La pizza. Storia della pietanza più buona di sempre

Che pizza!!! La vogliamo cu pummarolo coppa. A cura di Maria Lupica

Ovunque si ci trovi in questo mondo, è facile gustarne una. La preparazione può essere casalinga, oppure andando in un locale apposito. In tempi moderni si può addirittura farsela portare direttamente a casa dal fattorino. Non traggano in inganno la semplicità dei suoi ingredienti di base, farina, acqua, pomodoro e olio d’oliva, ecc. Il suo sapore inconfondibile, rustico, semplice insieme, la fa apprezzare anche ai palati raffinati di monarchi, Borboni e Savoia.

Origini

Le sue radici attecchiscono nel neolitico, cioè da quando l’uomo ha potuto impastare la farina con acqua e ha potuto cuocerla su pietre su pietre roventi.  È con la scoperta del lievito da parte  antichi Egizi, anche se nel 3000 A.C. si trovano tracce di lievito in Sardegna, che la storia della pizza ha una volta decisiva. Di li la sua evoluzione si è diversificata nei secoli avvenire e si è adattata a tutte le culture che l’hanno adottata nella loro tradizione culinaria.

Da Roma in poi

È nell’antica Roma che i contadini, siamo ancora ad un livello alimentare estremamente basso e quindi popolare, dopo aver imparato a miscelare la farina di tutti i tipi di farro allora conosciuti la preparano creando la farina (deriva da “far”, che in latino farro), con acqua ed insaporendola con erbe aromatiche e sale: i tantissimi ingredienti, molti dei quali sconosciuti fino a secoli e secoli dopo, per la gioia delle nostre papille gustative. Per ottenere una focaccia rotonda da cuocere sul focolare, al calore della cenere. Nel VII D.C., con l’arrivo in Italia dei Longobardi, inizia a circolare un nuovo vocabolo gotico-longobardo: “bizzo”, talvolta detto “pizzo”. In tedesco “bizzen”.

Dal Medioevo

Nel Medioevo, più precisamente dopo l’anno Mille quindi basso medioevo, si trovano i primi documenti ufficiali col termine “pizza”. Come in uno datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo. O quelli della Curia Romana del 1300, dove ci riferisce a lei con i temini di “pizis” e “pissas” conosciuta in quel periodo come tipico prodotto di forno, quindi non più cotta al calore della brace, nel centro-sud della penisola.

Regno delle Due Sicilie

La pizza propriamente come la intendiamo noi, per convenzione vede i natali nel Regno di Napoli tra il ‘500 e il ‘600, con la Pizza Mastunicola condita con di lardo, cigoli, formaggio di pecora, pepe e basilico. Fu nella  metà del ‘700 che si comincio a usare il pomodoro come condimento base. Sempre a Napoli, dopo l’Unita d’Italia fu sfornata per i nostri reali  da Raffaele Esposito la pizza Margherita che presentava i tre colori della bandiera: Basilico per il verde, mozzarella per il bianco e pomodoro per il rosso.

La Sicilia si è sbizzarrita nella creazione autoctone di sue varianti golosissime, differenziandosi nettamente da tutte le altre,  sia nell’impasto che nel condimento e prende nomi i più diversi: scaccia, pitone, focaccia, pizzolo per citarne solo alcune. I condimenti utilizzati sono: pecorino, piacentino, ragusano, caciocavallo, tuma. Ma la più apprezzata variante e lo sfincione che secondo la tradizione più accreditata è stato inventato dalle pie suore San Vito a Palermo per offrirlo durante le festività ai più danarosi, il ricavato delle vendita poi è poi riservato ai più deleritti perché avessero almeno un pasto quotidiano.

Dopoguerra

Bisognerà attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale perché la pizza esca dai confini del meridione d’Italia per sbarcare al nord e col boom industriale nel triangolo Milano, Torino e Genova migliaia di emigranti si spostano con le loro famiglie con i modi, gli usi e costumi a loro pertinenti. Incominciano pian piano a fare le prime pizze per i compaesani e via via con il successo ottenuto anche per la gente del posto. Negli anni Sessanta, poi, le pizzerie arrivano praticamente in tutto il Paese. E nel giro di qualche anno, in tutto il mondo. Dalla Cina al Medio Oriente, dall’Europa dell’est all’America del sud. Nel 5 febbraio del 2010 la commissione dell’Union europea ha varato un regolamento che disciplina la produzione della pizza napoletana, per poi giustamente dichiarare patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 2017 l’arte dei pizzaioli napoletani, elevandola da cucina da strada a gourmet.

Quindi, ovunque siamo, a casa nostra o seduti al tavolo di una pizzeria rinomata, non possiamo più farne a meno di mangiarla, dicendo che pizza!!!

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