Capo Nord. Alla ricerca dello stoccafisso perfetto a bordo di un brigantino


Storia semiseria su come ho inventato il Baccalà alla vicentina

DIARIO DI BORDO

20 agosto 2022

Sto partecipando ad una regata Sestri Levante – Capo nord con un Brigantino. Oggi ho incrociato un incrociatore.

21 agosto 2022

Sono in mezzo ad una tempesta perfetta. Qui ci sta una citazione dotta. Come ha detto Marco Pantani all’inizio della salita dell’Alpe d’Huez. Questa e roba mia.

22 agosto 2022

Dopo aver sedato con autorità un ammutinamento di cinque gaglioffi…. Tre lasciati su uno scoglio con una confezione di crakers scaduti. Due abbandonati su una scialuppa mandata alla deriva. Mentre il cuoco che non aveva partecipato alla sommossa è stato ceduto a un convoglio battente bandiera neutra. Si ignora quale destino abbia incontrato. Il viaggio ha continuato tranquillamente nonostante i forti venti, una bufera di neve e iceberg e qualche mina galleggiante  di fabbricazione tedesca residuato bellico. Intravvediamo tra le brume del novantanovesimo giorno di navigazione il porto di Narvik. A poche miglia dalla tanto agognata meta sono naufragato. Capo Nord addio.

23 agosto 2022

Tra mille difficolta la scialuppa superava un fittissimo banco di nebbia. Il mio secondo Long Jon Silver, nonostante privo di un occhio e di una gamba sostituita da quella staccata da un tavolo della Taverna del Corsaro di North Shields in Inghilterra, vinta ai dadi, intravvedeva un villaggio di pescatori, che poi scoprimmo si chiamasse Ledingen. Lo sbarco fu terribile. La scialuppa investi in pieno uno scoglio appena affiorante e colammo a picco. Dopo il drammatico salvataggio da parte dei pescatori del luogo mancava all’appello lo sguattero di bordo che sapeva cucinare benissimo il baccalà con la polenta. E ci rendemmo subito conto che nel villaggio non mancava la materia prima.  Centinaia di stoccafissi erano messi a essiccare. Fui mio malgrado, essendo ateo convinto, costretto a recitare due parole per il povero sguattero. “Cari amici di sventura, voglio qui ricordate le qualità umane di Jek quick hand (mano lesta , perché era dedito al furto) che sapeva cucinare il baccalà alla vicentina egregiamente. Noi tutti ricordiamo l’ultima cena prima della tempesta perfetta. Aveva sbattuto lo stoccafisso per ore rendendolo una crema. Ci mancherà ne sono sicuro”. I pescatori pur non comprendendo una parola furono molto ospitali. Ma lo stoccafisso non lo sanno cucinare purtroppo. Le loro donne si sono mostrate molto accoglienti che quasi mi trattengo un po.  Dovrò cucinare io mentre aspetteremo la primavera per salpare per una nuova avventura direzione Capo Nord, con la nostra nuova nave che che ho vinto a tre sette col morto a William Kidd un pirata locale.

24 agosto 2022

Lo sguattero vuoi per la fortuna o perché non era la sua ora venne raccolto da una nave cisterna. Quasi privo di sensi continuava a ripetere delle frasi, all’apparenza, sconnesse. Come in un incubo. “Mamma mia quanto bacala. Potevo cucinare per tutto il paese. Una montagna di polenta e baccalà. Diventavo l’eroe della città. Ma che ci faccio in una nave cisterna che puzza di petrolio. Fatemi scendere”. In preda alle esalazioni degli idrocarburi voleva lanciarsi in mare. A fatica lo trattennero e lo rinchiusero nella stiva in attesa del prossimo porto che distava quattrocento miglia a sud.  Giunti a Kjeldebotn, Jek quick hand, considerato che aveva tentato di rubare il taccolino (portafoglio) al capitano della nave fu tradotto al carcere cittadino. Dopo un sommario processo. L’accusa tiro le somme a spanne. A giocare negativamente fu la cittadinanza italiana. Citando a vanvera una vecchia pellicola dove Jean Gabin recitava. “Il son tous des assassen (sono tutti degli assassini) riferendosi agli italiani, voleva passarlo per le armi. Il giudice più pragmatico, anche intenerito da un piatto di baccalà alla vicentina cucinato a propria discolpa da Jek a dimostrazione che non era un delinquente, decise di caricarlo sulla prima nave in partenza. La Ghost Ship che avrebbe navigato verso Saint John’s nell’isola di Terranova. Queste sono le ultime informazioni che abbiamo di Jek quick hand (mano lesta). Io come suo capitano gli auguro di coronare il suo sogno giovanile di aprire un ristorante di cucina veneta a Terranova, anche se il nome della nave sulla quale viaggia, la Ghost Ship ( nave fantasma), mi mette in grave allarme.

