Da Subiaco alla corte papale: la storia del primogenito illegittimo Cesare Borgia
Condottiere, cardinale, nobile, politico italiano, tra le figure più discusse e controverse della Storia: è così che potremo definire l’ambigua figura di Cesare Borgia.
Cesare Borgia, primogenito illegittimo di Rodrigo Borgia (1431-1503), papa Alessandro VI, e la Vannozza Cattanei (1442-1518), nasce a Subiaco nel 1475. I due, oltre a Cesare, ebbero altre tre figli: Giovanni (1476-1497), Lucrezia(1480-1518) e Goffredo (1481-1517).

Fin dalla tenerissima età, il padre lo indirizzò verso la carriera ecclesiastica, tanto che il Pontefice Papa Sisto IV, il precedente di Rodrigo, lo riconobbe come figlio naturale, seppur illegittimo, del cardinale e di Vannozza.
Vannozza, soprannome di Giovanna, era di origine lombarde, purtroppo non abbiamo notizia certa di quando e come s’incontrarono i due. È plausibile pensare che i due si fossero incontrati tra il 1464-1469 quando Rodrigo era un cardinale.
L’infanzia e la giovinezza
In questo modo, l’allora cardinale Rodrigo Borgia riuscì a ottenere i numerosi benefici ecclesiastici per il figlio. Dopo aver completato gli studi religiosi per la futura carriera da prelato, il padre volle ugualmente fornirgli un’educazione rinascimentale e così fu inviato all’Università di Perugia, nel 1489, dove rimase circa un biennio.
Trasferito dopo la laura a Pisa (1491), riuscì a conseguire la laurea in giurisprudenza presso l’allora facoltà di legge della città toscana, ossia il Palazzo della Sapienza. L’ambito giuridico di Pisa era rinomato in tutto il “bel paese” per la presenza di numerose personalità, come il giurista F. Decio, tra i più importanti e prolifici autori di legge del suo tempo.
Chiaramente, durante gli anni di studi, Cesare trascorreva la sua vita come un vero e proprio principe, circondato da moltissimi agi e lussi; infatti, come ogni principe, aveva un suo seguito personale, composto prevalentemente da spagnoli, essendo la famiglia Borgia originaria di Valencia.
In questi anni ebbe modo anche di conoscere illustri personaggi del Rinascimento italiano, come Lorenzo il Magnifico, il quale era già in buoni rapporti con la casata Borgia. Per di più frequentò l’università pisana con Giovanni dei Medici, secondogenito di Lorenzo e futuro Papa Leone X.

Quando i due s’incontrarono, Giovanni sicuramente era più avviato nella carriera ecclesiastica rispetto a quanto lo fosse Cesare che dimostrava ben poca convinzione l’abito talare. Nonostante la magra sicurezza per la carriera ecclesiastica, e senza che Cesare avesse mai effettivamente preso i voti, Papa Innocenzo VIII lo elesse il 12 settembre del 1491 vescovo di Pamplona (Spagna). Questo fu un chiaro e distinto indizio del potere crescente del padre che pian piano stava aumentando nella corte papale.
L’elezione di Rodrigo Borgia a Papa
La vita di Cesare cambiò per sempre quando a Pisa fu colto dalla notizia dell’elezione a pontefice del padre Rodrigo, da questo momento Alessandro VI; era l’11 agosto del 1492 e Cesare, in quel momento, era a Pisa. Nello stesso anno, il Papa gli donò la nomina a vescovo di Valencia.
La diocesi di Valencia era visceralmente collegata con la casata Borgia; infatti, non solo era stato vescovo Rodrigo, ma anche suo zio, Alfonso Borgia, Papa Callisto III.

Cesare, però, non prese mai concretamente possesso dell’arcivescovado, essendo nominato quasi subito cardinale il 20 settembre del 1493. Due anni dopo, nel 1495, Alessandro VI lo elesse governato generale e legato di Orvieto (Umbria).
Cesare, però, non nutriva un profonda fede cristiana; manteneva una dignità cattolica, almeno in linea teorica, solo per le rendite che le cariche ecclesiastiche gli fornivano e, dunque, le sue ambizioni erano soprattutto venali e principesche.
