La macabra storia del locandiere che diede il nome alla Riva de Biasio a Venezia

Venezia e i suoi misteri. Una città che ha spesso ispirato la fiction televisiva e quella dei videogiochi. Un luogo che si presta grazie al misticismo della nebbia che avvolge i canali, lo sciabordio dell’acqua nelle notti spettrali.

Quella che racconteremo in questo articolo è la storia di uno dei primi assassini seriali della storia italiana, il cui nome è oggi associato alla zona della Riva de Biasio, nel Sestiere Santa Croce.

La leggenda che avvolge questa località, narra di una locanda che era sita in Campo San Zan Degolà (Campo San Giovanni decapitato). La locanda era ben nota in tutta Venezia per la ricetta dello Sguazetoovvero una tipica pietanza rinascimentale che prevedeva come ingredienti un misto di carni tenerissime cotte in una sorta di zuppa. La nostra storia si svolge infatti in un periodo non ben definito del 1500.

Secondo alcune cronache ufficiali la data dell’esecuzione sarebbe avvenuta il 18 novembre 1503

Biagio Cargnio (Biasio) era il proprietario della locanda. Sia i veneziani che i forestieri giungevano numerosi nel suo locale per sorbire lo Sguazeto oppure le Luganeghe, le tipiche salsicce. La locanda di Biagio era inoltre uno dei pochi luoghi dove la carne fosse sempre reperibile in abbondanza, nonostante la città di Venezia, fosse in quel periodo colpita dalla peste e dalla guerra contro i turchi.

Tuttavia un giorno alla locanda capitò uno squerarolo (carpentiere), che gustando l’intingolo notò qualcosa di insolito. Secondo i racconti, lo sfortunato avventore si ritrovò tra le varie carni una falange di un dito appartenuto a un bambino, che ancora aveva l’unghia attaccata. L’uomo turbato, ma conscio di quello che avrebbe significato fare una piazzata, preferì raccogliere il macabro ritrovamento e correre ad avvisare la Quarantia Criminale.

I soldati irruppero nella locanda arrestando Biagio e nel retro della locanda, dove venivano conservati i cibi trovarono membra umane appartenute a bambini. Successivamente, scavando nel terreno all’interno della stanza trovarono dei cadaveri sapientemente macellati. L’uomo venne condotto inizialmente in prigione. Dopo il processo che lo condannò alla pena di morte, fu condotto dinanzi alla sua taverna. Qui vennero amputate le mani colpevoli degli aberranti crimini. Il suo destino si concluse con il trascinamento legato a un cavallo fino al Palazzo Ducale, dove venne decapitato in mezzo alle colonne rosse.

Il corpo di Biasio venne squartato e le membra furono disposte nei quattro punti cardinali della città come monito. La locanda fu fatta radere al suolo, anche se successivamente qualcuno decise di scolpire la sua testa in una lapide che fu apposta al muro dove sorgeva prima l’edificio.

A Biasio è stata anche dedicata una filastrocca che recita così:

“Su la riva de Biasio l’altra sera (l’altra sera in Riva de Biasio)
So andada col putelo a ciapar aria, (sono andata con mio figlio a prendere un po’ d’aria)
ma se m’a stretto el cuor a una maniera (mi si è stretto incredibilmente il cuore)
che la mia testa ancora se zavària: (che la mia testa vaneggiava)
me pareva che Biasio col cortelo (mi pareva che Biagio col coltello)
tagiasse a fete el caro mio putelo!” (tagliasse a fette il mio caro bambino)

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