La Basilica di Sant’Andrea: un viaggio nella storia dell’arte italiana
Subiaco ha un’origine molto antica che risale, addirittura, ai tempi dei Romani. Sono stati, infatti, rivenuti resti della residenza dell’imperatore Nerone. Secondo molti storici, il primo centro urbano di questo borgo sarebbe sorto intorno alla sua dimora, per poi svilupparsi lungo la valle dell’Aniene.
I tempi antichi
Le origini della domus neroniana, comunque, sono avvolte nella leggenda. Si racconta, infatti, che i primi abitanti furono gli schiavi di Nerone, inviati lì per la costruzione della sua residenza. Nonostante si tratti di una leggenda, e quindi non sia comprovata da fonti storiche, potrebbe essere una tesi plausibile: è possibile, infatti, che alcuni servi dell’imperatore fossero stati costretti a rimanere in zona per prendersi cura della villa appena sorta e che quindi non fossero stati riportati a Roma.

Nerone, uno tra gli imperatori più tristemente noto della Storia romana, decise di costruire qui la sua residenza estiva per fuggire al calore e all’afa di Roma per godersi quella che i latini chiamavano aniene frigoria. Il progetto dell’imperatore romano fu molto complesso da realizzare poiché prevedeva, come poi accadde, lo sbarramento del corso d’acqua Aniene per creare tre laghi artificiai per il proprio piacere. Il nome Subiaco, letteralmente “sotto il lago” (sub lacum), fa riferimento appunto alla presenza di questi specchi d’acqua.
Subiaco però non è stata solo la residenza estiva dell’imperatore, ma è nota a tutti gli italiani anche per essere stata la culla della stampa.
L’arrivo della stampa
Era, infatti, il 1465, circa dieci anni dopo l’invenzione della stampa di Gutenberg, quando giunsero, all’Abbazia di Santa Scolastica, due religiosi tedeschi, A. Pamartz e K. Sweynheym, i quali portarono la stampa a caratteri mobili nel borgo sublacense.

Si trattò di un evento eccezionale, poiché era la prima volta che la stampa di Gutenberg arrivava in Italia. Stamparono le prime trecento copie di alcune grammatiche latine, alcune antologie di Lattazio, dell’oratore di Cicerone e del De Civitate Dei di Sant’Agostino. Fu un primo grandissimo passo che permise la diffusione della stampa in Italia.
Insomma, Subiaco, per molti versi, è stata promotrice d’importanti eventi storici che hanno cambiato il corso delle nostre vite. Oltre a quelli già accennati, sicuramente una rilevanza particolare si deve al monachesimo e alle architetture religiose sorte in questo borgo.
San Benedetto
San Benedetto (480 d. C- 547 d. C), dopo essersi recato a Roma, rimanendo disgustato dalla dissolutezza della città, decise di ritirarsi nella pace delle campagne sublacensi. Trovò rifugio presso una grotta; durante questo periodo di riflessione e solitudine, alcuni pastori della zona iniziarono a fargli visita. La costruzione del monastero risale all’ XI secolo ed è incastonato sulle pendici del Monte Taleo.
Quando lo visitò Petrarca, lo definì Limen Paradisi, ossia le porte del paradiso, tanto è la sua maestosità e sacralità. Il monastero si compone di due chiese sovrapposte, le quali sono ricoperte d’importanti affreschi che raccontano la vita di San Benedetto, ma anche quella di San Francesco.

Nel suo centro, e nei confini limitrofi, ne troviamo anche altre, tra cui quello di Santa Scolastica, il Convento di San Francesco oppure la Chiesa di San Pietro.
Oggi, però, voglio raccontarvi la storia e l’arte della Cattedrale di Sant’Andrea, una tappa obbligata per chi visiterà Subiaco che non potrà fare a meno di ammirarne la sua maestosità e la sua bellezza.
La cattedrale di Sant’Andrea
La Cattedrale di Sant’Andrea risale al Settecento ed è in elegante stile neoclassico. Il Neoclassicismo fu quella tendenza cultura, artistica e letteraria che ripercorre la tendenza culturale, nata nel corso del XVIII secolo, in contrapposizione al tardo barocco e al rococò. La sua fonte d’ispirazione era l’arte antica, in particolare quella greco-romana.
