L’affare Nazino

L’Affare Nazino

Nel 1933, l’Unione Sovietica mise in atto un esperimento sociale di sopravvivenza: l’Affare Nazino, dal nome della striscia di terra compresa tra l’Ob e, appunto, la Nazina, in Siberia. Per mettere in atto il progetto, l’Unione sovietica deportò migliaia di persone, considerate nocive e dannose per la società; tra questi comuni criminali, contadini e dissidenti politici. Lo scopo ufficiale era quello sia di tastare il loro spirito di sopravvivenza e la loro socialità, tanto da creare colonie di popolamento autosufficienti. Quello reale era di popolare dei gulag in cui erano rinchiusi le “ le persone scomode” al regime.

Deportarono i prigionieri attraverso la linea ferroviaria Tomsk-Omsk-Acinsk; fin da prima della costruzione delle prime colonie, realizzarono il campo d’internamento di Tomsk, nel quale erano rinchiusi i deportati prima dell’avvio delle colonie.

La colonia di Nazino

La prima colonia creata fu quella di Nazino. Già dai primi viaggi, attraverso alcune chiatte, si crearono i primi problemi, come risse e aggressioni. Queste situazioni erano molto comuni: i criminali minacciavano i cittadini comuni per rubarli le poche razioni di cibo. Le condizioni all’interno delle colonie degenerarono velocemente: le chiatte scaricavano uomini e donne sempre in numero maggiore, dall’altra parte le dosi di cibo furono ridotte sempre di più. Il 18 maggio del 1933, con l’arrivo di altri prigionieri, si scatenò una rivolta che fu sedata solo con l’intervento dell’esercito, il quale fucilò i rivoltosi.

Immagine di un gulag sovietico. Foto di Rakoon. Wikipedia.

Questa fu solo la prima avvisaglia. In pochissimo tempo, il campo di Tomks così collassò: i prigionieri in totale era quasi 30.000 contro i 15.000 previsti, le dosi di cibo però previste erano quelle iniziali. Molte persone morirono di fame e di freddo.

Le autorità russe decisero di trasportare circa 6000 prigionieri presso l’isola di Nazina. Gli storici non hanno ancora ben compreso il motivo di questo trasferimento; credono che si sia trattato di un superficiale tentativo per calmare la situazione al campo di Tomks.

Le terribili condizioni igeniche

Le condizioni a Nazina erano, se possibile, ancor peggiori di quelle del primo campo: le guardie non avevano dotato i detenuti di abiti adeguati per proteggersi del freddo, per di più ridussero ancora la dose di cibo. Senza utensili per cucinare, i prigionieri mangiarono acqua e farina che provocò un epidemia di dissenteria, la quale fece numerose vittime. Nonostante la situazione peggiorasse di giorno in giorno, il governo fece arrivare altri detenuti per un totale di 6000. Ben presto così le guardie notarono segni di cannibalismo: per sopravvivere, alcuni prigionieri furono costretti a mangiare i cadaveri dei compagni.

Mappa di Nazino. Foto di NordNordWest. Wikipedia.

Ci furono anche dei tentativi di fuga: tre persone provarono a uscire da quell’inferno, costruendo delle zattere. I tentativi non andarono a buon fine: appena in acqua, le zattere furono risucchiate dall’acqua e gli uomini morirono annegati.

L’isola di Nazino è la storia di sofferenze, prigionie e morte; purtroppo, lo scoprirono nel 1988 grazie alla glasnot e alle testimonianze dei detenuti sopravvissuti. Da parte però del governo non ci furono rivelazione. Fu solo nel 2002 che pubblicò i documenti relativi a quello che è conosciuto da più come “L’isola dei cannibali” o “della morte”.

Per approfondire: https://www.prometeomagazine.it/2021/02/15/i-lager-nacquero-in-germania/

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