Il Palazzo del Concilio di Trento, tra Rinascimento e Età Moderna, cerca un nuovo ruolo nella città
“Il Palazzo delle Poste di Trento è sorto sulla sede di un palazzo nobiliare di epoca rinascimentale. ‘Palazzo a Prato’, fatto costruire dalla omonima famiglia, fu in gran parte distrutto da un incendio a metà Ottocento e subito trasformato sotto la dominazione asburgica in un palazzo postale. Venne distrutto da un incendio esattamente 300 anni dopo l’avvenimento che lo aveva reso celebre, il Concilio di Trento. E’ notizia recente – si legge nel sito del giornale l’Adige – che finalmente verrà restaurato.
Durante il Concilio esso diviene la sede dei legati pontifici, i rappresentanti del papa, e dalla vicina chiesa SS Trinità partì la processione conciliare verso il Duomo di Trento. Nel 1830, dopo varie vicende, compresa la proposta di farne il nuovo palazzo vescovile, è sede di uno zuccherificio…
La famiglia a Prato si era progressivamente affermata fra la nobiltà trentina, contribuendo allo sviluppo della città sia con attività commerciali ed estrattive, sia con donazioni benefiche.
Poi in pieno periodo fascista, nel 1929, l’architetto Angiolo Mazzoni, artefice della grande revisione novecentesca realizzata in chiave futurista del Palazzo delle Poste scriveva nel 1934: «la sede della direzione provinciale delle Poste di Trento non è un palazzo ma un insieme di costruzioni fra loro unite».
Il Palazzo è infatti esito di qualcosa di diverso da una ristrutturazione, o un restauro: nasce dall’unione e inclusione dei resti del cinquecentesco palazzo della Famiglia a Prato (del quale rimangono visibili il portale rinascimentale, la trifora che si affaccia sul cortile e alcune arcate) con le vecchie poste austrungariche, che non furono demolite ma reinterpretate in chiave futurista.
Con uno straordinario lavoro di alta sartoria, Mazzoni selezionò le preesistenze, ricompose frammenti, tesse trame di percorsi che legano insieme parti sempre distinte e riconoscibili. Le foto degli anni trenta scattate da Perdomi e Unterveger documentano un’architettura di stratificazioni artefatte, luogo di conpresenze dove convivono in armonia e contraddizione storicismi, arcaismi, modernismi,in una collezione di frammenti e citazioni. Fu un cantiere di restauro dove conservazione, trasformazione ed invenzione si arricchirono reciprocamente e dove il Rinascimento dell’ “Età moderna” ed il moderno “Novecento” si confrontarono”.
Ridisegnato dal “tempo”, dagli incendi e dall’efficienza asburgica, “riplasmato” da Mazzoni.
La grande opera si presentava d’un intenso blu sabaudo, a celebrare la recente annessione di Trento all’Italia, e arricchita da preziosi interventi artistici realizzati dai più importanti artisti del tempo: gli affreschi di Luigi Bonazza e Gino Pancheri (che era anche autore del famoso fascio littorio di via San Pietro), la scultura di Stefano Zuech raffigurante San Cristoforo sul lato sud del palazzo.
Infine le vetrate: quelle intatte al primo piano di Enrico Prampolini e quelle perdute di Tato e Fortunato Depero che erano posizionate nel porticato del chiostro e immergevano in caleidoscopici giochi di luce gli spazi dell’ex dopolavoro.
“In base all’accordo tra Comune, Provincia e Poste italiane, – si legge ancora – vi sarà un recupero dell’edificio storico e un suo utilizzo con funzioni miste, prevalentemente aperte al pubblico, in grado di riqualificare quella zona del centro. Nel dettaglio, il piano terra ospiterà ristorante, bar, negozi e l’ufficio postale; il primo ristorante, bar uffici privati e negozi; il mezzanino uffici pubblici; il secondo piano e il sottotetto appartamenti”.