L’architettura
La Cattedrale si affaccia sull’omonima piazza, nel cuore di Subiaco. La facciata, che si presenta in un binomio cromatico di marrone e bianco, è su due livelli. L’inferiore è scandito da sei colonne e tre grandi portali che ne ritmano lo spazio. La parte superiore, invece, presenta quattro colonne con capitelli ionici. Il capitello è il sostegno superiore o inferiore di una parte verticale; quello ionico, come nel nostro caso, è comune nell’arte greco-romana e dunque ben presente nell’arte neoclassica. Richiama la forma della spirale, grazie alle due volute laterali che possono avere diverse decorazioni.
Dettagli della facciata
Fece la sua comparsa nell’arte greca fin dall’VIII secolo, ripreso poi dal Neoclassicismo, è un segno caratterizzante di questa corrente culturale. La parte superiore, dunque, sorregge anche il timpano, ossia la superficie posta sopra l’ingresso dell’edificio. Nel nostro caso, è a forma triangolare e incornicia la loggia, dalla quale si affacciarono vescovi e Papi in visita a Subiaco per benedire i fedeli, come Papa Pio XI, Gregorio XVI e Papa Pio IX. Inoltre, al centro del timpano, è ancora oggi presente lo stemma di Papa Pio VI.

Ai lati dell’edificio si trovano due campanili, uno dei quali contiene il cosiddetto “Campanone”.
La famiglia Camporese
Questo imponente edificio sacro fu progettato, e in parte costruito, nel corso del Settecento da un architetto romano, Pietro Camporese (1726-1781), il quale fu il primo di una nota casata che operava in questo settore; infatti, furono architetti anche i suoi figli Giulio e Giuseppe. Purtroppo, l’origine di questa casata non è stato ancora oggetto di studi di ricerca e, dunque, non abbiamo notizia dove e con quale maestro si formò Pietro Camporese, detto poi il Vecchio. Le prime attestazioni risalgono solo al 1754, quando giunse secondo al concorso Clementino dell’Accademia di San Luca (Roma).
Il progetto, che riprendeva le sembianze artistiche del tardo barocco, presentato fu talmente apprezzato, che lo fecero ben presto insegnante dell’Accademia (1775). Della sua giovinezza e della prima maturità non abbiamo fonti storiche attendibili, probabilmente perché operava ancora a livello accademico, senza che il nome circolasse davvero negli ambienti artistici dell’epoca.
Solo all’età di quarant’anni, iniziamo a leggere il suo nome nella lista dei grandi progettisti romani; per molti storici, ad esempio, egli trasformò e ristrutturò la villa fuori porta Salaria nel 1763, indizio questo, che il suo nome si era fatto importante. Risale proprio a questi anni, la nomina di architetto pontificio.
In questa veste, progettò e realizzò una colonna marmorea con una statua della giustizia nella parte superiore, voluta da Papa Pio VI che avrebbe voluto collocarla nella piazza, vicino a Montecitorio. Il progetto, però, non fu mai realizzato fino in fondo, tanto che la suddetta opera fu collocata nei pressi di Piazza di Spagna da un altro architetto, Luigi Poletti (1792-1869). Comunque sia, una delle opere, ancora oggi ricordate, è la facciata di Santa Maria in Aquiro a Roma.
I Camporese a Subiaco
A Subiaco, dunque, egli ebbe l’onere e l’onore di progettare la Basilica di Sant’Andrea; purtroppo, non fece in tempo a terminarla poiché morì prima di vedere la sua opera finita. Furono i figli, Giulio e Giuseppe, che completarono l’opera, iniziata del padre. Costruirono l’attuale Chiesa su una persistente, dedicata a San Abondio.
Costruita prima dell’anno Mille, fu abbattuta per far posto a quella di Sant’Andrea per volontà di Papa Pio VI che decise di abbatterla, per costruirne una di maggiori dimensioni. La costruzione finì nel 1789, tredici anni dopo il suo inizio e fu consacrata il 22 maggio dello stesso anno per opera di Papa Pio VI.
L’interno della Chiesa
L’interno della Chiesa è a croce latina, vale a dire che la navata principale e il transetto (corpo architettonico trasversale) s’intersecano, creando un angolo di novanta gradi. La superfice interna misura 64m di lunghezza, 22m di larghezza e il soffitto arriva fino a 20m.

Appena entrati, si rimane come abbagliati dagli stucchi dorati e i motivi policromi che la rendono particolarmente luminosa. Il fulcro della navata centrale è l’altare che è stato costruito con marmi pregiati, ai lati, invece, del transetto, rispettivamente a destra e a sinistra, si trova la Cappella del Sacramento e quella, appunto, di Sant’Andrea. Entrambe sono di grande pregio artistico.