Dopo l’omicidio del fratello Giovanni, avvenuto in circostanze misteriose nella notte tra il 14 e il 15 giugno del 1497, Cesare ottenne dal padre la dispensa dalla vita ecclesiastica, dimostrando così la sua superficiale vocazione.
Depose la porpora cardinalizia nel 1498 e si dedicò fin da subito, invece, alla carriera militare che gli si confaceva molto di più. Senza l’abito ecclesiastico, divenne una pedina per le strategie di Papa Alessandro VI; infatti, grazie al possibile matrimonio del figlio, poteva tessere nuove alleanze.
L’occasione gli arrivò molto presto, quando Rodrigo individuò, come consorte di Cesare, Carlotta d’Aragona, figlia e presunta erede di Federico I di Napoli. Alla fine del Quattrocento, Carlotta era ospitata presso la corte francese di Luigi XVI e, così, Cesare partì alla volta della Francia.
Quest’unione avrebbe dato a entrambe le parti
grandi, anzi grandissimi, vantaggi: dalla parte dei Borgia, essi, nella persona di Cesare, avrebbero ottenuto il regno partenopeo, dall’altra, il Re di Francia avrebbe ottenuto l’annullamento del suo matrimonio con Giovanna di Valois in modo che potesse sposare Anna di Bretagna, vedova del suo predecessore.
La vita amorosa
Per di più, Papa Alessandro VI avrebbe legittimato le pretese francesi sul Ducato di Milano, senza interferire militarmente. Dunque, si trattava di un’unione molto vantaggiosa da entrambe le parti in causa.
La trattativa, però, non fu così facile come l’accordo sulla carta; infatti, una volta giunto in Francia, Cesare non fu accolto da Carlotta come sperava. La giovane napoletana rifiutò di primo acchito di sposarlo; la principessa, infatti, era stata ben poco impressionata dall’arrivo in pompa magna di Cesare e, dunque, era poco propensa a unirsi in matrimonio con lui. Per di più negò ogni tipo di negoziato. Cesare, così, non consegnò a Luigi XVI la bolla papale dell’annullamento del matrimonio.
La situazione non si risolse in tempi brevi, passarono, infatti, alcuni mesi per far sì che tra le due parti si trovasse un compromesso. Cesare acconsentì di sposare la nipote del re, Charlotte d’Albret. Papa Alessandro VI emise nuovamente la bolla papale con il divorzio e l’instaurazione di un tribunale ecclesiastico che decretò la nullità dell’unione.

Cesare e Charlotte si sposarono il 12 maggio del 1499; da questo matrimonio, Cesare ottenne il titolo di Duca di Valentinois che gli procurò il soprannome, appunto, di Valentino.
L’attività militare
Nello stesso anno, i francesi, visto l’accordo papale e sostenuti da Venezia, arrivarono in Italia alla conquista del Ducato di Milano, Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, non rimase che la fuga dalla città meneghina.
Visto la facile conquista, l’esercito di Luigi XVI, di cui era luogotenente cesare, proseguì verso Ravenna che faceva parte del potere temporale papale Alessandro VI inviò, inoltre, anche alcune bolli papali ai signori di Forlì, Faenza, Urbino in cui li dichiarava caduti dal potere. In questo modo spianò la strada alle conquiste del figlio.
I signori delle città della Romagna, però, non obbedirono alle minacce papali e così lo scontro fu inevitabile; fu una guerra cruenta, secondo le cronache del tempo. Nonostante il profondo coraggio di questi signori, la vittoria fu dei francesi e di Cesare, tanto che a Faenza e a Rimini furono deposte le signorie dei Malatesta e dei Manfredi.
Arrivato al centrosud, Firenze riuscì a trovare un accordo con il Valentino, ma in Toscana egli, e l’esercito francese, attaccò Piombino ( provincia di Livorno).
