Il vino invecchiato cent’anni che si beveva nell’antica Roma

Il vino ha fatto parte della storia umana da tempi remoti. La sua produzione nasce contestualmente quando l’essere umano ridusse la caccia e imparò a coltivare. Tuttavia, le testimonianze storiche più accurate ci arrivano dall’Antica Roma, che ci ha tramandato circa 30 tipi diversi di vino.

Tra questi degni di nota sono il Caecubum (Cecubo) che deve il suo nome alle uva di varietà Cecuba ed il Falerno, prodotto nell’Ager Falernum.

Il Cecubo viene descritto da Strabone come “eccellente e sostanzioso”, mentre Galeno lo apprezza come “gradevolissimo, di buon tono. Di forte sostanza alimentare, ottimo per l’intelligenza e lo stomaco”. Era questo il vino destinato in genere ai brindisi, servito a fine pasto. Ma questo vino subisce un declino dai tempi di Plinio, quando la concorrenza dei vini marsigliesi dal gusto affumicato conquistano il palato dei Romani.

Il Falerno invece era prodotto in Campania tra Caleno e Sinuessa, vicino al Monte Massico. Orazio lo descrive come un vino asciutto e focoso. Il suo colore era giallognolo e il sapore migliorava grazie all’invecchiamento. Dopo 15 anni raggiungeva la perfezione, secondo Marziale, e il suo colore bruniva.

Ma la longevità eccezionale di questo vino ci viene raccontata in un episodio del Satyricon, secondo cui Trimalcione offrì un Falerno invecchiato 100 anni. Forse una parodia ideata dall’autore Petronio o forse no. Il sapore amaro del lungo invecchiamento sarebbe stato mitigato con l’aggiunta di miele attico.

Tale è la fama di questo vino, che Cesare lo offriva al popolo per celebrare i suoi trionfi bellici in Gallia e Spagna. Una fama perdurata fino al 1800, quando ancora in Germania era considerato il vino di maggiore qualità in Europa.

 

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