Abbiamo più volte parlato in articoli precedenti del pittore vicovarese Antonio Rosati, in riferimento ai dipinti presenti nel portico rinascimentale antistante la chiesa dei SS. Cosma e Damiano a San Cosimato, presso gli Eremi di San Benedetto e a proposito della “Crocefissione” nella chiesa di San Sabino a Vicovaro.
Antonio Rosati, pittore vicovarese
Nacque nel 1636 ca. a Vicovaro nel palazzetto a destra (dando le spalle alla chiesa di San Pietro Apostolo) del Tempietto di San Giacomo Maggiore, appartenuto alla famiglia Testa, dalla quale il Rosati discendeva per ramo materno. Rosati fu “chierico beneficiato” della chiesa di San Pietro Apostolo a Vicovaro e consacrato agli Ordini Minori dal Cardinale Marcello Santacroce, vescovo di Tivoli.
La tecnica del “mezzo fresco”
Seguace della scuola artistica di Vincenzo Manenti, era specializzato nella tecnica del “mezzo fresco”. Questo espediente, di qualità più scarsa rispetto all’affresco in quanto meno resistente, fu utilizzata tra XVI e XIX secolo per accelerare i tempi di lavorazione di pitture di ampie superfici, che venivano eseguite con colori impastati e diluiti con acqua e calce su intonaci non del tutto asciutti e sempre più spessi e ruvidi. Proprio per questo le sue opere, oltre che per l’incuria nella conservazione, versano spesso in condizioni precarie.
La “Concetione” su palazzo Ronci
il caso del dipinto realizzato nel 1671 (come si legge sotto il libro di Sant’Agostino in basso a destra), sulla facciata del Palazzetto della famiglia Ronci, fatto costruire in via M. A. Sabellico da Paolo Ronci, affittuario generale di beni degli Orsini e della comunità di Vicovaro, e modificato da Liberato Ronci, come attesta l’epigrafe a destra del dipinto (“Casa dell’illustre Liberato Ronci dentro i suoi confini”).
A riprova del legame dei Ronci con la famiglia Orsini, spiccano le due rose orsiniane in pietra incastonate nella facciata.
La mezza tempera, denominata “Vergine Immacolata in Cielo tra Angeli musicanti e i Santi Pietro e Giovanni, Luca, Paolo e Agostino”, cosiddetta “Concetione”, presenta delle peculiarità degne di nota.
In basso a destra è rappresentato proprio Antonio Rosati mentre dipinge su una tela in tempo reale la Vergine apparsa in cielo tra gli angeli. Sul lato sinistro, vicino al pittore e a San Pietro, in piedi, San Giovanni Evangelista, tiene in mano un calice eucaristico dal quale fuoriesce un serpente.
San Giovanni Evangelista e il serpente
Questa figura è stata spesso erroneamente identificata con santa Anatolia, per la presenza dell’animale, simbolo del tentato martirio della santa da parte del soldato romano Audace, ma anche per le fattezze quasi femminili del volto del santo, giovane e imberbe e con capelli lunghi e ondulati.
Esistono in realtà alcune fonti apocrife, tra cui gli Atti di Giovanni, che raccontano un aneddoto miracoloso: ad Efeso a Giovanni fu offerta una coppa con veleno. Costretto a berlo, il santo poco prima fece il segno della croce sul calice e il veleno fuoriuscì sotto forma di serpente, salvando così l’apostolo. Il morso velenoso del serpente può uccidere, ma sappiamo che in antichità i veleni venivano utilizzati in medicina. Il calice eucaristico simboleggia il sangue e dunque il sacrificio di Cristo che si è immolato per la salvezza degli uomini, così come dal veleno, e dunque, simbolicamente parlando, dalla morte, si ricava il beneficio della guarigione. Così succede anche nella medicina moderna, dove ad esempio da un virus potenzialmente mortale, si può ricavare un vaccino in grado di salvare molte vite.
Esempi dell’iconografia di San Giovanni col serpente
Tale iconografia di Giovanni, che di solito viene rappresentato con un’aquila, non era molto diffusa tra i ritratti del santo ma esistono degli esempi. Tra questi la tavola del Giampietrino (Giovan Pietro Rizzoli), allievo di Leonardo, conservata nella Basilica di San Magno a Legnano o il Polittico dell’Agnello Mistico realizzato dai fratelli Jan e Hubert van Eyck nella cattedrale di San Bavone a Gand in Belgio.
San Luca, protettore degli artisti
Peculiare è anche la presenza del giovane San Luca che sorregge il quadro accanto a San Paolo con la spada e a Sant’ Agostino di Ippona rappresentato in abiti vescovili.
San Luca, oltre ad essere il protettore di pittori, scultori e artisti in generale, era particolarmente venerato dai Rosati, al punto che in famiglia molti ne assunsero il nome. Un altro dettaglio curioso è il gesto di Sant’Agostino che indica il ritratto della Madonna, qui raffigurata al di sopra delle figure maschili con le mani giunte in preghiera e un volto sorridente, come per mostrare a San Luca come andava rappresentata.
Dal trattato El Arte de la Pintura del 1638 di Francisco Pacheco del Rio, conosciuto come il “Vasari di Siviglia”, sappiamo infatti che esistevano delle regole ben precise per la rappresentazione dell’Immacolata, teorizzate da teologi e letterati durante il periodo dell’Inquisizione.