L’arte dal Settecento ai giorni nostri
Nella Cappella del Sacramento, è possibile ammirare un dipinto di Sebastiano Conca (1676-1764), la Pesca Miracolosa, restaurato dal pittore sublacense B. Tozzi. Sebastiano Conca fu artista attivo in molte città d’Italia, tra cui Siena e Roma. Il quadro la Pesca Miracolosa rappresenta il noto episodio biblico.
La pittura e la scelta dei colori rimandano al periodo tardo barocco, nel quale s’incrociano, in un equilibrio perfetto, il caravaggismo (influenza delle opere di Caravaggio) e i primi segnali del Neoclassicismo. Sempre all’interno della Cappella del Sacramento, è presente un crocifisso ligneo, risalente alla metà del Seicento, di cui l’autore rimane ignoto.
Da qui, è possibile visitare anche una piccola cappella votiva a pianta ottagonale, dedicata alla Madonna Immacolata, nel quale si trova un’altra opera di Conca che raffigura la Madonna. Questa è posta sopra l’altare e risale ai primi del Settecento.
I dipinti a tema religioso erano molto cari a Conca che ebbe modo di esercitarsi nello loro realizzazione più volte nel corso della sua vita e in questo piccolo, ma pregevole, dipinto che si nota come le pennellate siano fluide e ampie per dare una profondità emotiva all’immagine, confermata anche dallo sguardo della Madonna rivolto in alto.
Ai lati, invece, della navata centrale si trovano, sotto grandi e maestose volte, quattro cappelle: rispettivamente tre a sinistra e una a destra – la Cappellina del Mare-. Da quella di destra è possibile accedere ad altre tre. Ovviamente, ognuna di queste presenta un altare e delle tele.
San Giuseppe svegliato dall’Angelo
Le tele sono perlopiù settecentesche, tra le più ammirevoli si possono annoverare quella San Giuseppe svegliato dall’Angelo di Cavallini che è custodita nella cappella di San Michele Arcangelo. L’espressione e lo sguardo di Giuseppe, così ben realizzato, ci mostrano la sua sorpresa per la visita dell’Arcangelo. La pittura a olio, poi, crea un effetto luci e ombre che dona solennità all’immagine.
Proseguendo, troviamo l’opera La morte di Santa Scolastica. L’autore di questo dipinto è tutt’oggi ignoto, è plausibile credere che si tratti di un omaggio alla vicina Cappella di Santa Scolastica nel complesso dell’abbazia di Subiaco.
La Santa, infatti, è considerata la fondatrice dell’ordine delle monache benedettine. In questo quadro, di indiscutibile valore artistico, l’autore ha voluto mostrare la dedizione a Cristo della Santa, grazie alla posa del corpo, dedita totalmente al Cielo.
Il pittore Bernardino Nocchi
Di notevole pregio artistico, è il quadro di Bernardino Nocchi (1741-1812), l’Estasi di Santa Chelidonia, la quale medita la Passione nelle grotte di San Benedetto. Il dipinto ha una posizione temporale certa, poiché sappiamo dalle fonti storiche che fu commissionata nel 1788 per la decorazione della cattedrale di Sant’Andrea.
La pala, conservata qui, dimostra l’influenza dell’artista nei confronti di altri soggetti simili, come il dipinto dell’Estasi di San Francesco, realizzato da Lapiccola per la Chiesa di San Lorenzo in Panisperna (Roma). L’attività di Nocchi fu molto proficua nel corso della sua vita e la commissione di questo quadro arrivò all’apice della sua carriera. Questo è un indizio importante per tastare il prestigio di questa Cattedrale.
Accenni biografici a Santa Chelidonia
Santa Chelidonia (1077-1152) è molto cara a Subiaco e quindi non deve stupire la scelta del soggetto; infatti, Chelidonia, oggi patrona di Subiaco, trascorse, dall’età di circa di venti anni, una vita di contemplazione e di riflessione della parola di Cristo nella Valle d’Aniene, meditando i luoghi di San Benedetto e Santa Scolastica. Il nome in origine di Cleridonia, fu, in seguito mutato in Chelidonia, poiché in greco significa rondine e come questo animale, anche la Santa migrò per le terre intorno Subiaco, pregando e cercando Dio.
