Carlo di Rudio: il soldato che attentò a Napoleone e scampò alla Little Big Horn
Carlo di Rudio: il soldato che attentò a Napoleone e scampò alla Little Big Horn
Ci sono personaggi che sembrano attraversare la Storia; figure di cui le vite hanno intrecciato i principali momenti storici e culturali, figure le cui esistenza si sono scontrate con battaglie, dittatori e tragedie. Queste persone sono, dunque, stati testimoni della Storia; non di quella locale o limitata a quella nazionale, bensì di quella mondiale.

È chiaro che nessuno di loro avesse scelto questo tipo di vita, ma in un modo o nell’altro, si sono resi protagonisti e, dunque, vale la pena di raccontare le loro esistenze perché, con la loro straordinarietà, hanno, fatto la storia, com’è comune dire. Anche se può sembrare una rarità, in realtà ci sono vari personaggi che, a modo loro, hanno contribuito. Tra questi sicuramente è da annoverare Cardo di Rudio, il quale ha oltrepassato ben due continenti, ha attentato alla vita di Napoleone III e è sopravvissuto alla battaglia della Little Big Horn.
L’infanzia e i primi studi
Carlo nasce a Belluno il 26 agosto del 1832 da una famiglia nobiliare: il padre, Ercole Placido, era, infatti, un conte molto conosciuto della zona bellunese, la madre Elisabetta de Domini, era anch’essa una contessa. Si deduce, quindi, che la sua educazione fu molto altolocata. Terzogenito della coppia, in famiglia e da parte degli abitanti di Cusighe, piccola frazione alle porte di Belluno, era chiamato il “Moretto” per i folti capelli neri e la carnagione olivastra. Fin da piccolo, si dimostrò un bambino vivace e curioso che apprendeva con estrema facilità, tanto quanto erano le sue monellerie; infatti, era spesso richiamato dai genitori per i suoi comportamenti.
Com’era d’uso nelle famiglie nobili ottocentesche, fu avviato insieme al fratello più grande, Achille, alla carriera militare; i genitori, infatti, lo iscrissero presso l’Accademia militare di San Luca a Milano, l’odierna scuola militare di Teulliè, tra le più prestigiose per la formazione militare. Durante gli anni scolastici, nel 1848 fu coinvolto nei moti lombardi delle Cinque giornate di Milano. Nonostante potesse rimanere in disparte, egli scelse, insieme al fratello Achille, di partecipare; durante gli scontri uccise un soldato autriaco-croato che si era macchiato di gravi crimini, tra cui lo stupro e l’assassino di due donne. Dopo questo episodio, fu trasferito a Graz (Austria), ma la permanenza austriaca si rilevò molto breve; poco dopo essere arrivato, rientrò clandestinamente in Italia.

Dobbiamo tener conto che il Risorgimento, ossia quel processo storico e culturale che portò all’Unità d’Italia (1861), era già in atto; quegli ideali così cari si stavano già diffondendo, tanto che al suo arrivo a Belluno, il Conte Carlo fu subito ispirato dal pensiero mazziniano. Dapprima il suo sostegno fu solo teorico, s’interessava alle opere e agli ideali di Mazzini, ma, alla prima occasione, passò alla pratica: accorse alla difesa di Venezia, insieme al fratello Achille e al compaesano Pier Fortunato Calvi che sarà anche lui stesso un eroe risorgimentale.
Le prime esperienze risorgimentali
E fu proprio a Venezia, dove morì suo fratello a causa di un’infezione colerica. Da questo momento, capì che la sua vita non era per la teoria, ma, bensì per la pratica e la partecipazione attiva, tanto che, dopo l’episodio veneziano, si trasferì a Roma, dove ebbe modo di conoscere Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, i fratelli Dandolo e Goffredo Mameli. Insomma, tra le più spiccate personalità del Risorgimento italiano. Qui, entrò in contatto e apprese gli ideali di libertà, ma, purtroppo, il clima non era ancora maturo: infatti, Venezia era sempre occupata dagli austriaci e Garibaldi era stato costretto a rifugiarsi in America ( New York) e anche Carlo di Rudio fu costretto a fuggire in Francia, essendo a Roma sempre braccato dall’esercito regio.
A Parigi si schierò con i Giacobini (movimento francese fondato sugli ideali repubblicani e sulla sovranità popolare) che si opposero al tentativo di colpo di stato di Napoleone III di Francia. Rientrato in Italia, partecipò all’insurrezione mazziniana del Cadore ( in provincia di Belluno). Non fu solo lui e il fratello Achille a essere attivi nel Risorgimento, ma anche il padre e la sorella di Luigia. Entrambi, infatti, furono arrestati e incarcerati a Mantova.

A metà dell’Ottocento, nel 1857, si trasferì a Genova, poiché nella città ligure avrebbe potuto ottenere un imbarco per l’America; infatti, dopo qualche mese lo ottenne, ma il viaggio non andò a buon fine. La nave, su cui viaggiava, naufragò. Riuscito a salvarsi, si rifugiò prima in Spagna e poi in Francia e Svizzera, trasferendosi definitivamente in Inghilterra.
L’attentato a Napoleone III
A Londra, incontrò quella che poi diventerà sua moglie, Eliza Booth. Sposatosi dopo qualche mese di fidanzamento, la sua vita sembrò stabilizzarsi: si dedicò alla moglie e alla famiglia, nonostante avessero gravi problemi finanziari, dovuti alle continue lotte di Rudio. Dunque, fu costretto a svolgere lavori saltuari come il giardiniere presso Luigi Pinciani, amico noto del celebre scrittore Victor Hugo. La vita tranquilla durò ben poco, il suo spirito reazionario ebbe di nuovo il sopravvento e alla prima occasione non mancò di partecipare; gli si presentò quando F. Orsini organizzò un piano per assassinare Napoleone III, il quale era stato accusato di aver fatto fallire i moti risorgimentali in Italia.

