Il sacrificio del patriota Cesare Battisti
Se sentiamo nominare il nome di Cesare Battisti, molti lo avranno sentito almeno una volta, ma in pochi, forse solo qualche addetto al settore, saprà con certezza chi fosse e cosa fece per il nostro paese durante la Prima guerra mondiale.
Il sacrificio del patriota Cesare Battisti
Nato il 4 febbraio del 1875 a Trento in una famiglia borghese; il padre era commerciante e la madre casalinga, fu l’ultimo di otto fratelli. Fin dal periodo liceale, dimostrò un’anima battagliera e coraggiosa ed è proprio durante questo periodo che pubblicò, insieme ad altri compagni, un giornale contro la dominazione austriaca che poi distribuiva segretamente. Dopo gli anni scolastici, proseguì, soprattutto per assecondare la madre, gli studi ed è per questo motivo che si spostò a Gratz, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza.

E non mancò nemmeno in questi anni la voglia di combattere e far valere i suoi ideali, fondando, insieme ad altri colleghi, una sorta di associazione di stampo socialista, “La società degli studenti trentini. Tra gli interessi di quest’associazione c’era anche la questione dell’emancipazione femminile che stava muovendo i primi passi per conquistarsi la libertà. Dopo la laurea in giurisprudenza, s’iscrisse presso l’Istituto di studi superiori a Firenze, dove intraprese la carriera umanistica. Ed è proprio qui che incontrò Edmondo De Amicis, futuro autore di Cuore, che militava nella città torinese.
Se in un primo momento gli balenò l’idea dell’insegnamento, l’abbandonò molto presto per dedicarsi alla politica a tempo pieno, tanto che già l’8 agosto del 1914 fece pervenire al re Vittorio Emanuele III di Savoia un appello, firmato da varie personalità, nel quale chiedeva che il Trentino fosse finalmente unito al Regno d’Italia. Nell’appello suggeriva anche i mezzi con qui raggiungere questo risultato: consigliava un approccio diplomatico prima che militare e quest’ultimo solo se non si fosse raggiunto l’accordo.
Già da questo s’intravede la sua bramosia nella questione “trentina” che giorno dopo giorno crebbe nel suo animo, tanto che appena tre giorni dopo, l’11 agosto, lasciò Trento per stabilirsi in Italia. Qui radunò altri suoi concittadini per cercare di far emergere la questione e proprio in tal senso fondò “la Commissione dell’emigrazione trentina” che ben presto raccolse migliaia di persone.
Quando il 24 maggio del 1915 l’Italia entrò in guerra, Battisti si arruolò subito come volontario nel Battaglione Alpini Edolo. Combatté prima a Montozzo ( Brescia) poi, passato al grado di tenente, presso il Passo del tonale e infine lo trasferirono al Battaglione Vicenza. Nel 1916 il suo battaglione ricevette l’ordine di attaccare il Monte Corno di Valarsa sotto il dominio degli austroungarici. Fu un attacco rovinoso a livello di vite umane; molti soldati perirono e altrettanti rimasero mutilati. Chi riuscì a salvarsi la vita, fu fatto prigioniero dagli austriaci e tra questi ci fu anche Battisti. Lo catturarono e lo portarono nuovamente a Trento.

In un primo momento era semplicemente un soldato catturato durante un’azione di guerra. Nessuno aveva associato la sua faccia al noto propagandista, ben presto lo riconobbero. Non sappiamo chi precisamente fu: alcuni hanno incolpato Bruno Franceschini, concittadino della madre. La versione però non è chiara, perché gli atti di processo riportano un’altra verità. Innanzitutto Franceschini risultò solo un testimone e non l’accusatore principale. Dettero, invece, il merito della cattura a V. Braun insieme ad altri ufficiali. In più, Franceschini non è riportato con il suo grado effettivo. Tutto ciò è dovuto a una mera manovra di propaganda da parte l’impero asburgico. Battisti, infatti, era ancora un cittadino austriaco, e questo avrebe gravato molto sulla stabilità dell’impero durante il regno. In carcere, Battisti subì numerose umiliazioni psicologiche e fisiche poiché in molti lo consideravano un traditore.
Il 12 luglio del 1916 iniziò il processo: Battisti non si dimostrò mai né pentito del suo operatore né tantomeno provò a giustificarsi davanti alla tribunale, anzi rivendicò con orgoglio la propria attività irredentista. Lo condannarono a morte per alto tradimento del proprio paese, la pena era l’impiccagione, sebbene egli avesse chiesto di essere commutarla in fucilazione. Lo uccisero presso la Folla della Cervera appena due ore dopo la sentenza. La morte fu straziante perché il cappio si ruppe e lo fece rimanere in agonia fin quando non trovarono una nuova corda.
Oggi, il suo sacrificio non è dimenticato. È considerato ancora un eroe nazionale e al quale in tutta Italia sono dedicati monumenti, strade, vie e scuole.
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