Saigō Takamori, l’ultimo samurai del Giappone

Saigō Takamori è una delle figure più emblematiche della storia del Giappone, noto soprattutto come l’ultimo grande samurai. Il suo nome è indissolubilmente legato a eventi di portata storica quali la Restaurazione Meiji, l’abolizione del sistema feudale giapponese e la modernizzazione del Giappone, nonché alla celebre ribellione di Satsuma, che culminò nella sua morte durante la battaglia di Shiroyama.

Le origini

Saigō Takamori nacque il 23 gennaio 1828 a Kagoshima, nella regione del Kyūshū, appartenente al dominio di Satsuma. Cresciuto in una famiglia di samurai, il suo destino era segnato da un impegno verso la carriera militare e il servizio alla sua provincia. Fin dalla giovinezza, si distinse per la sua lealtà alla famiglia Shimazu, signori di Satsuma, e al loro daimyō, Shimazu Nariakira. Nel 1854, Saigō fu incaricato di accompagnare Nariakira in una missione diplomatica a Edo, la capitale dello shogunato Tokugawa, con lo scopo di favorire la riconciliazione tra il bakufu e la corte imperiale. La missione, tuttavia, si interruppe bruscamente con la morte improvvisa di Nariakira e con la purga Ansei, ordinata dal reggente dello shogunato Ii Naosuke, contro le forze antishogunali.

Questo evento segnò una svolta nella vita di Saigō, costretto a tornare a Kagoshima e in seguito esiliato nell’isola di Amami Ōshima. Solo nel 1861, dopo diversi anni di esilio e un secondo bando, fu richiamato in servizio dal nuovo daimyō Shimazu Hisamitsu. Dopo aver ricevuto il perdono, Saigō fu inviato a Kyōto per rappresentare gli interessi di Satsuma presso la corte imperiale, un ruolo che avrebbe definito il suo futuro politico.

La Restaurazione Meiji

Durante gli anni cruciali che portarono alla caduta dello shogunato Tokugawa, Saigō giocò un ruolo fondamentale. Divenuto il comandante delle truppe di Satsuma, formò alleanze strategiche con altri domini samurai, come Aizu e Chōshū. Queste alleanze si rivelarono decisive durante l’Incidente della Porta di Hamaguri. Fu allora che Saigō e i suoi alleati impedirono al dominio di Chōshū di prendere il controllo del palazzo imperiale a Kyōto. Sebbene inizialmente incaricato dal bakufu di guidare una spedizione punitiva contro Chōshū, Saigō avviò segretamente negoziati di alleanza con i leader del dominio, preparando così il terreno per la futura alleanza Satchō, cruciale per la Restaurazione Meiji.

Con la rinuncia al potere da parte dello shōgun Tokugawa Yoshinobu nel 1867 e la restituzione dell’autorità all’imperatore, la fase finale della transizione politica era iniziata. Saigō si oppose a qualsiasi forma di indulgenza verso la dinastia Tokugawa, insistendo per privarli dei loro privilegi e delle loro terre. La sua intransigenza contribuì allo scoppio della guerra Boshin (1868-1869), durante la quale guidò le truppe imperiali alla vittoria, conquistando Edo senza spargimenti di sangue e accettando la resa di Katsu Kaishu, il comandante delle forze shogunali.

Felice Beato, pioniere della fotografia

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Il nuovo Giappone Meiji

Con la nascita del nuovo governo Meiji, Saigō Takamori divenne una delle figure di spicco nel processo di modernizzazione del Giappone. Collaborò strettamente con gli oligarchi del nuovo regime, tra cui Ōkubo Toshimichi, e svolse un ruolo chiave nell’abolizione del sistema feudale e nella creazione di un esercito regolare basato sulla coscrizione. Nel 1871, ricevette la gestione del governo in assenza degli altri oligarchi, impegnati nella missione Iwakura, una missione diplomatica all’estero volta a rinegoziare i trattati diseguali imposti dalle potenze occidentali.

Saigō, però, si oppose a molti aspetti della modernizzazione forzata del Giappone. Ad esempio, cercò di impedire il finanziamento per la costruzione di una rete ferroviaria, sostenendo che i fondi avrebbero trovato un impiego migliore nel rafforzamento dell’esercito. Fu anche un fervente sostenitore di campagne militari espansionistiche, specialmente in Corea, proponendo un intervento militare che avrebbe portato il Giappone in guerra. La leadership Meiji respinse il suo piano, che considerava pericolosa una guerra con la Corea, specialmente a fronte delle complesse relazioni con le potenze occidentali. Di conseguenza, Saigō si dimise da tutte le sue cariche governative nel 1873 e tornò a Kagoshima.

La Ribellione

Il ritorno di Saigō a Kagoshima segnò l’inizio di un periodo di tensione crescente tra lui e il governo centrale. Fondò un’accademia militare tradizionale per addestrare i samurai e attirò molti ex guerrieri disillusi dalle politiche del nuovo regime. Questo crescente movimento rivoltoso culminò nella ribellione di Satsuma del 1877, un evento che segnerà la storia del Giappone moderno.

Nonostante fosse riluttante a prendere le armi contro il governo imperiale, Saigō fu convinto dai suoi seguaci a guidare la ribellione. Il conflitto si concluse rapidamente con una vittoria schiacciante dell’esercito regolare giapponese, composto da oltre 300.000 soldati contro i circa 40.000 samurai ribelli. La battaglia decisiva si svolse a Shiroyama, dove Saigō, gravemente ferito, decise di morire piuttosto che arrendersi. Secondo la tradizione, Saigō chiese a un compagno di decapitarlo per conservare l’onore, ma le testimonianze su come avvenne esattamente la sua morte rimangono contrastanti.

La leggenda

La morte di Saigō Takamori mise fine alla ribellione di Satsuma, ma segnò anche l’inizio di un mito. Egli divenne una figura leggendaria in Giappone, celebrato come il “vero ultimo samurai”, un simbolo di coraggio, onore e resistenza contro l’occidentalizzazione. Dopo la sua morte, circolarono numerose leggende secondo le quali non sarebbe morto realmente, ma sarebbe fuggito in India o in Cina per organizzare una futura rivolta.

Nel 1889, la sia figura fu ufficialmente riabilitata dal governo Meiji. Nel 1898, poi, venne eretta una statua in suo onore nel Parco di Ueno a Tokyo, simbolo della sua eredità duratura.

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