25 agosto 2022

La nostra situazione stava diventando insostenibile. Il soggiorno tra i pescatori di Ledingen si stava trasformando in un incubo. Il vecchio detto che l’ospite dopo tre giorni puzza come il pesce marcio era diventato realtà. La puzza di stoccafisso imperversava giorno e notte da diventare insopportabile. Se poi si aggiungeva qualche avances nei confronti delle mogli dei pescatori che aveva creato un clima di sospetto generalizzato. Il mio secondo Long Jon Silver beccato con le mutande calate si giustificava con il fatto che la gamba di legno si era staccata e necessitava di una riparazione. Ma la situazione suggeriva tutt’atro. Non ci restava che fuggire a gambe levate si fa per dire. Long John lo portavo in spalla. Organizzato in tutta fretta un blitz notturno. Siamo già lontani a bordo di uno dei loro pescherecci e difficilmente potranno inseguirci considerato che gli abbiamo svuotati i serbatoi. L’avventura continua. Dobbiamo solo recuperare la nave che ho vinto a tre sette col morto a William Kidd, un pirata locale, che ho nascosto in un fiordo segreto. Capo Nord non ti abbiamo dimenticato.

26 agosto 2022

Abbiamo lasciato Ledingen direzione Ai Lofoten. In un consulto democratico con la ciurma rivelatosi inutile. Alcuni volevano tornare a casa. Ho deciso d’autorità che il viaggio sarebbe continuato. Per l’occasione avevo citato un frase emblematica di Rino Gattuso. “La linea retta è la linea degli uomini. La linea curva è la linea di Dio”. Frase non compresa appieno dalla ciurma e nemmeno io l’avevo capita bene. Tante. Per dare un segnale ho deciso che Henry Read,  il più riottoso , venisse legato a palo maestro per l’intera giornata. Read era noto per i suoi eccessi d’ira. Si racconta che in una Taberna di Wexford in Irlanda aveva staccato un orecchi a morsi a un tale solo perché lo aveva guardato di traverso. Avevo autorizzato che chi passava nelle sue vicinanze poteva lanciargli una secchiata di acqua ghiacciata. Considerata la temperatura a meno venti gradi la sua resistenza sarebbe durata poco. “Bisognava serrare i ranghi”, come disse Russell Crowe nel Gladiatore. Ci aspettava il mare aperto con le sue innumerevoli insidie, non ultima Mobi Dik capace con una testata di aprire in due il brigantino. Che già dimostrava una certa fragilità strutturale. Si vedeva chiaramente che non era stato costruito in un cantiere veneziano della Serenissima. Dopo alcune ore di navigazione nelle brume dell’alba nel brigantino calò un silenzio. La paura si tagliava con il coltello. Il mare aperto era li. Cercai inutilmente di trasmettere positività, in fondo eravamo dei marinai esperti. Avevo con me la maggioranza degli uomini. Sopratutto il fedelissimo Long Jon Silver che si era costruito una gamba nuova, speriamo non con con parti strutturali della nave. Il cielo plumbeo, qua e la, lasciava filtrare qualche luminosità. Il brigantino si stava dimostrando migliore della prima impressione. Eravamo in sopravvento si navigava. Improvvisamente ci trovammo avvolti da una fittissima nebbia. Non riuscivo a vedere la brutta faccia di Silver che avevo accanto. Che stava succedendo? Ci giungevano stridori di lamiere arrugginite contorte. Tra il panico e l’incredulità al nostro fianco si palesò un sommergibile tedesco della seconda guerra mondiale, un po’ malconcio, considerato che la guerra era finita da quasi ottanta anni. Sopra coperta il comandante e gli ufficiali, in alta uniforme anche questa un po sgualcita, sull’attenti ci salutavano immobili come statue con gli occhi fissi davanti a loro. Non erano invecchiati. Se non lo avessi visto con i miei occhi pensavo di sognare. Era tutto vero, o almeno lo credevo. Mi venne da pensare che il comando tedesco non li aveva avvisati che la guerra era finita da tempo. Era troppo assurdo.

