Il velo della Veronica
Nei secoli la diffusione di reliquie cristiane è divenuto un fenomeno su larga scala, generando episodi di devozione di massa. Fra i pezzi più rinomati si annovera l’immagine stessa di Cristo, impressa su un velo, originariamente appartenuto a Santa Veronica.
L’oggetto, del quale sono pervenute numerose versioni, è costituito da un sottile panno, probabilmente di lino, sul quale è impressa l’immagine di Gesù.
Veronica
La prima attestazione della pia donna compare nei Vangeli sinottici, composti nel I d.C. Ella è descritta come una figura anonima, miracolosamente guarita semplicemente toccando il Salvatore. Dopo un totale silenzio delle fonti successive, Veronica compare nuovamente nel Vangelo apocrifo di Nicodemo, di II d.C.. Nella versione copta dello scritto e in quella latina, alla donna viene attribuito il nome di Veronica. Si tratterebbe di un adattamento del nome greco Berenice, forma macedone dell’originale Ferenice, la “portatrice di vittoria”.
La leggenda della “Vera icona” – termine che richiama il nome della Santa – comparve per la prima volta nell’apocrifo Ciclo di Pilato. I tre scritti interessati dalla vicenda – Guarigione di Tiberio, Vendetta del Salvatore e Morte di Pilato – sono giunti a noi nella versione latina medievale, tratta da un originale, ormai perduto, presumibilmente di VI secolo. Nel racconto è narrata la guarigione dell’imperatore Tiberio, grazie all’intervento della preziosa immagine di Gesù, nelle mani di una donna di nome Veronica. Dopo la miracolosa guarigione lo stesso Tiberio cominciò a venerare Gesù e la sua immagine, stabilendo che essa fosse circondata di ori e pietre preziose.
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Origine del Volto
Nelle tre versioni viene attribuita una differente origine all’immagine impressa sul lino. Secondo la Guarigione di Tiberio la donna avrebbe utilizzato l’oggetto come cuscino, traendone una buona salute. L’effigie, poi, sarebbe stata commissionata dalla stessa Veronica, per amore di Gesù. Nella Vendetta del Salvatore, invece, il panno, venerato come capace di atti miracolosi, avrebbe origine ignota. Al contrario, nella Morte di Pilato, il testo più recente, viene specificata la genesi miracolosa. La donna, devota a Cristo, ne avrebbe desiderato un’immagine. Decisa a farla realizzare, si sarebbe recata da un pittore con un panno di lino. Nel tragitto lo stesso Gesù le sarebbe apparso, imprimendo egli stesso i tratti del suo volto sul tessuto.
Un’ultima versione è narrata nel rito della via Crucis, risalente al basso medioevo. Secondo questa storia Veronica incontrò il Salvatore nella salita al Calvario e gli asciugò il volto con il panno, sul quale sarebbero rimasti impressi i suoi tratti.
Secondo alcuni storici del Cristianesimo le leggende relative al velo, conosciuto in Italia anche come “Volto Santo”, certamente a-storiche, affonderebbero le radici nell’esistenza storica di una reliquia con i tratti di Gesù, il celebre mandylion di Edessa. Da esso si sarebbero originate non solo numerose leggende, ma anche delle copie.
Non parrebbe sussistere alcun rapporto diretto con la Sindone di Torino, se non una derivazione comune dal suddetto mandylion.
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Attestazioni della reliquia
Il panno sembrerebbe giunto a Roma intorno al 1011, quando uno scriba venne indicato come custode della preziosa reliquia. Si narra, poi, che Veronica possa essere stata nell’originaria chiesa di San Pietro al tempo del pontificato di Giovanni VII, ma non esisterebbero prove a conferma della storia.
Le prime attestazioni certe del velo risalgono, tuttavia, al 1199. A quell’anno risalgono i racconti di due pellegrini, Giraldus Cambrensis e Gervasio di Tilbury. Essi, visitata Roma, avrebbero riferito dell’esistenza della donna. Pochi anni dopo, nel 1207, il panno venne mostrato da papa Innocenzo III. Chiunque avesse venerato l’effigie avrebbe ricevuto un’indulgenza. Sull’onda dello stesso spirito, nel 1300, Papa Bonifacio VIII proclamò, in occasione dell’esposizione annuale del volto, il primo giubileo. Fu allora che il velo divenne mirabilia urbis per i pellegrini giunti nella Città eterna.
Considerata la più preziosa reliquia cristiana l’effige andò distrutta, secondo alcuni resoconti dell’epoca, durante il sacco di Roma del 1527. Molti furono gli artisti che ne riproposero le fattezze, ma la riproduzione divenne proibita a partire dal 1616, per volere di papa Paolo V. Pochi anni dopo, nel 1629, Urbano VIII dispose la distruzione di ogni copia.