Cancro, una lotta dall’alba dei tempi

Oggi si dà molto risalto al cancro, quasi come se fosse la malattia più diffusa dei nostri tempi, una cosa recente, una peste del 2000; tuttavia a smentire questa ipotesi ci hanno pensato archeologi e paleontologi, che hanno riscontrato la prima forma tumorale maligna in un ominide vissuto ben 1,8 milioni di anni fa.

Era sicuramente un evento raro rispetto ad oggi, poiché a quei tempi, l’aspettativa di vita, era talmente bassa, che i nostri antenati andavano incontro a molte meno “replicazioni cellulari”, rispetto a noi, che oggi invecchiamo e riproduciamo le nostre cellule in maniera continua, fin che non impazziscono.

Sono poi presenti sicuramente fattori esterni e genetici, come ad esempio le radiazioni solari, o la predisposizione mitocondriale, che hanno favorito i tumori del passato, ma via, via, che l’umanità evolveva, sono entrati in gioco anche fattori atmosferici,con i primi inquinamenti dell’aria causati dalla combustione di legna, prima, carbone poi, sostanze chimiche oggi.

Storia dell’Oncologia

Anche l’Oncologia, la medicina che studia e cura i tumori, ha origini antichissime, basti pensare che, il primo trattato di cui si ha notizia, è testimoniato nel papiro egizio di Kahun del 1850 Avanti Cristo, in cui viene dettagliatamente descritto un cancro all’utero, mentre un altro documento, il papiro egizio di Eberes del 1550 a.C., tratta della condizione di non curabilità della patologia.

L’incurabilità delle neoplasie, viene descritta anche da Ippocrate (vissuto tra il 460-370 a.C.), il quale attribuiva all’origine delle malattie “l’armonica mescolanza dei quattro umori”; proprio ad Anagni è possibile ammirare nella Cattedrale un affresco dedicato al medico aforista greco ed a Galeno.

Secondo Ippocrate alla rottura dell’equilibrio dei quattro umori, corrispondeva una malattia ed il prodotto dell’accumulo di bile nera nei tessuti, era quello che producevano i tumori maligni; fu sempre Ippocrate a definirli “carcinoma”, la cui radice etimologica è “granchio”, dal greco “karkinos”, associando la malattia a questo animale che con una morsa dolorosa divora i tessuti.

Il medico greco, suggeriva di trattare i tumori esterni con sostanze emollienti e con la cauterizzazione, mentre sconsigliava di operare sui “tumori occulti”, perché a suo dire i malati che venivano curati vivevano meno di quelli che venivano lasciati al loro destino.

Associandosi agli studi di Ippocrate, Galeno, che visse  tra il 129 e il 201 d.C., cercò di riformulare la patogenesi dei tumori con i suoi trattati, utilizzando il termine “cancro” laddove vi fosse una malattia caratterizzata dall’ingrossamento  di un organo o una protuberanza, associando stavolta l’animale alle vene gonfiate dal tumore, che ne ricordavano le zampe.

Secondo Galeno, bisognava impedire alla bile nera di raggiungere un determinato tessuto per impedire lo sviluppo della malattia, il paziente veniva curato attraverso medicamenti, dieta equilibrata e somministrazione di veleni, oppure nei casi più gravi l’asportazione chirurgica o la cauterizzazione, ovvero bruciare con un ferro incandescente le carni malate.

La teoria degli umori, è stata lungamente tenuta in considerazione dalla medicina, rallentando lo sviluppo dell’oncologia; fu Paracelso a smontarla, assieme ad Andrea Vesalio, nel Rinascimento, sebbene solo nel ‘700 si iniziò a comprendere che il cancro non fosse una malattia generale dovuta a cause esterne, ma locale.

Percival Pott, chirurgo inglese, nel 1775 identificò un cancro che si manifestava per chi svolgeva una determinata professione, difatti esso venne denominato “cancro scrotale degli spazzacamini”, ed insorgeva in chi stava a stretto contatto con la fuliggine, similmente nel 1795, il medico tedesco Samuel Thomas Sommering, associò il tumore del labbro ai fumatori di pipa.

La rivoluzione in campo oncologico si avrà solo nel corso dell’ottocento, grazie al ricercatore Rudolf Virchow, che affermò che per scoprire la eziopatogenesi del cancro, bisognava indagare sulle cellule tumorali dal punto di vista istologico e fisiologico, suggerendo che anche un “indaffarato chirurgo, se voleva ottenere risultati, doveva darsi da fare con istologia e microscopio”; purtroppo Virchow, venne osteggiato dai moti del ’48, dove un sentimento germanofobo germogliò tra le nazioni, che si chiusero in autarchia e nazionalismo, anche nel campo scientifico, evitando qualsiasi collaborazione.

Lo “sperimentalismo oncologico”, venne introdotto da Calude Bernard, seguito poi da molti altri, tra cui l’italiano Francesco Sanfelice, padre della “Sieroterapia”, sperimentata in precedenza sugli animali, abbracciando la teoria dell’”eziologismo esterno”, che poi verrà confutata e superata “dall’eziologismo interno”; la teoria di Sanfelice, fu progenitrice della scoperta dei “virus oncogeni” di Peyton Rous, che nel 1966 ha ricevuto il Premio Nobel per la Medicina, avendo dimostrato nel 1911 che il sarcoma dei polli poteva essere generato con l’iniezione di un agente submicroscopico.

