“Taciti, soli, sanza compagnia”: gli ipocriti nell’ “Inferno” dantesco

È così che inizia il Canto XXIII dell’Inferno, nel quale sono puniti gli ipocriti. Persone che in vita mostrarono due facce: una bonaria e accattivante e una, invece, plumbea e malvagia.

Dante e Virgilio si trovano sull’argine che divide la quinta dalla sesta bolgia, quando il Sommo Poeta intravede una schiera di dannati che camminano lentamente, piangendo, nascosti ognuno da un cappuccio dorato. Questi sono gli ipocriti, condannati da Dante a un’eternità infernale per aver mostrato in vita due facce diverse. La loro pena è forse fra le più dure.

Miniatura degli Ipocriti. Wikipedia.

Il cappuccio è esternamente dorato, ma all’interno è ricoperto di piombo, talmente pesante che i dannati non possono sollevare la testa.

Il riferimento dantesco al loro duplice atteggiamento è chiaro: così come la doratura all’esterno, anche essi apparentemente si mostrarono buoni e gentili; la piombatura invece all’interno, ci chiarisce la loro cattiva indole. Il doppio volto, o meglio forse la maschera e il volto, che essi portarono in vita, Dante la trasfigura nella loro pena eterna, risolvendo anche nella doppia morale: una esterna e, dunque, apparente e l’altra interna più profonda e veritiera.

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