Mastro Titta, noto boia romano, a Subiaco
Lo Stato pontificio comprendeva numerosi territori che nel corso dei secoli cambiarono i suoi confini; infatti, esso è stato frequentemente parte dello scacchiere delle potenze europee. Chiaramente a capo dello Stato pontificio si trovava il Papa, il quale non solo aveva il potere spirituale, ma deteneva anche quello temporale. Dunque, il Pontificie aveva entrambi i poteri fino almeno al 1870 quando la sovranità temporale decadde, essendo esso annesso al neonato Regno d’Italia. L’ultimo Papa con entrambi i poteri fu Papa Pio IX.
Le condizioni degli abitanti sotto lo Stato Pontificio non erano delle migliori. Essi, frequentemente, erano sottoposti alla gogna, un antico strumento medievale di punizione pubblica, a carcerazioni, a sanzioni monetarie. Questo non deve sorprendere poiché all’epoca era comune servirsi di tali mezzi come condanne a reati più o meno gravi, ne troviamo traccia e testimonianza in altre zone italiane.

La condanna era, ovviamente, proporzionata al reato. Alla trasgressione più lieve corrispondeva una sanzione o la pubblica gogna, invece a quelle più gravi corrispondeva la pena capitale. Il sistema, però, di misurazione era molto diverso dal nostro e spesso subiva variazioni in base al ceto sociale della vittima. Era più grave un oltraggio a un nobile o aristocratico che a un povero o di ceto basso e dunque per lo stesso reato si poteva avere due condanne diverse.
Mastro Titta
Legato ovviamente alla pena capitale era il boia, una figura nota ancora oggi per il suo nefasto ruolo. Solitamente, il boia era al servizio dello Stato ed era dunque stipendiato per il ruolo che svolgeva e come si può immaginare come presto divennero presagi di morte, legati alla giustizia. Tra i più noti dello Stato Pontificio è da ricordare Giambattista Bugatti, conosciuto però come Titta. Oggi possiamo conoscere la sua carriera da boia grazie ai suoi scritti, Memorie di un carnefice, nei quali ci illustra i processi, le condanne e i condannati, non trascura nessun dettaglio.
Nato nel 1779 a Roma, sappiamo che fin da giovane intraprese questo lavoro che svolse per il resto della sua vita fin quando non si ritirò a vita privata alla veneranda età di ottantaquattro anni ( 1864). Essendo Titta uno dei “boia ufficiali” dello Stato pontificio, operò nei vari territori. Il suo primo condannato fu un pover’uomo di Foligno, il quale fu impiccato e poi squartato da Titta.
A Subiaco
Tra le zone dove operò, è presente anche Subiaco (Roma). A raccontarci l’accaduto è lo stesso Titta: racconta di aver impiccato un venditore ambulante e stando alle sue parole, l’uomo si chiamava Domenico Trecca ( o in alcune fonti Treca). Fu giustiziato per aver ucciso la moglie e il suo presunto amante. L’uomo era solito allontanarsi per partecipare a mercati fuori dal paese, la donna, secondo le malelingue dell’epoca, passava a detta di queste troppo tempo in chiesa, partecipando alle messe e confessandosi troppo di frequente.

All’uomo giunsero queste dicerie che decise per il momento di ignorarle, il casus belli fu che il parroco iniziò ad andare a trovare sua moglie in casa. A tale notizia, la rabbia dell’uomo esplose: fingendosi fuori città, si nascose in casa e mentre i due si dirigevano verso la camera del letto, Domenico pugnalò entrambi a morte. L’uomo poi scese in strada, in preda a uno stato confusionale e confessò l’atroce delitto. Fu condannato all’impiccagione.