Vicovaro, la prima traduzione integrale dello Statuto

La prima traduzione integrale dello Statuto di Vicovaro del 1273

Nella seconda metà del XIII secolo, nel basso Lazio, si verificò una fitta produzione di
statuti volta a regolamentare la vita dei feudi. Essi rappresentavano l’accordo tra gli abitanti del
castello e i signori, e formalizzavano i vari aspetti della società del tempo prima affidata a vincoli
solo consuetudinari. Lo Statuto costituiva perciò una garanzia per gli homines del dominatus, che si
vedevano riconosciuti per iscritto doveri ma anche diritti, e si sottraevano così a eventuali soprusi.
La pratica, del resto, si inserisce nel processo di autonomia comunale già da tempo in atto ed è
sintomo della ripresa delle attività commerciali e dell’incremento demografico che caratterizza il
Basso Medioevo in Europa.

In particolare, lo Statuto di Vicovaro fu approvato nel 1273 presso il palazzo della curia
degli Orsini alla presenza di Francesco, Giacomo e Matteo Orso, figli di Napoleone di Giovanni
Gaetano, che nel 1232 aveva ereditato il castello di Vicovaro insieme a quelli di Cantalupo-Bardella
(attuale Mandela). Composto da quarantuno rubriche (più una premessa e una conclusione), il testo
fa riferimento a vari aspetti della vita comunitaria. Di particolare interesse la descrizione della
società che vede la curia (rappresentante gli interessi degli Orsini) e i massari (amministratori
locali) svolgere un ruolo fondamentale nella gestione amministrativa ed economica del feudo.
Ad esempio, i massari avevano l’obbligo di consegnare alla curia un quinto dei prodotti
della terra (tutti i frutti della terra, vigne, canapine, oliveti), coltivare le terre dei signori o quelle
amministrate dalla curia fuori Vicovaro ma sempre di proprietà degli Orsini. Nello stesso tempo il
diritto di prelievo esercitato dalla curia poteva essere espletato una sola volta all’anno. Così per le
galline, le prestazioni lavorative, il ricorso agli animali da trasporto. Niente era dovuto per l’orto
personale che si possiede liberum sine aliquo redditu. Una maggiore arbitrarietà i signori potevano
esercitarla in caso di guerra, soprattutto se arruolavano un esercito.

 

Stemma del Comune di Vicovaro (da Wikipedia.org)

Lo Statuto del 1273, mentre declina con dovizia di particolari ogni aspetto della vita
comunitaria, è quasi del tutto privo di norme penali nel caso di illeciti o reati. A queste provvederà
il successivo Statuto della metà del XV secolo, composto di 179 capitoli tutti inerenti alla punizione
dei reati. Tra le infrazioni punite troviamo: i bestemmiatori (50 soldi alla curia in caso di bestemmia
contro Dio e la Vergine; 15 soldi per gli altri Santi); i furti (taglio di una mano per il furto di
frumento; estirpazione di un occhio per furto di animale; orecchia inchiodata alla porta del castello
per furto di attrezzo agricolo, qualora non si possiedano denari per pagare, infatti la sanzione
pecuniaria è sempre ammessa); gli adulteri (la moglie adultera perdeva la dote); le violenze sessuali
(taglio del piede al colpevole); le stregonerie (sanzione pecuniaria o in mancanza taglio del piede
all’uomo; dei capelli, del naso con aggiunta di frustate, se donna). Altre sanzioni riguardano la
pulizia delle strade, gli animali al pascolo; lo smaltimento delle acque reflue e il divieto di pescare
alle acque del Ronci tra novembre e gennaio, senza autorizzazione dell’autorità.

Gli Statuti citati restituiscono l’immagine di una comunità in grande fermento che si avviava
ad affrontare grandi trasformazioni e perciò sentiva la necessità di costruirsi delle regole. A distanza
di 850 anni dalla sua approvazione, abbiamo deciso di tradurre lo Statuto di Vicovaro, che era stato
già inserito in lingua originale in Statuti della Provincia romana: Vicovaro, Cave, Roccantica, Ripi,
Genazzano, Tivoli, Castel Fiorentino a cura di F. Tomassetti, V. Federici e P. Egidi (Roma, Forzani
& C., 1910) e tradotto in sue piccole parti da G. Pomponi in La storia di Vicovaro. Volume secondo.
I cinque secoli di dominio degli Orsini (Vicovaro, Edizioni Il Tempietto, 1995), ma che mai era
apparso integralmente in italiano e in una forma introdotta e commentata in modo da essere fruibile
anche ai non specialisti.

L’opuscolo – realizzato con il contributo dell’Unitre Vicovaro e perciò consultabile sul sito
dell’associazione – compie quindi un’opera di divulgazione che ha come scopo non solo quello di
dare informazioni su un importante documento medioevale del nostro territorio, ma soprattutto
quello di ricostruire un legame tra i contemporanei e i loro antenati, rispondendo alla necessità per
cui nasce lo stesso Statuto: non lasciare che le cose «oblivioni traduntur», siano trascinate
nell’oblio.

 

A cura degli scrittori Margherita Crielesi e Antonio Francesco Perozzi

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