Il tragico omicidio di Junko Furuta
Alcuni fatti ci lasciamo sgomenti, con un senso di disgusto, rammarico e grandissima rabbia. Sì, perché in alcuni casi ti domandi: perché? Perché alcune persone fanno questo?. E purtroppo i casi di cronaca in cui la crudeltà di certi soggetti supera ogni immaginazione non sono rari. Il tragico caso dell’omicidio di una ragazza giapponese, Junko Furuta, è purtroppo proprio uno di questi.
Il rapimento
Junko era una ragazza giapponese. Frequentava il secondo anno del liceo, quando quattro ragazzi diciottenni la rapirono, tra cui Jo Kamikasu, affiliato alla tristemente nota mafia Yakusa. Questi, che all’epoca appena diciottenni, volevano vendicarsi del rifiuto di Junko nei confronti di Jo.
Portarono la ragazza, dopo il rapimento, in una delle case dei genitori di Jo e lì, subì violenze che difficilmente si possono raccontare. La imprigionarono per più di quaranta giorni, durante i quali le violenze di gruppo, le sevizie e le torture erano quotidiane. Junko, inoltre, fu costretta, qualche giorno dopo al rapimento, a chiamare i suoi genitori per tranquillizzarli della sua scomparsa. Durante questi mesi, incredibilmente i genitori di Jo andarono nella propria casa e anche in quest’occasione la ragazza fu costretta a mentire, dicendo che era la fidanzata di uno di loro.

La povera ragazza resistette fino al gennaio del 1988 quando i quattro aguzzini iniziarono a picchiarla selvaggiamente con spranghe e tubi di ferro e infine la bruciarono viva. Gettarono poi il corpo in una discarica isolata, lontano dall’abitazione. Solo dopo alcuni anni, un pentito della Yakusa confessò dove si trovava il cadavere; nonostante il corpo di Junko testimoniasse le torture subite, i quattro assassini riuscirono ad avere un notevole sconto della pena, essendo minorenni all’epoca dell’omicidio.
Il caso di Junko fece sì, però, che l’età per la piena responsabilità fosse abbassata a sedici e poi a quattordici anni.