La chiesa di San Silvestro al Peschio. Dalle origini all’oblio.

L’ origine della chiesa di San Silvestro, di cui oggi rimane traccia dell’abside della Cappella della Vergine delle Grazie all’interno di un edificio moderno detto “palazzaccio”, risale ad un periodo precedente alla metà del XIII secolo.

Foto dell’autrice
Foto dell’autrice

 

Sorgeva nel mezzo di una delle zone più popolose del paese, che comprendeva il Peschio (rupe, roccia) e i Merli (la zona delle mura medievali che si affacciavano sull’Aniene).

San Silvestro, papa al tempo di Costantino e a cui si attribuisce la conversione dell’imperatore, era una figura molto importante per i Benedettini. Al suo culto si associarono nel corso dei secoli quelli dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista, San Biagio, San Martino di Tours, la Madonna della Neve e Sant’Isidoro Agricola.

Il XVI secolo

Le prime notizie dell’edificio si hanno già col testamento di Matteo Orso del 12 gennaio 1279. Ma è con la visita pastorale del 1546 che sappiamo qualcosa in più sul suo aspetto.

Si presentava con un tetto e un campanile probabilmente a vela con due campane. Sull’altare maggiore era dipinto il Crocifisso tra i Santi Silvestro e Giovanni Evangelista. Lungo la parete sinistra si apriva una cappella dedicata a san Biagio con altare, all’interno del quale il vescovo di Tivoli, Giovanni Andrea Croce, rinvenne un altare portatile.

Nella visita del De Grassis l’affresco dell’altare maggiore non compare tra le note ma si parla di un quadro.

Sul lato opposto rispetto alla cappella di San Biagio ve ne era una dedicata alla Santa Maria Vergine.

Il XVII secolo

Dalla visita del Monsignor Domenico Tosco sappiamo che altri altari erano consacrati a San Martino dalla famiglia Ziantoni e a San Michele Arcangelo, mentre nel 1679 risulta esserci anche un altare dedicato a San Vito.

La cappella della Vergine delle Grazie presentava un’antica immagine della stessa e ospitava la statua in legno di Sant’Isidoro. Questa è ancora oggi conservata nella chiesa di San Salvatore e commissionata dall’Università dei Bifolchi o Compagnia dell’Arte Agraria, presente a Vicovaro già dalla prima metà del Seicento. Si trattava di una sorta di associazione nata con l’intento di difendere gli interessi della categoria e di rappresentarla nelle manifestazioni solenni.

Il culto di sant’Isidoro

Il santo agricoltore, nato a Madrid nel 1080 e ivi morto il 15 maggio nel 1130, protettore dei contadini ed altre figure del mondo agricolo, ha come attributi il ferro usato per raschiare il vomere col quale si racconta che fece scaturire acqua da una roccia.

Altri due prodigi erano quelli dell’acqua fatta risalire da un pozzo salvando così la vita di un bambino che vi era precipitato e quello degli Angeli che ararono il campo al suo posto mentre il santo pregava. Il suo culto raggiunse l’Italia dalla Spagna nel Seicento e si diffuse per la devozione del re Filippo II, che si riteneva miracolato dal santo.

La decadenza dell’edificio

Nella visita del 1681 l’aspetto della chiesa è pressoché lo stesso della precedente, così come per tutte le visite succedutesi nel corso del ‘700 e si sottolinea il suo progressivo stato di decadimento.

La statua di Sant’Isidoro inoltre finì dalla cappella della Vergine fin sull’altare di San Michele Arcangelo.

Il Nella relazione del 1785 si specifica invece che l’altare dedicato a San Vito non esisteva più.

La stessa sorte toccherà a quello della Vergine, come risulta dalla visita pastorale del 1828.

Successivamente ci furono dei tentativi di recupero dell’edificio: prima con l’unificazione delle parrocchie di San Salvatore e San Silvestro, poi con l’intento di utilizzarlo come Oratorio comune per la Confraternita della Santa Croce e per la Compagnia di Sant’Isidoro. Questi tentativi fallirono e, visto il preoccupante stato di abbandono, si decise di trasferire tutte le suppellettili nella chiesa di San Salvatore.

All’inizio del ‘900 si decise per la demolizione della chiesa e della canonica fino ad un metro dalle fondamenta e sul suo perimetro si costruì un edificio residenziale.

Condividi