Con Cristian Izzo torna in patria il Pelide Achille

Un talento napoletano che gira il mondo con le sue performance

Gira l’Europa da tre anni e anche l’Asia e l’America, Cristian Izzo, stabiese doc, ma attore internazionale da qualche anno. Dal prossimo 14 ottobre sarà a Rodi in Grecia, ospite della prima edizione del Quinta Theatre Fest, diretto da Vicky Theologi. Terrà un workshop a Rodi ma soprattutto porterà in scena “Achille – Sulla semidivinità”, scritto e interpretato dall’autore stabiese, commosso dall’idea che, in qualche modo, dopo oltre duemila anni, il Pelide, partito per Troia per mai più tornare possa rientrare in patria tramite la sua performance, già vincitrice di ben cinque premi esteri.


Per l’occasione la direttrice del Fest ha voluto chiedere alla Soprintendenza ai Beni Archeologici di Rodi di mettere a disposizione l’Antico Teatro di Lindos: la sua proposta è stata accettata e lo spettacolo andrà in scena in uno di quei luoghi dove il Teatro, in Occidente, ha visto la luce.

“Le sapienze dell’Oriente sono la preistoria dell’Occidente”
È appunto il recupero delle origini alla base del lavoro condotto su Achille, un lavoro sulla congiunzione oriente-occidente, come insegna la lezione del filosofo Emanuele Severino, “le sapienze dell’Oriente sono la preistoria dell’ Occidente”. Il lavoro di commistione e contaminazione mette il relazione quello che è il primo grande poema epico della letterarura occidentale, l’Iliade, con quelli che sono il codice e la tradizione del teatro giapponese come espressione della cultura orientale.

La performance dalla ricerca sul teatro antico greco a partire dalla nascita della tragedia di Nietzsche al teatro Kabuki giapponese.
Molteplici sono i punti di congiunzione tra il teatro antico greco e il teatro kabuki, la visione dell’attore, il modo di intendere la scena, la concezione della recitazione tutta cantata, lo spirito della musica come lo chiamerebbe Nietzsche. Il primo mito dell’occidente, Achille, messo in scena attraverso un teatro di posizione e non di azione, attraverso le pose, le “mye”, e attraverso la maschera Kabuki, dai tratti rossi, espressione dello stato d’animo della furia, che veicola la famosa ira di Achille, il brano più conosciuto del poema omerico. Il “poeta tragico” della Grecia pre-ellenica, sacerdote e cantore di versi ritmati da una metrica precisa in una visione rituale e religiosa del teatro catartico ben si connette all’anima della suprema arte del Kabuki con le sue “mye”, la maschera e la ripetizione del suono-parola. La fusione di un genere popolare che si occupa del quotidiano con uno dei miti più importanti della nostra civiltà rende questa performance un rarissimo esperimento.

La maschera kabuki realizzata da Carmen Orazzo

Il giovane che canta la semidivinità, l’ascesa di un D’Io
Cristian Izzo come “poeta tragico” si fa attore kabuki con in mano uno strumento della pioggia, utilizzato fin dall’antichità per riti propiziatori, che di tanto in tanto interrompe il suo mantra ipnotico. Il testo, l’interpretazione, la voce sono il risultato di una solida formazione passata dalla drammaturgia con Enzo Moscato, Michel Haecht e Gianfelice Imparato, al mimo e pantomima con Dan Viktor, teatro corporeo e fisico con Joe Elbers, alla pratica del teatro con l’incontro artistico con il teatro d’avanguardia da Antonio Neiwiller fino a Carmelo Bene.
Lo vedo come un attore sui generis che si racconta così anche sui social. “Io mi ritengo un Uomo, un essere umano: ed oggi un essere umano che sia solo umano non ci serve. Deve essere filosofo, poeta, soldato se serve. E insieme nulla di tutto questo. E insieme solamente umano.”

 

Un giovane poeta tragico che cantando la semidivinità non dimentica di essere napoletano formatosi inizialmente alla scuola di Eduardo, Raffaele Viviani e Annibale Ruccello e parla l’antica lingua madre, la lingua tribale in due momenti della performance, quando Achille si trasforma in donna per non andare in guerra e quando si adira contro Agamennone.
Cristian Izzo, giovane poeta, drammaturgo, regista, attore che, rifiutando il concetto di attore come simulatore di identità, ha molto lavorato sul recupero del mito a dispetto del teatro storico-cronistico e sul recupero della maschera come sconfessione e negazione del volto, come immagine apollinea da distruggere attraverso il canto di Dioniso. Che la dignità di Eduardo, la sensibilità di Viviani e la dimensione intellettuale di Ruccello possano accompagnarlo nel mondo sul suo cammino di vita dedicato al teatro.