battaglia ad Isola Bella, in Piemonte. Prestò, inoltre, servizio assicurando i rifornimenti pesanti per i Marine e l’Esercito nell’Oceano Pacifico.

Divenne Jolly Nero nel 2006, sotto il controllo della Linea Messina, dopo essere tornata alla Maersk nel
1999.

La tragedia

Il 7 maggio 2013 avvenne il terribile incidente che coinvolse la nave e molte vittime. Alle 23:07 la Jolly
Nero tentò di uscire dal Porto di Genova, dove giaceva ormeggiata, per prendere il mare in direzione di Napoli. Durante la manovra, effettuata con il supporto di due rimorchiatori, la nave colpì fatalmente la torre piloti di Molo Giano, abbattendola. Il disastro causò oltre alle nove vittime anche quattro feriti. Oltre alla torre fu danneggiata anche una pilotina del Corpo piloti e un mezzo navale della Guardia di Finanza.

Torre di controllo del porto di Genova prima dell'incidente. Wikipedia
Torre di controllo del porto di Genova prima dell’incidente. Wikipedia

Immediatamente giunsero i soccorsi e tempestivamente iniziarono le ricerche delle vittime, che proseguirono per giorni, con esiti drammatici. Fu necessario molto tempo per recuperare le 9 salme.
In seguito fu istaurato un maxi processo, i cui imputati furono individuati nell’equipaggio di bordo. I primi a finire sotto imputazione furono il comandante della nave ed il pilota. Nel gennaio furono raggiunti dal primo ufficiale, dal direttore di macchine, dal terzo ufficiale e dall’unico indagato non presente sulla motonave al momento dello schianto, il presidente del gruppo Messina, legale rappresentante della società.
In seguito fu aperto, sotto pressione delle famiglie delle vittime, un secondofilone di indagine, a carico
questa volta di progettisti e collaudatori della torre e della Capitaneria di porto.

La vicenda processuale

Il processo principale si aprì nel gennaio del 2017, con la richiesta di una condanna pari a 20 anni e 7 mesi per il comandante, accusato di omicidio colposo plurimo, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo di costruzioni e falso, e una condanna di 17 anni per il delegato all’armamento della società. Nella successiva udienza, sempre nel gennaio 2017, furono formalizzato le richieste di condanna per gli altri imputati. Le pene vennero poi ridotte a seguito della decisione della Corte di Cassazione, assegnando 7 anni di reclusione al comandante, 5 anni al primo ufficiale e 4 anni al direttore di macchina.
A 10 anni dalla tragedia una sentenza di appello ha, lo scorso marzo, gettato un’ombra scura sulla già
terribile vicenda. In sede processuale di secondo grado sono state emesse le assoluzioni di tutti gli imputati nel contesto delle indagini aperti per volontà dei parenti delle vittime.

 

Immagine di copertina tratta da Wikipedia

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