27 agosto 2022

La ciurma tentò di attirare la loro attenzione gridando e saltando sul ponte della nave. Fu tutto inutile il sottomarino si allontanò lentamente sparendo silenzioso nella nebbia. Rimanemmo tutti increduli, sconcertati. Henry Read ancora legato al palo maestro, quasi congelato lanciò un grido allucinante. Lo salvammo in estremis facendogli trangugiare mezza bottiglia di rum. Una volta ripresosi ci mise in guardia su quello che avevamo appena vissuto facendo sprofondare la ciurma nelle più nere ipotesi sulla nostra sorte. “Quando iniziano le visioni – disse trangugiando il resto del rum rimasto – vuol dire che abbiamo superato lo spazio temporale tra il reale e la nostra fantasia. Vuol dire che qualcuno di voi ha sognato questa notte un sottomarino tedesco. Ne sono sicuro. Potremmo non ritornare più nella realtà. E rimanere per sempre in un limbo eterno. “Chi è stato a sognare il sottomarino?”, disse rivolgendosi alla ciurma molto allarmato. Dal fondo si fece avanti Morgan, il mozzo, con l’affezionato spazzettone in mano. “Io – disse semplicemente- sono tedesco. Mio nonno combatté a bordo di un U boat – 43 come quello che abbiamo incrociato”.  Tra la ciurma si fece largo la disperazione. Si lanciarono verso la cambusa per affogare la loro paura nel rum. A fatica, armi in pugno, riuscimmo a sprangare la porta delle provviste. Ma tutto a bordo era cambiato. Ogniuno si chiuse in se stesso o parlottava a piccoli gruppi. La rivolta era nell’aria.

28 agosto 2022

Purtroppo la ciurma che aveva messo insieme Jon Silver nella Taverna dello “Stocafisso ammollato” del porto di Ledingen era un insieme di pendagli da forca. Ladri, assassini e alcolizzati della peggior specie. Li aveva ammagliati con racconti di avventure che esistevano solo nella sua fantasia. Paesi tropicali, foreste, tesori sepolti sotto la sabbia. Indigeni ospitali, donne voluttuose. La realtà era molto diversa. La rotta impostata per Capo Nord si allontanava dai paesi caldi e anche se l’intelligenza non era il forte della ciurma lo avevano capito tutti di essere stati gabbati.  A capo del gruppo che voleva gettare in mare Jon Silver vi era il terribile Ching Shih del Guangdong, che raccontava sempre che riuscì a catturare Richard Glasspoole, un ufficiale della Marquis of Ely, una nave della Compagnia britannica delle Indie, una balla alla quale nessuno credeva e ogni volta che la raccontava rischiava lui di finire in bocca agli squali che stazionavano attorno al brigantino. Prima che gli avvenimenti precipitassero decisi, come capitano della nave, di fare il discorso della vita alla ciurma.  Anche perché sapevo benissimo che se andava male sarei finito io in bocca ai pescecani. Dal ponte di comando, con un aria ieratica che mi veniva da anni di allenamento nell’arte della retorica presso un’ importante studio legale di Londra, presi la parola. Guardando l’orizzonte dissi. ”I have a dream” (ho un sogno), citando Martin Luther King Jr. Un sogno che voglio sia anche il vostro sogno. Arrivare a Capo Nord che non è un luogo geografico ma è un luogo della nostra anima di marinai. Perché, lo so, che dietro a quella scorza di duri tutti voi avete un’anima”. Nel silenzio totale, si sentiva solo il vento che fischiava tra le vele rattoppate e gli scricchiolii allarmanti dello scafo. Conclusi estraendo e consegnando la mia spada a Ching, che già piangeva come un educanda. Dissi. “Prendi il comando portali nelle rotte tranquille ma ricordati che un giorno quando sarai vecchio ti pentirai di non aver inseguito i tuoi sogni”. Ching rifiutò la spada. Piangendo mi abbraccio come un padre, si rivolse alla ciurma e disse. “Capo Nord arriviamo”.

