“Ave Caesar, morituri te salutant”. Storia e origine del lago del Fucino

“Ave Caesar, morituri te salutant”, ovvero Ave Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano; la celebre frase, divenuta motto, ebbe origine dalla grande “naumachia” tenuta sul lago del Fucino, ovvero le spettacolari battaglie navali, che venivano tenute per gioco dagli antichi Romani, solitamente sui laghi che si prestavano anche per l’assenza di onde.

La frase non fu pronunciata da dei valorosi gladiatori, ma bensì da dei galeotti condannati a morte, all’Imperatore Claudio, in occasione del 52 anno  d.C. , per l’inizio della bonifica del lago, che sarebbe stato prosciugato e il suo fondale relegato all’agricoltura.

Oggi la frase, ancora celebre viene utilizzata in modo ironico per sdrammatizzare quando si deve partecipare a qualche attività rischiosa e dall’esito probabilmente infausto, magari dietro ordine perentorio di qualcuno.

Il lago, come molti altri luoghi dove era presente l’acqua, elemento che i Romani amavano particolarmente, era stato inizialmente utilizzato come luogo di villeggiatura, ma già a quei tempi si iniziò a valutarne la bonifica, che poi dopo molti altri interventi, venne effettivamente completata durante il Fascismo.

I motivi erano da ricercarsi nelle frequenti inondazioni che danneggiavano le agricolture limitrofe, alla presenza di ristagni che rendevano la zona palustre e soggetta al propagarsi della malaria; una prima bonifica venne tentata da Giulio Cesare, che però morì prima di portare a compimento il suo progetto.

A tentare di coronare il sogno dell’Imperatore tra gli Imperatori, fu quindi il successore Claudio , secondo quanto riporta Svetonio, impiegando oltre 30.000 uomini tra schiavi e operai, in un arco temporale di 11 anni, con lavori incessanti di giorno e di notte 24h su 24h.

Le squadre, sparpagliate in un tratto di circa 5,6 km scavarono un canale che attraversava anche il Monte Salviano, fino a raggiungere il fiume Liri, dove avrebbe dovuto drenare le acque; ma le numerose frane occorse durante i lavori, soprattutto nella zona della montagna resero difficile l’impresa che una volta portata a termine fu celebrata con la Naumachia, dove fu pronunciata la frase poi divenuta celebre, versando il sangue di 19.000 galeotti.

Ma se dapprima le acque non erano potute confluire per la grandezza della galleria, ad effetto contrario accadde che a causa di alcune frane, durante i festeggiamenti ci fu una ondata di ritorno che travolse anche il palco dove la famiglia imperiale stava banchettando; di questo vennero accusati i liberti Pallante e Narciso, che tuttavia neanche erano architetti, ma semplici prefetti incaricati dei lavori.

La bonifica vera e propria arrivò grazie ai Torlonia, nel 1878 e il 1 ottobre del lago non rimaneva quasi più nulla, strappando alle acque ben 16.507 ettari di terreno limaccioso, fertile e coltivabile, di cui però solo 2500 vennero assegnati alla comunità locale, mentre il restante fu assegnato ad Alessandro Torlonia, che tuttavia pose il fulcro dei propri affari su quella zona, incrementandone sia la modernizzazione che l’economia, in quella che fino a prima era un’area depressa e abbandonata sotto ogni profilo produttivo.

La zona però era carsica, soggetta a fratture e a terremoti; quello del 1915 occorso il 13 gennaio, mentre l’Italia doveva fronteggiare ingenti spese economiche nella 1° Guerra Mondiale, colpì la Marsica e parte dell’Italia Centrale, uccidendo 30.500 persone e radendo al suolo Avezzano che perse l’80% della popolazione, seguirono un migliaio di repliche meno forti nei mesi successivi.

Nell’area del Fucino, che per altro era stata epicentro del sisma si formarono scarpate di faglia, spaccature nel terreno, vulcanelli di fango , frane che ostruirono gli emissari, cambiamenti chimici delle acque e variazioni topografiche, ciò rese necessario nel 1920 un deciso intervento di restauro dei tratti di galleria occlusi ed un nuovo drenaggio del lago utilizzando tecniche più moderne rispetto agli anni passati.

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