11 novembre San Martino

Martino di Tours, leggende e folklore

Quando la nostra civiltà era ancora di tipo rurale o comunque con saldi riferimenti ai cicli agricoli, la festa di San Martino rivestiva una grande importanza. Già i Greci e i Romani usavano aprire con grandi feste le botti del vino nuovo, in un giorno che più o meno coincideva col nostro 11 novembre. La tradizione continuò poi in epoche successive, dando origine al detto popolare «Si svina a San Martino / la botte del buon vino».

In tale data terminava pure l’anno agricolo e ciò dava luogo ad una serie di eventi correlati: si pagavano fittanze, rendite e locazioni; si iniziava sia l’anno scolastico che quello giudiziario; venivano rinnovati i contratti agricoli e – specialmente nel nord d’Italia – si effettuavano i traslochi. Al riguardo è rimasta celebre la frase di Vittorio Emanuele II alla vigilia della decisiva battaglia di San Martino nel 1859 «Qui, o prendiamo San Martino o ci fanno fare San Martino», anche riferendosi visivamente alle grandi carovane di masserizie che – ogni 11 novembre – intasavano le strade di Torino.

San Martino e la festa dei cornuti

Ma è a Roma, in particolare, che la ricorrenza di San Martino è sempre stata ricordata come la festa dei mariti traditi o più efficacemente (absit iniuria verbis!!) dei ….cornuti, anche se oggi più nessuno è in grado di riconoscere il nesso tra il santo vescovo di Tours (che, per intenderci, è quello che tagliò parte del suo mantello per darlo ad un povero) e lo sberleffò a tale infelice categoria.
Così siamo andati a consultare quella sterminata miniera di fatti, notizie e curiosità che è il monumentale “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica” in 140 volumi di cui fu autore Gaetano Moroni, già potente aiutante di camera di papa Gregorio XVI tra il 1831 ed il 1846. Dice dunque il Moroni che già da alcuni secoli prima era tenuta in gran conto una devota usanza: dall’11 novembre iniziava di fatto l’Avvento, tempo di penitenza in preparazione del Natale, durante il quale si praticava il digiuno e l’astinenza da ogni carne, compresi quindi gli amplessi coniugali.
Poiché quaranta giorni erano lunghi, i mariti più ligi temevano che le mogli meno pazienti si prendessero – diciamo così – alcune libertà eccessive e quindi si affidavano al santo che vigilava l’inizio della penitenza, affinché vegliasse sulla onorabilità del focolare domestico.

La Processione dei cornuti a San Valentino

Sono molte le leggende legate alla storia dell’ex generale romano poi divenuto vescovo di Tour che donò il suo mantello al povero, come molte sono le tradizioni popolari legate alla festa di San Martino dell’11 novembre, come quella, per citarne una tra le tante, che si svolge a San Valentino in Abruzzo Citeriore. La “Processione dei Cornuti” del 10 novembre, che affonda le sue radici nei riti pagani. La tradizione prevede che gli uomini del paese, al tramonto, sfilino per le strade tra le grida dei compaesani. Al termine della processione viene servito il tradizionale spezzatino di San Martino. Il giorno dopo continua la tradizionale fiera con le castagne e il vino novello.

 

Estate di San Martino

“La nebbia agli irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar”: inizia così la celebre poesia di Giosuè Carducci che tutti noi abbiamo sicuramente imparato a memoria durante le scuole elementari.

Per Estate di San Martino si intendono quei giorni intorno all’11 novembre, giorno del Santo, caratterizzati da una temperatura più estiva che autunnale e da bel tempo. Un periodo mite, con assenza di precipitazioni e prevalenza di schiarite, che nell’emisfero boreale si verifica proprio in concomitanza del giorno in cui si celebra il Santo, in quello australe, invece, tra aprile e maggio.
Secondo un proverbio, l’Estate di San Martino dura “tre giorni e un pochino” e ha origini religiose. Il nome con cui viene indicato questo periodo autunnale in cui, dopo il primo freddo, si verificano bel tempo e temperature miti, deriva dall’episodio del mantello che il Vescovo di Tours donò a un povero in una fredda giornata, facendo spuntare un caldo sole.

Valore della civiltà contadina

Il folklore popolare presenta molte analogie con la tradizione religiosa dei popoli; entrambi, infatti, traggono origine da un miscuglio di miti e leggende, usanze e credenze che risalgono ai primordi della civiltà o ad antichità remote che si ispirano a pratiche religiose d’indubbio sapore paganeggiante.
Oggi la nuova cultura antropologica, coadiuvata dal risveglio delle dottrine politiche e democratiche che valorizzano la multietnicità, va alla scoperta di quella civiltà ancestrale che la società industriale ha tentato di soppiantare con una diversa scala di valori identificabili nella produttività, nel mito del benessere e del consumismo, nella capacità imprenditoriale di sfruttamento delle risorse naturali e umane.

Con l’avvento della società post – industriale, parzialmente soppiantata dalla civiltà del terziario e della tecnologia avanzata, vengono riscoperte la cultura contadina e la civiltà rurale, tanto vilipese anche se sostanzialmente aperte al mondo dell’irrazionale, alla concezione religiosa della vita, all’unità organizzativa della società naturale il cui epicentro era la famiglia.

La famiglia epicentro della civiltà contadina

La società naturale, su cui si basava storicamente e tradizionalmente la civiltà contadina, era quindi la famiglia intesa come centro di gravitazione della convivenza umana con il parentado, il vicinato, la comunità. Dalla famiglia, attraverso la generazione adulta (nonni e nonne), si dipartivano e rafforzavano le varie linee di socialità nei rapporti con i figli, i nipoti, i consanguinei, per giungere ad un armonico inserimento della vita familiare nel più vasto contesto della convivenza sociale.
La famiglia è sempre stata l’istituzione più radicata della civiltà contadina. La cultura contemporanea, da quasi un secolo, ha messo in discussione l’istituzione della famiglia patriarcale, ieri largamente contestata oggi largamente superata. Rimane, comunque, il fatto che la generazione anziana del mondo rurale ha sempre svolto un ruolo primario nel trasmettere un ricco patrimonio culturale di saggezza e di conoscenza che si è tramandata e si è conservata da una generazione all’altra.
La storia della civiltà contadina è sempre stata profondamente legata ai confini della propria terra, alla propria identità, alle proprie tradizioni, alle proprie norme di vita che affondavano le radici nell’anima popolare. Le tradizioni popolari del mondo contadino non si esaurivano soltanto nella famiglia e nell’attaccamento alla terra, ma si radicalizzavano nel sostanziale legame con la natura e la religione. Natura e Sopranatura non erano direttamente distinte, ma si confondevano a causa d’una insufficiente formazione religiosa, spesso inficiata di superstizione.

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