29 agosto 2022

La navigazione continuò senza più tensioni. Eravamo una squadra sola che correva nella stessa direzione. Come dice sempre Arrigo Sacchi, “La forza della squadra è  superiore a quella dei singoli campioni”. Con queste certezze potevamo affrontare tutte le insidie del mare di Norvegia. Abbiamo lasciato a tribordo il porto di Sorvaer, un villaggio di pescatori, forse l’ultimo avamposto della civiltà. Non ci fanno più paura le continue apparizioni che incontriamo nella più fitta nebbia , che non ci vuole abbandonare. In rapida successione. Un isola con palme. Una canoa con a bordo un capo indiano. La città di Londra, che ho sognato io. E il ponte dei sospiri di Venezia. Forse un marinaio innamorato. Un enorme orso bianco ci guardava con un certo interesse da sopra uno scoglio. Ma questo non era un sogno. L’orso era vero e si era già lanciato a nuoto al nostro inseguimento perché per lui rappresentavamo un ottimo pasto. Non era una visione che si era materializzata secondo la strampalata teoria di  Henry Read, alla quale davamo poco credito.  Ad un certo momento sempre accompagnati dal cumulo di nebbia veniamo affiancati a tribordo da una fregata della Royal Navy pronta a sparare con i cannoni spianati verso il nostro brigantino. Le bordate arrivarono in rapida sucessione ma non venivamo colpiti. Eravamo nella linea di fuoco ma i colpi ci superavano e colpivano pesantemente un vascello a nostro babordo che rispondeva al fuoco. Eravamo in mezzo ad una battaglia all’ultimo colpo di cannone.  Era tutto irreale o forse no. Eravamo tornati in quello spazio temporale tra il reale e la nostra fantasia dove si materializzano i sogni. Il vascello collò a picco portando con se gran parte dell’equipaggio.  Poi tutti sparirono con soddisfazione da parte nostra.  Era l’ennesimo sogno. Dopo molte ore di navigazione arrivammo In vista di Ingoy. Stava arrivando velocemente una tempesta che ci suggerì di passare la notte alla fonda nel piccolo porto dell’isola. Avevo vietato assolutamente di scendere a terra ma ero sicuro che non mi avrebbero ascoltato. Io rimasi nella mia cabina con alcune gallette secche e una bottiglia di rum a stilare il diario di bordo. Avevo molto da scrivere. In porto l’alcool scorreva a fiumi. Mi giungevano voci in lontananza. Mi addormentai con la speranza che ritornassero tutti interi. Ma ero sicuro che non sarebbe stato cosi.


30 agosto 2022

L’alba arrivò con un cielo plumbeo ancora immersa nella burrasca. La ciurma era rientrata alla spicciolata e si era riempita l’infermeria. Long Jon era stato colpito da una coltellata alla gamba, per fortuna era quella di legno. Henry Read aveva riportato una vasta ferita ad un braccio che venne subito ricucita dal medico di bordo completamente ubriaco. Ne risultò un lavoro creativo di cui Read andava molto fiero. E lo mostrava a tutti. Morgan, il mozzo era uscito vivo da un violenta rissa ricevendo però un pesante colpo in testa. Risvegliatosi dopo tre giorni di coma, in cui a turno abbiamo vegliato su di lui considerandolo ormai spacciato, era convinto di essere Sir Francis Drake, Il famoso corsaro navigatore e membro di spicco dei  famosi Ses Dogd, (“Cani del Mare”), i corsari della Regina. Inutilmente abbiamo cercato di convincerlo che era il mozzo ma non c’è stato nulla da fare. Recuperò un abbigliamento consono al nuovo ruolo. Prese nella stiva il vestito dal cadavere di pirata che avevamo accoppato e dimenticato di buttare a mare, la benda per un occhio anche se ci vedeva bene. Si cinse la testa con un fascia nera e il capello a tre punte con il teschio e le due sciabole incrociate. Non assomigliava assolutamente a Sir Francis Drake ma lui era ormai entrato nel ruolo e voleva anche comandare la nave. Dovetti tollerare la sua presenza in plancia per una buona settimana di navigazione finche un colpo ben assestato con una padella del cuoco, costretto a pulire il ponte al posto suo, ci riconsegnò il nostro mozzo di cui sentivamo la mancanza. Ripresa la navigazione tutto sembrava troppo tranquillo. Il mare era calmo e il vento era quello giusto per spingerci a 12 nodi. Ingoy era ormai molte migra alle nostre spalle. Alla nostra dritta la costa era ben visibile ma evitavamo di stare troppo vicino per non incappare in qualche scoglio che avrebbe messo fine prematuramente al nostro viaggio “alla ricerca del Capo Nord perduto o ritrovato”, come direbbe Marcel Proust. La costa era rocciosa con pareti a picco altissime. Mi chiedevo cosa ci facevo in un luogo cosi inospitale. Ero pronto a provare una delusione cocente se Capo Nord non avesse risposto alle nostre aspettative. Quali potevano essere le aspettative di una ciurma composta di gente semplice abituata a sbarcare il lunario col duro lavoro per un pinta di birra e un aringa affumicata con polenta. Se io, il più studiato della compagnia, mi ponevo questi quesiti, cosa avrebbero pensato i miei compagni di viaggio di fronte a una landa desolata denominata Capo Nord. Dovevo prepararli psicologicamente perché avrei rischiato di essere appeso al palo maestro.  Questi pensieri che mi arrovellavano il cervello mi stavano distraendo dalla conduzione del brigantino che andava dritto verso un iceberg.

