La vecchia dell’aceto: povera anziana o assassina spietata?

La Storia, a volte, è inclemente: sono state tramandate vite a dispetto di altre, ma ci sono vite che ancora non sono state riscoperte e che, forse, lo meritano.

Una di queste è quella di Giovanna Bonanno. La sua fu una vita triste e povera che ancora oggi a chi la conosce suscita dubbi e domande.

Soprannominata “la vecchia dell’aceto”, in realtà si chiamava Anna Pantò e visse nel quartiere Zisa di Palermo intorno al XVIII secolo, durante il viceré di Caracciolo (1717-1789). Purtroppo, non c’è giunta nessuna notizia della sua infanzia. Le prime tracce della sua biografia partono dal suo matrimonio con Bonanno Vincenzo, da cui prese, ovviamente, il cognome. Nonostante il suo nome di battesimo fosse Anna, nel quartiere tutti la chiamavano Giovanna, probabilmente come accadeva all’epoca ci fu una deformazione del nome.

La leggenda racconta che molte donne palermitane si recavano da lei per liberarsi dei mariti, la quale con un modesta somma di denaro li preparava un miscuglio letale per uccidere il coniuge. Tale mix, come si evince dal soprannome, conteneva l’aceto; chiaramente solo questo non era sufficiente e, dunque, la donna aggiungeva anche l’arsenico.

La storia racconta che Giovanna abbia scoperto questo intruglio per caso: infatti era solita chiedere per le vie della città siciliana le elemosina. Un giorno si avvicinò a lei, una donna che teneva in braccio il figlio morente. La causa della sofferenza del bambino era, appunto, la miscela di aceto e arsenico che la madre gli aveva dato per uccidere i pidocchi. Nella mente di Giovanna si scatenò così l’idea malsana di utilizzarlo per uccidere gli uomini, ne fece una prova su un cane randagio che morì qualche ora più tardi aver assunto la miscela. Inoltre, Giovanna si accorse che il miscuglio non lasciava tracce e questo la convinse del tutto a intraprendere quest’orrenda via.

Il processo

Da questa scoperta, nel quartiere Zisa iniziarono a susseguirsi morti di cui nessuno poteva identificare la causa. La vita da criminale durò, secondo la leggenda, molto poco, infatti Giovanna fu tradita da un’amica che aveva finto di comprare la boccetta maledetta.

La donna voleva vendicare la morte del figlio di cui accusava Giovanna. Nel momento in cui l’anziana signora si recò per portargliela, spuntarono altre quattro persone, oltre che la presunta amica. Immediatamente arrestata, subì un processo per stregoneria e per gli omicidi reali o presunti. Condannata a morte. Fu impiccata il 30 luglio del 1789 a Palermo davanti a una grande folla.

Ancora oggi, Giovanna è rappresentata come una vecchia claudicante, povera e sola e, forse, con lei la Storia non ha fatto giustizia. Durante il processo, Giovanna confessò subito di essere lei l’assassina ma non dichiarò mai di averlo fatto per fini malevoli, ma solo per fornire ad alcune donne una via d’uscita da un matrimonio infelice, nei quali subivano violenze di ogni genere. Una macabra difesa in un mondo nel quale il genere femminile non aveva diritti.

 

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