“La bocca sollevò dal fiero pasto”: la storia del Conte Ugolino della Gherardesca

La bocca sollevò dal fiero pasto

Quel peccator, forbendola a’ capelli

Del capo ch’elli avea di resto guasto.

 

Questi sono tra i versi più noti di tutta la Divina Commedia, nei quali Dante, con la sua genialità, descrive il suo incontro con Ugolino della Gherardesca. Un personaggio storico tra i più discussi di tutto il Medioevo e non solo.

Immagine di W. Blake. Wikipedi

Tutti noi conosciamo la tragica fine della sua prole, mangiati dallo stesso padre durante la loro prigionia, sebbene non tutti i critici siano d’accordo. Ma, chi era Ugolino? E Perché Dante lo inserì tra i dannati dell’Inferno?

Accenni biografici a Ugolino della Gherardesca

Nasce nella prima metà del Duecento (intorno al 1210) a Pisa dalla famiglia Della Gherardesca, di origine longobarda. La casata dei Gherardesca, alleata con i conti Hohenstaufen (famiglia nobiliare tedesca), aveva numerosi possedimenti nel territorio della Repubblica di Pisa e in parte nell’attuale Sardegna. I Della Gherardesca, sostenuti dall’amicizia tedesca dei Hohenstaufen, era di tradizione famigliare ghibellina; entrambi dunque sostenevano convintamente l’imperatore.

Nel 1275 Ugolino, ormai diventato erede della casata, si alleò con il genero Giovanni Visconti che era, oltre che un membro di spicco della nobile stirpe lombarda, colui che guidava la parte guelfa di Pisa. Da molti quest’alleanza fu intesa come un tradimento, tanto che Ugolino fu bandito dalla città toscana.

Palazzo dell’orologio a Pisa. Foto di Carlo Pelagalli. Wikipedia.

Riuscì a tornare solo l’anno successivo, diventando uno dei cittadini più autorevoli e prestigiosi. Inoltre nel 1284, quando la flotta pisana fu sconfitta da quella genovese nella nota battaglia della Meloria (Livorno), ottenne i pieni poteri a Pisa. Fu nominato podestà della città nello stesso anno e, due anni più tardi (1286) capitano del popolo insieme al nipote, figlio di Giovanni, Ugolino  Visconti.

Nella città di Pisa

La situazione, però, a Pisa non era facile da gestire. Dopo la battaglia della Meloria, aveva perso molta, anzi moltissima, influenza politica e commerciale e si ritrovava sotto attacco da parte di Firenze e Lucca che approfittarono della sua debolezza. La scelta della carica podestarile per Ugolino doveva teoricamente facilitare il dialogo, infatti, a capo di una città, tradizionalmente ghibellina, era stato scelto un guelfo.

Disegno di metà Ottocento della “Torre della fame”. Wikipedia.

Nel momento della nomina, inoltre, cedette anche alcuni possedimenti pisani a Lucca, come Bientina e Ripafratta e altri ancora (tra gli altri, Santa Maria a Monte e Fucecchio) ai fiorentini. Quest’atto fu interpretato nuovamente come un tradimento, anche dallo stesso Dante che lo accenna al suo incontro: Chè sé ‘l Conte Ugolino aveva voce / d’aver tradita te de le castella ( vv. 85-86, Canto XXXIII). L’obiettivo di queste mosse politiche e territoriali era quello di impedire un’alleanza delle due città con Genova.

Come accennato, la città di Pisa era fondamentalmente ghibellina. Così, in un momento di assenza di Ugolino, il popolo, incitato da Ruggieri degli Ubaldini e sostenuto dalle famiglie patrizie, si ribellò. Questa lotta intestina comportò il suo esilio e quello del nipote. In un momento successivo, probabilmente tratto con l’inganno dallo stesso Ruggieri, fu imprigionato nella torre della Muda per nove mesi, dove si consumò la nota leggenda.

Considerazioni dantesche

La sua fama si deve esclusivamente a Dante che lo inserisce nell’Antenora, ossia la II zona del IX cerchio dell’Inferno, nel quale sono puniti i traditori della patria. Ugolino, infatti, è immerso nelle acque gelide del Cocito, dove divora brutalmente la testa di Ruggieri. Secondo la versione dantesca, i prigionieri, consumati dal lungo digiuno, morirono d’inedia e furono gli stessi figli di Ugolino a pregarlo di cibarsi di loro: […] e disser: “ Padre, assai ci fia men doglia / se tu mangi di noi: tu ne venisti / queste misere carni, e tu le spoglia” ( vv. 61-63, canto XXXIII, Inferno). Dante, in questo modo, fornisce due interpretazioni: quella per cui il padre si sarebbe effettivamente cibato della propria prole e quella che, invece, sarebbe morto poco dopo i figli per la fame. Alla Storia e nell’immaginario comune, è inutile dire che la versione più diffusa sia quella del cannibalismo.

Un personaggio unico e reso immortale dai versi danteschi che lo rendono, come chiunque altro descritto dal Sommo Poeta, immortale.

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