Visti i continui successi del figlio, Papa Alessandro spinse per l’attacco al Regno di Napoli che avvenne nel 1519, dopo la scomunica del re di Napoli. La conquista della città partenopea, però, non avvenne in termini classici, bensì grazie a un tradimento. Cesare corruppe un cittadino che aprì le porte della città, dando quindi libero accesso agli avversari.
A questo punto, il Duca Valentino era diventano potentissimo, aveva conquistato gran parte dei territori italiani ma da molti, però, era malvisto. I suoi comportamenti erano, a dir poco, poco morali e vicini all’etica.
Secondo molte testimonianze dell’epoca, frequentemente orchestrava congiure e delitti contro i nemici militari e politici e, ovviamente, non si curava dell’opinione pubblica, visto l’appoggio di suo padre.
La congiura di Vitelozzo e degli altri
Le sue innumerevoli conquiste preoccupavano anche i compagni d’arme, come V. Vitelli, il quale iniziò a temere per i propri domini. A causa di questa preoccupazione si recò insieme ad altri commilitoni nelle vicinanze del Lago Trasimeno per ordine una congiura a sue spese.
Vitelozzo e gli altri entrarono così ad Urbino e impiccarono numerosi collaboratori di Cesare. Quest’azione però non fermò Cesare che li costrinse alla padre il 31 dicembre del 1502. Il carattere vendicativo era, però, proprio del Valentino; infatti, dopo la stipula della pace, Cesare li invitò a pranzo e li fece uccidere da un suo sicario.
Su questo drammatico epilogo, anche Nicolò Machiavelli dedicò un brevissimo trattato dal titolo Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli […]. Inoltre lo studioso fiorentino lo riportò anche nel capitolo VII del Principe.
A livello politico Cesare era diventato l’indiscusso signore della Romagna, ma egli non si volle fermare; infatti, grazie sempre al sostegno del padre, occupò per dieci giorni Monteleone d’Orvieto e poi si diresse verso Siena.
La città toscana era, in quel momento, governata da Pandolfo Petrucci; una volta arrivato lì e dopo un breve, ma sanguinoso, combattimento, Petrucci lasciò la città in mano a Cesare ( 28 gennaio del 1503).
La casata Orsini
Altro nemico dei Borgia era sicuramente la casata degli Orsini, tra le più antiche e facoltose dell’epoca. Il papa fece arrestare molti suoi membri e confiscare i loro averi. Gli Orsini, dall’altra parte, cercarono di deporre il Papa. Alessandro fece così tornare Cesare che riuscì a sconfiggerli a Ceri (Cerveteri) e conquisto pure la città.
La vittoria di Ceri, però, comportava la perdita di Siena che, per volere del re di Francia, ritornava sotto il governo di Pandolfo Petrucci.

Cesare non si sarebbe voluto dar per vinto nella sua riconquista ma non ce la fece perché il 18 agosto del 1503 Papa Alessandro VI morì all’età di settantatré anni. Cesare, così, perse il suo grande e fondamentale appoggio.
Vannozza Cattanei e Giulia Farnese
Dopo la morte di Rodrigo, Vannozza condusse una vita di ritiro e di penitenza, aderendo alla confraternita del Gonfalone, di stampo cattolico che operava nella misericordia. Morì all’età di settantasei anni, nel 1518, lasciando tutti i suoi beni alla confraternita cristiana. La tumularono nella Chiesa di Santa Maria del Popolo (Roma), insieme al figlio Giovanni; sulla tomba fu apposta una lapide che ne ricordava la vita.

La lapide sepolcrale di Vannozza, però, fu ritrovata solo nel 1948, dopo per secoli era stata usata al rovescio come pavimentazione della Chiesa. Fu quindi ricomposta e murata nella Basilica di San Marco, di fronte al Campidoglio, a Roma, dove tutt’oggi è visibile.
Vannozza Cattanei non fu la sola amante di Rodrigo, egli ebbe anche un’assidua frequentazione con Giulia Farnese, detta dai i suoi contemporanei la Bella Giulia per la sua nota avvenenza. Tra i due la relazione fu quasi ossessiva, basti pensare che Papa Alessandro la minacciò di volerla scomunicare se questa si fosse allontanata da lui.