Importante il contributo italiano da parte di Gaetano Fichera, che elaborò la teoria del “disequilibrio oncogenico”, basata sull’ereditarietà e la predisposizione per una mancata resistenza agli stimoli oncogeni, mentre Pietro Rondoni, successore di Fichera alla direzione dell’Istituto Nazionale Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura del cancro, si accorse che tra tumori e genetica esisteva un nesso.

Oltre al bisturi, nacquero le prime cure moderne, come la radioterapia nel 1895 con la scoperta dei raggi X; nel 1896, furono usate per la prima volta le radiazioni per curare una neoplasia alla mammella, mentre bisognerà aspettare i primi del ‘900 per la chemioterapia, scoperta da Paul Ehrlich; il tedesco si accorse che alcuni prodotti chimici erano in grado di distruggere alcune malattie infettive, ad applicarla in campo oncologico nel 1946 furono i ricercatori A. Gilman e F.S. Philips, scoprendo l’effetto curante delle mostarde azotate su alcuni organismi affetti da tumori.

Se da una parte l’oncologia era nata prevalentemente supportata dalla chirurgia, con l’avanzare dei tempi e delle tecnologie, progredì anche essa cooperando con le nuove cure, anche per l’aumento delle malattie metabolico-degenerative, rispetto alle malattie infettive, grazie a una maggiore attenzione all’igiene e al progresso scientifico farmacologico.

Tipi di tumore più diffusi e statistiche

In Italia vengono diagnosticati 1000 nuovi casi di cancro ogni giorno, con ben 373,300 tumori all’anno, di cui il 52% colpisce gli uomini e il 48% le donne; la stima prevede che nel corso della propria vita, un uomo su due e una donna su tre si ammaleranno di tumore; a pensarci sono numeri terribili, visto che dalla statistica sono esclusi i tumori della pelle, classificati a parte a causa della difficoltà di distinguere forme più o meno aggressive, come riporta AIRC, dai dati raccolti nel 2018.

Sebbene siano alte le statistiche, i tumori sarebbero in riduzione rispetto al passato, grazie forse a stili di vita più attenti e alla modernizzazione di impianti inquinanti, sono altresì aumentate le prospettive di guarigione, salite al 63% per le donne e il 54% per gli uomini, sopravvissuti a 5 anni dalla diagnosi.

Il merito dell’aumento di prospettiva di guarigione è stato dato anche dalle campagne di screening, che consentono di individuare la malattia a uno stadio iniziale, in cui è facile debellarla, è importante quindi fare controlli mirati e con cadenza regolare.

In particolare, secondo le stime, i tumori più diffusi sono quelli del colon retto con un indice del 13,7%, della mammella con il 14,1% , il polmone all’11,1% e la prostata al 9,5%, ad esclusione dei carcinomi della cute, i tumori più diffusi tra gli uomini sono il tumore della prostata, della vescica, del polmone, colon retto e rene; tra le donne invece, il tumore della mammella, colon retto, polmone, tumore alla tiroide e quello del corpo dell’utero.

I decessi riportati dai dati Istat per tumori maligni, in Italia, riferiti all’anno 2014, sono un totale di 177.301 morti (94.412 uomini e 77.889 donne), con una frequenza media di 3,5 decessi ogni 1000 uomini e 2,5 ogni 1000 donne, portando a calcolare che in media un uomo su tre e una donna su sei muoiono a causa del tumore; la mortalità è in calo su entrambi i sessi, ma l’invecchiamento della popolazione rende le morti per tumore il valore più alto in assoluto, è difficile percepirlo, ma viene riscontrato tra i giovani dai 0 ai 19 anni, la cui mortalità è di un terzo rispetto agli anni ’70.

Sconfiggere il tumore, non vuol dire comunque essere fuori pericolo al 100%, la sopravvivenza viene influenzata da due elementi, la diagnosi precoce e la terapia; grazie alla diagnosi precoce, ricevuta attraverso i programmi di screening, è più facile ricevere cure efficaci, meno invasive e parallelamente, lo sviluppo di nuove tecnologie oncologiche ha favorito una maggiore probabilità di sopravvivenza.

Nei 5 anni successivi alla diagnosi, gli esami di controllo sono molto ravvicinati e permettono di stabilire la cosiddetta “sopravvivenza libera da malattia”, in Italia le percentuali sono tra il 62% per le donne e il 55% per gli uomini, aumentando a livello individuale man mano che cui si allontana dai 5 anni dalla diagnosi.

In particolare, dal quinquennio, più si va avanti negli anni, il tasso di sopravvivenza arriva al 91% per tumore della prostata e all’87% per quello al seno, che sono anche tra i tumori più frequenti; il cancro resta la seconda causa di morte per il 29%, primi solo i decessi legati a malattie cardiovascolari, ma chi sopravvive a tumori minori, come quello dei testicoli, corpo dell’utero, melanoma, linfomi di Hodking e in misura minore colon retto, ha le stesse speranze di sopravvivenza della popolazione mai colpita da neoplasia.

Secondo i dati, il 5,6% della popolazione vivente italiana si è ammalato di tumore, con circa 3 milioni e 400mila pazienti oncologici, l’Italia, è allineata sulle percentuali di sopravvivenza, ad altri paesi Europei, Australia e Stati Uniti.

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