31 agosto 2022

Evitato, scartando a babordo, l’iceberg con un manovra congiunta tra timone e vele, talmente complessa che non ci ho capito niente. Come dice bene Francesco De Gregori solo la “ferrovia ha la strada segnata mentre il bufalo, e in questo caso il brigantino, con le dovute differenze strutturali, può scartare di lato  e evitare un improvviso ostacolo”, In teoria. In pratica bisogna trovarcisi. Beccare un iceberg di punta vuol dire trovarsi in pochi minuti in ammollo a meno trenta gradi e addio Capo Nord e i sogni di gloria. Per fortuna Silver é un vero marinaio contrariamente al sottoscritto che non ha ancora capito perché si trova a bordo di un brigantino in direzione Capo Nord,risolse il problema. Ci dividono dalla meta un centinaio di miglia. C’è un euforia diffusa tra la ciurma. Forse credono che a Capo Nord ci sia una Taverna con cibo a volontà e fiumi di rum. Come glielo dico che non c’è un cazzo. Dovrò fare affidamento alla mia esperienza di conferenziere. Mi ricordo quella volta che ho tenuto incollato alla sedia un platea di trecento persone al Royal National Theatre di Londra sul tema: “La tutela delle identità e delle prerogative nazionali davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea”, due palle. Alla fine dormivano tutti. Ho dovuto far suonare il God Save the Queen (Dio salvi la Regina) per farli mettere tutti sull’attenti. Sentiamo vicino il traguardo. Ma questo mare è infido e potrebbe rivelarsi fatale. Infatti dopo un po’ quello che non avrei voluto incontrare era li davanti a noi. Gli occhi di ghiaccio da assassina osservava questi piccoli uomini già nel panico più totale e aspettava solo il momento propizio per sferrare il suo mortale attacco. Moby Dick ti aspettavo. Erano giorni che scrutavo l’orizzonte per scorgere la tua mostruosa sagoma. Non ci fu lotta, eravamo troppo inferiori come forze in campo. E poi noi non eravamo una baleniera ma un brigantino già lesionato da un viaggio ai confini del mondo. Sulle prime Moby voleva giocare al gatto con il topo. Cominciò a girare attorno alla nave spruzzandoci con il suo sfiatatoio. Passava sotto la chiglia per grattarsi la schiena. Sollecitazioni che metteva in crisi il  brigantino, sembrava che si dovesse aprire in due da un momento all’altro. Poi per un po’ di minuti sembrava che se ne fosse andata. La testata di Moby fu terribile e improvvisa, si apri un grosso squarcio sulla fiancata e in breve tempo affondammo. Le grida di terrore e aiuto della ciurma mi arrivavano tra i flutti delle onde ghiacciate. Impossibile aiutarli. In poco tempo erano morti. Non percepivo quasi più il mio corpo. Tra poco li avrei seguiti nei blu mari caldi del sud. Poi in mezzo alle onde galleggiava qualcosa, era la gamba di legno di Long Jon Silver. Un estremo aiuto da un pirata dal cuore buono. La presi in un ultimo tentativo di sopravvivenza. La corrente lentamente mi portò a riva, esausto. Ero vivo, quasi ghiacciato, ma vivo, questo importava. Io e la gamba di Long Jon Silver, il pirata eravamo arrivati a Capo Nord. Accanto a me la corrente portò a riva uno stoccafisso che avevamo a bordo. Pensai: ”Questo me lo porto a casa. Qualcosa ci faccio”. Avevo inventato il baccalà alla vicentina. Moby Dick, beffarda, si girò per un ultima occhiata e si allontanò sparendo nella nebbia.

FINE