I martiri del Belfiore

Il Risorgimento è stato quel processo storico che ha portato l’Italia a diventare una nazione; un processo però complesso che ha influenzato, non solo i campi del sapere dell’umanità come la letteratura e l’arte, ma anche le moltissime vite di persone; basti pensare a quanti “garibaldini” ( volontari dell’esercito di Garibaldi) persero la vita negli anni a metà dell’Ottocento. Insomma, come tutti i moti rivoluzionari, il prezzo per ottenere l’Unità fu altissimo.

I martiri che vanno a patibolo. Wikipedia.
La Mantova risorgimentale

Tra i tanti sacrifici che si leggono sui libri di storia, salta, quando è riportato, l’episodio dei  Martiri di Belfiore. Già dall’attributo, si denota che nella coscienza comune siano considerati come eroi, persone che si sacrificarono per ottenere l’unità. Si tratta di un gruppo di patrioti che furono impiccati tra il 1852 e il 1855 dal generale austriaco J. Radetzky. Siamo in pieno clima risorgimentale e Mantova era ancora sotto controllo dell’impero austroungarico, attraverso la casata dei Gonzaga che deteneva il controllo da circa quattrocento anni. Sebbene fosse un ducato di dimensioni ridotte, poneva diversi vantaggi: da quello finanziario a quello strategico. Aveva, infatti, delle solide fortificazioni che, insieme alla sua posizione geografica ( controllava il passaggio tra l’attuale Veneto e Lombardia), garantivano una difesa vantaggiosa e quasi inespugnabile.

Lapide che ricorda la loro morte. Foto di Massimo Telò. Wikipedia.

Gli austriaci quindi avendo visto il potenziale militare del Ducato mantovano, ne avevano fatta una delle loro roccaforti migliori, tra le più estese, tra l’altro, del regno Lombardo Veneto. Come in altri luoghi dell’impero anche qui, era presente un carcere per i “ribelli”, ossia di tutti quei cittadini che si ribellavo al loro potere. Dopo le sconfitte dell’esercito lombardo veneto, il governo austriaco attuò una politica di repressione fortissima che nella persone del comando, il maresciallo, Radetzky, condannò a morte numerosi  cittadini.

I martiri del Belfiore

Nonostante questa politica e le due visite dell’imperatore ( avvenute entrambe nel 1851), i risultati non furono quelli sperati. Il clima di sommossa non si placò, ma anzi si fece, se possibile, ancora più teso e pronto a esplodere, tanto che molti cittadini iniziarono a incontrarsi segretamente ben prima della visita del governo austriaco. Risale infatti al 1850 la prima riunione mantovana a casa di L. Benintendi, protagonista dei tumulti risorgimentali. In questo primo incontro si creò una sorta di comitato rivoluzionario con venti persone, tra cui G. Chiassi, C. Marchi, G. Acerbi, E. Tazzoli e A. Sacchi, quest’ultimo era l’ispiratore del gruppo. Ben presto la loro attività si fece pratica: diffondevano volantini, affiggevano manifesti e intrattenevano rapporti con i comitato di Milano e Padova e raccoglieva fondi per la “mazziniana”. Mazzini, infatti, aveva ideato le cosiddetto “cartelle del prestito interprovinciale. E furono proprie queste a far scoprire il gruppo.

La sentenza di condanna. Foto di Andrea.mannino. Wikipedia

La vigilanza dei soldati imperiali era molto attenta e così rinvennero a casa di L. Pesci una di queste cartelle. Attraverso interrogatori e, soprattutto, torture, il filo investigativo portò a L. Tazzoli che fu arrestato. Ad aggravare ulteriormente la sua situazione, fu un registro che la polizia trovò, nel quale erano annotatote gli incassi dell’iter delle cartelle mazziniane. Sottoposto a torture, Don Tazzoli non pronunciò una parola, ma il registro li condusse comunque sulla loro strada. Arrestarono più di cento persone tra Mantova, Milano, Brescia e Venezia: molti morirono durante gli interrogatori, gli altri scelsero perlopiù il silenzio, non tradendo così la causa in cui credevano fermamente. Nonostante l’intervento del vescovo di Mantova, la condanna fu capitale: furono impiccati in zona Belfiore ( ecco perché Martiri di Belfiore), senza possibilità, ovviamente, di appello.

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