Il sarcofago strigilato a Vicovaro
Una rappresentazione del matrimonio romano
Tra via Arco don Mauro e Largo Padre Virgilio Rotondi a Vicovaro è presente una fontana la cui vasca riutilizza un cassone di un antico sarcofago romano.
Le notizie relative alla provenienza, rinvenimento e riuso del sarcofago sono purtroppo sconosciute, sebbene costituisca un’importante fonte per la conoscenza dell’iconografia funeraria di età imperiale.

Il rilievo figurato
Il rilievo che originariamente decorava la sua parte anteriore si inserisce nel muro di sostegno di via Regina Margherita. Quest’ultimo comprende una scena figurata inserita tra due campi decorati con diverse scanalature a forma di “S” allungata, che ricordano lo strigile utilizzato in antichità dagli atleti per detergersi il corpo dal sudore e dalla polvere.

Questa tipologia di sarcofago prende il nome di “strigilata” e da numerosi confronti con altri esemplari esistenti la sua diffusione si data tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C.
La cassa presenta sui lati brevi la rappresentazione graffita di scudi con bipenne centrale.

Sul rilievo figurato è invece visibile, al di sotto di un arco decorato con acroteri a palmetta e impostato su pilastri di ordine corinzio, una figura maschile togata con un rotolo in mano ed una femminile col capo velato. I due si stringono la mano destra, mentre tra i loro piedi prende posto un fanciullo con una piccola fiaccola tra le mani.
Si tratta di una scena di dextrarum iunctio inter coniuges alla presenza di Imeneo, figura mitologica che presiede al matrimonio. Tale gesto cerimoniale era il culmine della cerimonia e del patto nuziale. Sanciva a livello giuridico la validità dell’unione matrimoniale. Veniva eseguito alla presenza di una donna anziana e rappresentava l’impegno da parte dei due sposi a considerarsi un essere solo. In ambito funerario può assumere il significato di ultimo addio tra gli sposi al momento della morte.
Il matrimonio nell’antica Roma
Sebbene il sarcofago sia stato smembrato e rifunzionalizzato e il suo stato di conservazione sia abbastanza precario, offre un concreto spunto per la conoscenza del matrimonio nell’antica Roma.
Rappresentava uno strumento con cui le famiglie si legavano l’una con l’altra, con cui una donna accedeva al patrimonio e ai privilegi di una famiglia più abbiente o si rafforzavano degli accordi politici presi precedentemente. Si trattava di un vero e proprio contratto familiare, che molto spesso veniva deciso dai pater familias e dalle matrone, a danno delle spose, che raramente avevano la piena libertà di scegliere il loro consorte.
Le tre forme principali di unione
Dopo lo svolgimento degli sponsalia, cerimonia solenne con la quale si compiva la promessa di matrimonio, questo poteva avvenire secondo tre forme: confarreatio, coemptio e usus.
La confarreatio
Il matrimonio per confarreatio era il più antico e solenne, istituito da Romolo secondo la leggenda. Praticato inizialmente dai patrizi, fu poi riservato alla sola classe sacerdotale dei Flamines e cadde in disuso all’inizio del principato di Augusto. Prende il nome dall’usanza di condividere fra gli sposi un pane realizzato con la farina di farro.
La coemptio
La coemptio invece rappresentava un vero e proprio atto di compravendita. Nel corso della cerimonia la futura sposa veniva venduta dal pater familias allo sposo alla presenza di cinque tesimoni e del libripens che reggeva una bilancia. Su questa il marito gettava un pezzo di bronzo non coniato corrispondente a quello che era considerato il prezzo della moglie. Lo consegnava poi al padre e dopo questa cerimonia si svolgeva il banchetto nuziale e il trasferimento della sposa dalla casa del padre a quella del marito.
L’usus
L’usus, definitivamente abolito da Augusto, si basava invece sulla convivenza ininterrotta di un uomo e una donna non coniugati per un anno. I due al termine di questo periodo potevano ritenersi legati da un vero e proprio vincolo matrimoniale.