La lingua dei segni dei monaci

La Regola di Benedetto tra le altre cose, prescriveva la regola del silenzio. I monaci nel Medioevo avevano il divieto di parlare per gran parte della giornata. La regola vigeva  nel refettorio, nelle sale comuni, in chiesa, paradossalmente solo in biblioteca si poteva parlare. Furbescamente si inventarono quindi una serie di strategie per poter discutere tra loro. Sebbene la comunicazione con i segni esistesse da tempo , le prime tracce codificate risalgono ai primi tempi dell’abbazia di Cluny. Luogo in cui Odone, abate dal 927 al 942 ne codifico’ i segni. Il linguaggio silenzioso consisteva di una serie di gesti delle mani, ammiccamenti del viso, movimenti del corpo, tutti al servizio di uno “specifico dizionario del silenzio” per non disobbedire alla Regola.

I “ signa” erano descritti dettagliatamente e si usavano per indicare cibi, piante, animali, utensili di cucina, tipi di cottura ma anche concetti astratti. Integrazioni successive le troviamo anche tra XII e XIII secolo, in Germania grazie a Guglielmo di Hirsau e a San Vittore di Parigi. Abbiamo testimonianze di altri manuali anche in Inghilterra a Eynsham.

I criteri con cui si dava corpo e forma a questi gesti rispondevano al semplice concetto dell’imitazione: tradurre in maniera visiva l’oggetto, descriverne la peculiarità con il gesto.

 

Esempi:

1) Per indicare un martire: si mimava il segno di tagliare la testa.

2) Per il sale: “unisci al pollice le parti estreme delle dita e, tenendole unite, muovile due o tre volte staccandole dal pollice”.

4) Per il maiale (le pochissime volte che si poteva andar di carne): “percuoti con il pugno la tua fronte, poiché è in questo modo che esso viene ucciso”.

5) I piatti composti (es: i mitici “fladones” medievali, torte salate ripiene) si indicano con i loro ingredienti principali: “Premesso il segno generale del pane e quello del formaggio, piega tutte le dita di una mano, fino a formare una cavità, ponila poi sulla superficie dell’altra mano, ecco la forma della torta”.

6)Per indicare un monaco cresciuto nell’abbazia si introduceva il dito mignolo in bocca quasi a mimare un bimbo che succhia il latte.                     Fu pero’  nel XVI secolo che si fecero i primi tentativi. In contrasto con le tesi aristoteliche di aiutare le persone sordo-mute a parlare von i gesti .Autori rinascimentali come Rudolf Agricola e Gerolamo Cardano ne furono i pionieri. La prima esperienza positiva in questo senso fu condotta da uno spagnolo, il monaco benedettino Pedro Ponce de León, che riuscì a insegnare a parlare a due bambini sordi dalla nascita, i nipoti del connestabile di Castiglia, Pedro de Velasco. Ponce mise probabilmente per iscritto il suo sistema ma a noi non e’ giunta opera.

 

 

A cura di Tania Perfetti