Il licantropo romano, leggenda o verità?
A cura di Maria Lupica
Premessa
Per chi, al contrario di me, non è appassionato di storie un po’ al di fuori dalle righe, quasi sicuramente non è a conoscenza che in Italia nel secondo dopoguerra si registrò una strana e preoccupante incursione di licantropi o lupi mannari che dir si voglia. Il più famoso fra loro è senza dubbio il lupo mannaro di Villa Borghese.
Notizie ufficiali
Ne riportano notizie molte testate giornalistiche tra cui L’Unità, il 24 gennaio 1946, nel trafiletto “Riappare a Roma il lupo mannaro”. La sua prima apparizione infatti risale a ben tre anni prima. Nemmeno a farlo apposta proprio in una notte di luna piena, questa volta però siamo d’estate.
Le cronache dell’epoche lo descrivono come un uomo dal comportamento assai strano, che ama raspare il suolo con violenza, fino a farsi sanguinare le dita, ulula alla luna con voce inumana e che si nasconde tra i cespugli per meglio aggredire chi per primo passa di la. Fortunatamente non si registrarono vittime, riuscì a spaventare solo un paio ragazze che chiamarono immediatamente la polizia e lui fuggì, facendo perdere le sue tracce nel lungotevere.
Un altro avvistamento si registrò anche nel novembre del 1947, quando sempre a Villa Borghese segnalarono alle forze dell’ordine la presenza di un uomo col volto celato da un berretto grigio, avvolto da un pastrano scuro che si abbeverava alle fontane o con acqua sporca e ringhiava, impaurendo i passanti. Il Corriere d’Informazione riportò la notizia.
Il licantropo catturato
La sua identità è stata rivelata, quando il 14 luglio 1949 sempre immancabilmente in una notte plenilunio avvertiti in tempo, arrivò sul posto la polizia che riuscì a catturarlo non senza fatica. Era palesemente alterato e troppo forte da soggiogarsi con facilità.
Il suo nome era Pasquale Rossi, un ex lucidatore disoccupato nato nel 1918 a Roseto degli Abruzzi (Teramo). Venne portato non senza difficoltà in caserma per essere interrogato. Qui si giustificò che ciò accadeva contro la sua volontà. Quando c’era la luna piena subiva una alterazione corporea. Addirittura i peli e i capelli gli si rizzavano, un calore inspiegabile lo pervadeva e una forza sovraumana gli si spandeva in tutto il corpo. A detta sua, la sua prima metamorfosi avvenne una sera, appena tornato dal lavoro e si stava spogliando. Quando si rese conto di non poter più togliere la cintura perché le sue mani si erano anchilosate. Sentita questa sua dichiarazione, gli inquirenti non batterono ciglio, venne giudicato “pericoloso per se e per agli altri”, si procedette di conseguenza.
La prigionia e il libro
Se il passaggio dalla caserma a Regina Coeli è rapido, figuriamoci quello dal carcere al manicomio. Vi rimase a lungo e venne rilasciato ben tre anni dopo essere guarito dalla sua misteriosa malattia. Tornato libero chiese persino una pensione per licantropia che non gli fu mai concessa. Prima di morire è stato intervistato dallo storico Cesare Bermani, nell’agosto 1969 nella sua stessa casa di Roseto degli Abruzzi. Addirittura lo scrittore, gli ha dedicato un intero capitolo del suo libro “Volare al Sabba”. Una ricerca molto approfondita sulla stregoneria popolare (DeriveApprodi, Roma 2008), in cui parlava espressamente di «deliri da metamorfosi».
Conclusioni
Si è cercato persino di dare una spiegazione alla sua anomalia di comportamento e scavando nel suo passato si è scoperto che a fine 1943 è stato morso da un cane e ha iniziato in ospedale una cura contro l’idrofobia. Cura che non era riuscito tuttavia a portare a termine, perché l’ospedale che lo aveva preso in carica sarebbe stato di li a poco occupato dai tedeschi. Una altra plausibile spiegazione può essere che durante la guerra ha maneggiato benzina inglese in seguito riconosciuta come pericolosa perché altamente tossica.
Spero con questo mio articolo di aver suscitato l’interesse anche di chi, al contrario di me, non è amante di storie un po’ fuori dalle righe.