Catenaccio Catenacci, il “padre” del dialetto d’Anagni

Si sa che il padre della lingua italiana è Dante, questo è un fatto storicamente assodato ed inoppugnabile. Non esistono altre opere letterarie di tale grandezza, complessità e cura dei vocaboli come la Divina Commedia ma esiste qualcosa di meno conosciuto che, nondimeno, segna gli esordi della nostra lingua, qualcosa di cui vale la pena parlare. Dante scrive in volgare ma che, fondamentalmente, è il dialetto fiorentino di allora che diventa il seme dell’italiano. Ma contemporaneo di Dante un altro autore si diletta con lo scrivere in volgare, nel dialetto usato ad Anagni.

Il poeta dialettale

Questo autore si chiama Catenaccio Catenacci detto “Catenaccio da Anagni”. Si sa che nacque intorno alla metà del duecento certamente ad Anagni dove la famiglia Catenacci è fra le più eminenti della zona imparentata con la potentissima famiglia Caetani. Ricoprì molti incarichi politici importanti in vari centri dello Stato della Chiesa : vicario del Podestà Loffredo Caetani a Todi dal dicembre 1282 al giugno 1283; Podestà a Foligno nel 1310 e Capitano e Podestà a Orvieto nel 1314. Dopo il 1314 non si hanno più notizie di lui e non si conosce la data della morte. La sua opera si intitola “Disticha Catonis” ed è una libera traduzione in volgare anagnino di una raccolta di massime latine risalente con ogni probabilità al III sec.d.c. Quest’opera fu impiegata, grazie alla facilità di memorizzazione, nelle scuole medievali sia per imparare la grammatica e la metrica sia per i suoi contenuti etici. Caratteristica nella traduzione di Catenaccio è un’attenta applicazione di regole metriche che mantiene il ritmo dell’originale ed anzi ne valorizza il contenuto. La libertà nel tradurre, il valore poetico e l’uso sapiente del dialetto nei versi di Catenaccio ne fanno un’opera letteraria indipendente dal testo originale latino e danno vita ad un’opera letteraria unica, fondamenta indiscutibile della lingua e letteratura italiana.

Riporto alcuni esempi di brani del testo :
 
FORCIUS UT VALEAS, INTERDUM PARCIOR ESTO
PAUCA VOLUMPTATI DEBENTUR, PLURA, SALUTI.

Non fare tucta fiata tuctu lo to potere,

nanci ti sparanya e saccite mantenere,

cha poy a lo bisogno, secondo mio parere,

tu serray plu possente e porrai plu valere.

S’a lu bisogno plu valere voy

No fare tucta fyata quanto poy.

 

Non fare ogni volta tutto quanto sta nelle tue possibilità

Anzi risparmiati e sappi misurarti,

poiché poi nel momento del bisogno, secondo me,

sarai più valido.

Se vuoi valere di più quando serve,

non fare ogni volta tutto quello che puoi.

 

IUDICIUM POPULI NUMQUAM CONTEMPSERIS UNUS
NE NULLI PLACEAS, DUM VIS CONTEMPNERE MULTOS.

Quando vidi gra gente insembla confirmare

ad volere una cosa e tucti la laudari,

passato bellamente se lo peiu te pare,

no contrastare a tucti né tu solu blasmare.

Se zò che pare a multi sprezaray,

da multi desprezatu poy serray.

 

Quando vedi molte persone ribadire insieme

di volere una cosa e tutti lodarla,

non discuterne non opporti a tutti

e non essere l’unico a biasimare.

Se disprezzerai ciò che a molti piace

da molti poi sarai disprezzato.

 

SIT TIBI PRECIPUE, QUIA PRIMUM EST,CURA SALUTIS:
TEMPORA NE CULPES, CUM SIT TIBI CAUSA DOLORIS

In zò chi day a ffar providi tuctavia

A ssellerende quello che tua salute sia ;

se poy ti nde menesvene, como no deveria,

non de blasmare lo tempo ne prendere fellonia.

Si fay lo mello e male ti nde prende,

poy chi non è toa colpa no te offende.

 

In quello che ti presti a fare, provvedi sempre

a scegliere con cura quello che per te è meglio;

se poi ti va male, come non dovrebbe essere,

non montare in collera.

Se poi fai il meglio che puoi e ti viene male

poiché non è colpa tua non abbatterti.

 

Guglielmo Viti

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