Ma, non andò a buon fine: il piano, infatti, fallì miseramente. Furono, infatti, lanciate tre bombe contro il corteo dell’Imperatore, ma quest’ultimo non fu nemmeno ferito, ne uscirne illeso. Rimasero, però, uccise otto persone e altre cento ferite gravemente. Dopo il palese fallimento, Rudio fu arrestato subito e processato nel mese di febbraio dell’anno successivo. Lo condannarono in prima istanza alla pena di morte, ma grazie all’influenza del padre di Eliza, la pena fu commutata in ergastolo nella colonia penale dell’Isola del Diavolo nella Guyana francese.
La reclusione all’Isola del Diavolo
Dunque, lo trasferirono. Arrivato sull’isola, iniziò a essere ossessionato dall’idea della fuga; meditava su come poter scappare. La vita sull’Isola, come lui stesso raccontò, era molto dura: sia le guardie sia i compagni di carcere lo ritenevano un sovversivo e quindi, come tale, lo maltrattavano e provocano. Sebbene la sua reputazione fosse chiara, riuscì a trovare anche degli alleati che lo aiutarono a ideare il piano di fuga. Riuscì a scappare nel 1858 insieme ad altri compagni. Si rifugiarono nella Guyana inglese, dove trovarono la protezione necessaria. Da qui, s’imbarcò per l’Inghilterra, tornando dalla sua famiglia.
Ancora oggi ci sono molte controversie su quest’attentato, a partire dai nomi dei partecipanti, i quali non ne abbiamo ancora la certezza. Lo storico Paolo Mastri, che si dedicò al caso, chiese allo stesso Rudio chiarimenti a riguardo; innanzitutto dal ruolo di Orsini. Rudio confermò di averlo visto passare una bomba tra le mani di Francesco Crispi. La sua testimonianza destò un gran clamore e una forte polemica che attraversò i confini di tutta Europa. La storiografia moderna, invece, non ritiene le affermazioni di Rudio così veritiere poiché la descrizione, che ne dette all’epoca Rudio, non coincideva con l’aspetto di Crispi in quel preciso momento.
I problemi finanziari però non erano spariti: il suo nome di sovversivo e i debiti sempre più gravi, lo costrinsero a partire di nuovo. Scelse gli Stati Uniti; grazie a una raccomandazione di Mazzini, riuscì a imbarcarsi. Sbarcò a New York, cambiò il suo nome in Charles e trovò subito lavoro nell’esercito federale nordista, il quale stava combattendo la Guerra di Secessione. A causa di una sostituzione, l’esercito lo arruolò nel settantanovesimo New York Volunteer Infatry. Qui, si distinse per meriti sul campo, tanto da meritarsi il grado di sottotenente di una nuova compagnia, la quale stava combattendo in Florida.
La battaglia di Little Bighorn
Nella guerra civile americana, Rudio partecipò alla nota battaglia di Little Bighorn, combattuta tra l’esercito e le tribù di Sioux, Hunkpapa e Oglala, sotto il comando di Toro Seduto e quella dei Cheyenne con Cavallo Pazzo. Durante questa battaglia, Rudio eseguì prontamente gli ordini dei superiori, i quali aveva previsto un attacco stringente nei confronti delle tribù: una parte, incluso anche Rudio, sarebbe partito dal Nord Dakota guidato dal comandante Custer, un’altra dal Montana e infine tre colonne avrebbero cingere le tribù. Così nell’avanzare della manovra militare, Custer nega a Rudio lo squadrone E, affidandogli invece quella A, ben più sfornito e meno preparato.

Questo gli salverà la vita, poiché quello E, una volta arrivato al campo delle tribù indiane, i nemici li massacrano. Rudio e gli altri, invece, essendo più distanti, riuscirono a capire quanto sbagliata fosse la manovra di Custer: il campo di battaglia era molto più esteso e quanto fossero battaglieri gli indiani. Si nascose così in una boscaglia e così si salvò la vita.
La pensione e la morte
Fu uno dei pochi a salvarsi la vita, tanto che finì alla ribalta sui giornali, diventando un personaggio celebre negli Usa. Alla fine della guerra, aprirono un’inchiesta sulla condotta sia dei comandanti sia dell’esercito e ascoltarono anche Rudio. Dopo varie udienze e verbali, il Governo americano confermò i suoi meriti. Lo trasferirono ad altri incarichi militari; la sua vena, però, battagliera non si esaurì. Partecipò anche alla guerra dei Nasi Forati, ossia il conflitto armato tra la tribù, appunto, dei Nasi Forati e l’esercito americano, combattuto fra il giugno e l’ottobre del 1877.
Dopo questo, si trasferì in Texas e si ritirò all’età di sessantaquattro anni, trasferendosi a San Francisco. Morì il 1 gennaio del 1910 in California. Oggi riposa nel cimitero monumentale di Pasadena.
Per approfondire il Risorgimento: https://www.prometeomagazine.it/2022/01/07/oggi-7-gennaio-si-celebra-la-festa-del-tricolore-scopriamo-la-sua-storia/