Tra i dipinti più antichi, è necessario menzionare quello di Gesù Salvatore. Purtroppo, anche di questo l’autore è ignoto. Gli storici dell’arte, però, contemplando la tecnica di realizzazione, l’hanno stimato intorno al quindicesimo secolo; infatti, la raffigurazione del Cristo è anatomicamente precisa ed è abbandonato lo sfondo dorato, tipico invece dell’arte precedente.
Inoltre, è bene ricordare la Madonna del Rosario, collocata nell’omonima cappella. Si tratta di una delle raffigurazioni artistiche più comuni dell’arte cristiana. Frequentemente, sia in pittura che in scultura, la Madonna è rappresentata con la veste di color blu o azzurra, con una corona del Rosario tra le mani. Questa raffigurazione rappresenta l’assoluta devozione dei fedeli alla Madonna.
I corridoi laterali della Basilica sono adornati di immagini che rappresentano la Via Crucis, anche essi sono di autore ignoti. Disposti in modo regolare, raccontano il difficile e doloroso cammino di Cristo verso la croce. Sono in totale quattordici tele, come, ovviamente, le stazioni della Via Crucis.
Dunque visitare la Basilica di Sant’Andrea sarà fare un viaggio, non solo nella religiosità, ma anche nell’arte italiana. I dipinti, però, non si esauriscono qui. Anche nella sacrestia, infatti, sono ben presenti numerose tele.
L’artista Carlo Dolci
Tra le più pregevoli, dobbiamo sicuramente citare quella della Madonna con il Bambino, attribuita dai critici d’arte a Carlo Dolci (1616-1686). La Madonna e altre figure sacre fu un tema caro a Dolci, che già lo aveva realizzato in diverse occasioni.

Carlo Dolci fu tra gli artisti fiorentini più produttivi nell’arte sacra della sua epoca. Gli sguardi della Madonna e del Bambino mostrano la devozione e la religiosità dell’artista, caratteristica, dall’altra parte, dell’indole del pittore.
Oltre che per questo, fu famoso anche per la sua ineguagliabile tecnica pittorica, come dimostra la raffigurazione, conservata a Subiaco. La tela, come si può ben immaginare, rappresenta la Vergine con il Gesù Bambino in braccio. La Madonna, è ritratta, come consuetudine del pittore, di profilo, con il volto leggermente voltato.
L’incerta attribuzione
L’attribuzione rimane, comunque, incerta, poiché non citata nel suo inventario artistico. Nonostante questo, è plausibile credere che sia stata dipinta da Dolci. Gli elementi in comune sono, infatti, molteplici, come l’attitudine di quest’artista a dipingere temi sacri, la posizione della Madonna che si ritrova in altri quadri, come quello di Maria Maddalena, conservato alla Galleria Palatina di Firenze. Anche in questo caso, Maddalena è ritratta con il volto leggermente spostato dal punto prospettico centrale.
La Basilica di Sant’Andrea mostra ancora oggi l’importanza dell’arte e il ruolo che ebbe, come simbolo di venerazione dei Santi e Sante nella religione cattolica.
La Seconda Guerra Mondiale
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti, che si abbatterono sul Lazio, la rasero quasi al suolo. Per volontà della popolazione, fu ricostruita su base del progetto originale nei primi anni Cinquanta, precisamente tra 1945 e il 1952, con l’ausilio di Florestano di Fausto (1890-1965). Di Fausto, architetto, ingegnere e politico italiano, partecipò a molte ricostruzioni simili nel Dopoguerra italiano.
Fra le parti che si salvarono, ci fu il Campanone; infatti, le campane delle Chiese erano molto ambite poiché, fondendole, si riusciva a ricavare una notevole quantità di metallo, utile per lo sforzo bellico.
Il restauro nel Secondo Dopoguerra
Tra queste, ovviamente, il Campanone era sicuramente una “preda facile” perché con le sue quindici tonnellate di peso, si poteva ottenere una grande, anzi grandissima, quantità di metallo. Fu la comunità religiosa di Subiaco a salvarlo che lo tenne in salvo dalle possibili fonderie. Il Campanone, tra l’altro, aveva già avuto vicende alterne: infatti, fu collocato lì, nel luogo dove si trova adesso, solo nel 1907, durante uno dei primi restauri della Chiesa.
È di questo periodo l’installazione dell’organo, posto dietro l’Altare principale insieme a un coro ligneo. L’organo, posto nel 1955, ha 5.000 canne ed è ancora oggi funzionante.