Monti Lucretili Landscape Project
Un progetto di archeologia del paesaggio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre
Tra il 2020 e il 2022 il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre ha realizzato le prime campagne di ricognizione archeologica nell’area circostante il castello di Montefalcosotto la direzione scientifica del Prof. Riccardo Santangeli Valenzani e della Prof.ssa Emeri Farinetti.
Si tratta di uno tra i castelli meglio conservati e più facilmente accessibili in Sabina.
Nasce così il Monti Lucretili Landscape Project (MoLuLap), reso possibile dalle attività sul campo dirette dalla Dott.ssa Martina Bernardi e dal suo team di studenti.
Ricercatrice in Archeologia Medievale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, ha conseguito il dottorato di ricerca sul tema dell’ “incastellamento dei Monti Lucretili”.
La ricerca sul campo
La ricerca si basa su le ricognizioni scientifiche condotte con metodo “intensivo – sistematico”. Questo consiste nell’individuare reperti sul terreno, raccoglierli e geolocalizzarli. Infine si registrano tutti i dati in database digitali.
L’obiettivo del progetto
Lo scopo del progetto è quello di ricostruire in modo diacronico (dalla Preistoria fino ai giorni nostri) la storia del paesaggio dell’area a NE di Tivoli, che ricopre gran parte del territorio compreso nel Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili.
Le ricerche hanno permesso di individuare ventisei castelli all’interno del Parco: tra questi, undici hanno generato dei veri e propri paesi ancora “vivi” oggi, mentre i restanti quindici hanno subito l’abbandono, come il caso di Montefalco.
Il castello di Montefalco
Il castello di Montefalco sorge nella parte centro-occidentale del Parco dei Monti Lucretili. Le fonti lo menzionano per la prima volta nel XIII secolo ma si data tra l’XI e il XII secolo grazie alle tecniche costruttive. Le fonti scritte segnalano invece il suo abbandono in un periodo compreso tra la metà del XIV e l’inizio XV secolo.
Gli abitanti della moderna Monteflavio lo considerano l’originario insediamento, anche se non esiste un legame diretto tra l’abbandono del castello e la nascita del nuovo borgo fondato nei pressi.
In epoca medievale il territorio del Parco si articolava in una rete di centri.
Ognuno di questi ne controllava e sfruttava una porzione che rappresenta un campione di un contesto più ampio. Nel territorio che sorge attorno ad un castello si può individuare infatti un’area comunitaria ben definita, sviluppatasi in un determinato periodo storico, che ha modificato il paesaggio.
Tra gli obiettivi della ricerca vi è quello di esaminare le attività economiche che hanno influenzato il paesaggio nel tempo: l’agricoltura, la pastorizia e la transumanza con gli effetti sull’ambiente e sul modello insediativo.
L’approccio etnoarcheologico
Uno dei cardini del progetto è coinvolgimento delle comunità locali che mira a una migliore coscienza del proprio passato e alla custodia della nostra memoria. Si tratta dell’approccio “etnoarcheologico”, in cui attraverso il dialogo e delle vere e proprie interviste, si registrano le narrazioni della popolazione locale inerenti gli usi, costumi e tradizioni più recenti e si confrontano con le tracce lasciate dalla cultura materiale più antica.
La via della neve
Questo approccio è stato ad esempio molto utile alla ricostruzione della “via della neve” verso Roma e del suo sfruttamento, attività che ha caratterizzato diverse zone del Parco fino al XIX secolo.
Questa ha lasciato delle testimonianze materiali sul territorio, individuabili spesso anche nella toponomastica.
Esistono all’interno del Parco numerosi “pozzi” della neve. Si tratta di depressioni nel terreno in cui, dopo il suo lento accumulo, la neve si trasformava in ghiaccio per la pressione del suo peso.
Una seconda fase era il taglio dei blocchi. Questi si avvolgevano in balle di paglia e canapa per evitare che si sciogliessero durante il viaggio, che avveniva di notte. Dai sentieri di montagna raggiungevano coi muli strade carrabili, dove carri trainati da buoi li caricavano e trasportavano nei centri vicini.
Lo studio del contesto del castello di Montefalco ha restituito un’altra importante testimonianza di tale commercio, grazie al rinvenimento di un probabile silos di stoccaggio di prodotti agricoli all’interno della cinta muraria, che poteva essere utilizzato anche per la conservazione della neve.
La neve in passato era un vero e proprio bene di lusso per la conservazione dei cibi, proprio come il sale. Mentre quest’ultimo seguiva un percorso dal basso verso l’alto, la neve viaggiava in direzione opposta.
La produzione del carbone
Le rotte della neve furono sfruttate poi nella prima età moderna per le attività legate alla produzione di carbone, che, attraverso lo sfruttamento smodato della vegetazione, andarono ad impattare fortemente sul paesaggio.
Sebbene il progetto abbia finora coinvolto solo alcune tra le comunità locali all’interno del Parco dei Monti Lucretili, è intenzione del team dell’Università Roma Tre estendere in futuro la partecipazione delle popolazioni di altri centri abitati a questa ambiziosa ricostruzione del nostro passato.