Cesare, dopo la morte del padre
Dopo la perdita del padre, Cesare entrò una profonda crisi che lo rese incapace di adottare misure necessarie per la sua protezione, tanto che, dopo il breve pontificato di Pio III, fu eletto Giuliano della Rovere -Papa Giulio II-, il quale era sempre stato acerrimo nemico della casata dei Borgia.
La caduta di Cesare
Fin dai primi tempi del suo pontificato, Giulio II gli tolse tutti i possedimenti della Romagna, ne ordinò l’arresto e la reclusione presso Castel Sant’Angelo.
Dalla cella vaticana riuscì a evadere e si rifugiò prima a Napoli, dove prevedeva di riconquistare i territori perduti, ma questo non avvenne perché il Papa lo inviò in esilio in Aragona, consegnandolo a Ferdinando II. Il re aragonese si premunì di rinchiuderlo e imprigionarlo, ma riuscì a fuggire anche da lì, sebbene in modo rocambolesco; infatti, si calò da una finestra a circa venti metri di altezza.
La morte
Durante la fuga, però, qualcuno tagliò la corda e precipitò nel fossato sottostante, rompendosi e fratturandosi numerose ossa. Riuscì comunque a riparare nel vicino regno di Navarra. La caduta peggiorò le sue condizioni di vita, infatti, era già affetto dal cosiddetto Mal francese, ossia la sifilide, morì nella notte tra l’11 e l’12 marzo del 1507.
Cesare non ebbe pace nemmeno da morto. Non riconobbero il suo corpo e, così, gli spogliarono dei vestiti e lo abbandonarono seminudo senza una degna sepoltura. Il corpo, poi, una volta accertata l’identità, fu traslato con solenni funerali e collocato in un grande sepolcro di marmo, voluto dal Re di Navarra nella Chiesa di Santa Matia di Viana, alla destra dell’altare maggiore.
Le vicissitudini della lapide
Questa posizione non fu definitiva. Nel XVII secolo, l’Inquisizione spagnola decise che i resti del Cesare, ritenuti sacrileghi e indegni, fossero traslati nel patio della stessa Chiesa, che era terra non consacrata, vicini, tra l’altro, a una discarica di rifiuti così da essere calpestati dagli uomini e dagli animali.
Rimasero lì fino al 1953 quando le autorità del paese recuperano questi resti e le collocarono in un’urna di pietra, tumulandoli nel sagrato, davanti alla porta principale. Ricordarono la sua vita con una lapide marmorea. Dieci anni dopo, i cittadini eressero un busto.
Nel 2007 l’amministrazione comunale celebrò persino la ricorrenza del cinquecentesimo anniversario della morte di Cesare; per l’occasione fu chiesto all’arcivescovo di Pamplona a Toledo di riportare i resti in Chiesa, ma non data la concessione e per cui è rimasto lì dove lo aveva traslato l’Inquisizione. La sua tomba è però diventata meta di visite turistiche.
Considerazioni finali
Cesare, insieme alla sua nota sorella Lucrezia, è tra i personaggi più enigmatici di tutto il Rinascimento: le loro vite sono state spesso oggetto di studio e di discussioni. In molti, infatti, si sono interrogati sulla veridicità dei loro caratteri così ambiziosi e, all’apparenza, senza scrupoli e quale ruolo abbia giocato il padre nelle loro vite. Foto 15
Rodrigo Borgia è stato sicuramente un manipolatore delle vite dei suoi figli; entrambi furono delle pedine per i suoi giochi politici. I matrimoni di entrambi i fratelli, infatti, servirono ai suoi scopi e i figli, dall’altra parte si adeguarono alla volontà del padre.
Non furono però del tutto innocenti, il carattere vendicativo di Cesare è raccontato in numerosi documenti d’epoca. Dobbiamo anche dire che era pratica comune quella di usare unioni per alleanze o per ottenere nuovi titoli o territori.
Cesare, così come Lucrezia, rimangono emblemi dell’epoca rinascimentale e come tali continuano a destare la curiosità degli storici e non solo.