La rivolta di Subiaco

Che i sublacensi fossero un popolo di scorza dura, era già emerso in passato, con alcune ribellioni contro l’Abbazia,che addirittura avevano portato quasi alla distruzione della Rocca, ma ve ne fu una significativa nel 1454 secondo la tradizione, dovuta a una serie di eventi molto particolari.

Si tratta molto probabilmente di una leggenda, o di fatti storici pervenuti distorti, incompleti o artefatti, che tuttavia riporteremo in un racconto, per dovere di cronaca, così come riportati dalla tradizione popolare.

Secondo quanto pervenuto, dodici giovinastri, provenienti da famiglie nobili e borghesi, che si erano dati appuntamento con i propri mastini lungo la via dei Monasteri con i loro mastini, furono la causa della sommossa popolare che seguì.

I mastini erano cani di moda in quell’epoca, tra i ricchi , che spesso li usavano per combattimenti e come vanto tra i popolani, erano comunque animali solitamente molto feroci, addestrati a uccidere e usati probabilmente anche nella caccia a grosse prede, come i cinghiali.

Mentre i ragazzacci ridevano e scherzavano tra di loro, uno dei cani si liberò dal guinzaglio attaccando gli altri e ne scaturì una rissa feroce, che invece di venire sedata dai proprietari veniva incitata tra grida selvagge e ringhi rabbiosi.

Purtroppo accadde l’imprevedibile, o meglio qualcosa che sarebbe potuto essere previsto, ma i giovani erano troppo occupati nel far fronteggiare i cani; sulla strada stavano facendo ritorno due monaci, diretti a San Benedetto, che erano già stati comunque fatti oggetto delle angherie e degli scherzi della banda.

I cani, intravisti i due monaci, che i ragazzi erano soliti aizzare contro, tenendoli però legati, smisero di litigare tra di loro e riconoscendo i due come un “nemico”, vi si lanciarono contro!

Uno dei giovani, un tale Andrea Cerchi, possessore del cane che aveva scatenato il putiferio cercò di fermarli, ma gli altri divertiti dalla situazione, eccitati dal sangue e dalla pazzia, incitarono ancora di più i propri cani, pensando che tutto forse si sarebbe risolto con qualche moros e un grande spavento per i due poveretti.

Tuttavia, non fu così, i due monaci finirono letteralmente sbranati, intanto le loro grida avevano attirato l’attenzione di altri monaci e di alcune guardie, che intervennero uccidendo un paio di cani con archibugiate; i giovinastri per tutta risposta scagliarono dei sassi contro gli armigeri, che alla fine li trassero tutti quanti in arresto, conducendoli al Monastero.

A quei tempi governava l’Abate Guglielmo II, che era un uomo molto severo e soprattutto affrettato nei giudizi; infischiandosene dei titoli e della provenienza dei ragazzi, che facevano tutti parte di facoltose famiglie di Subiaco, ordinò dapprima che fossero gettati dalle torri della Rocca Abbaziale, poi, forse perché qualcuno di essi mancò di rispetto, ordinò alle guardie che morissero lentamente.

I giovani condotti alla Rocca, furono strangolati la notte stessa nelle loro celle, senza subire un processo, i corpi la mattina seguente vennero esposti su una collina, legati con corde e quel luogo prese infatti il nome che ancora oggi conserva: “Colle delle Forche”.

Quando i corpi vennero trovati, lo sdegno, l’incredulità e la rabbia della popolazione presero il sopravvento, le famiglie influenti dei giovani mobilitarono i propri soldati mercenari e i contadini o i braccianti al proprio servizio, coinvolgendo quasi tutta la città, che si riversò verso i Monasteri, che furono presi d’assedio.

Guglielmo II riuscì a fuggire, portato in salvo dai soldati, ma diversi monaci morirono, chi trafitto sul momento e chi gettato dalla terrazza sulla rupe o defenestrato, fu un vero massacro, dettato dalla vendetta e dal rancore che da tempo covava, già dai tempi dell’Abate Angelo da Monreale.

Papa Callisto III, invio in primo acchito Giovanni De Torquemada, zio del terribile inquisitore Tommaso, a ristabilire l’ordine con la forza, poi successivamente, comprendendo l’impossibilità di continuare la precedente forma di governo, istituì la Commenda Cardinalizia nel 1456, di cui Giovanni fu il primo Abate Commendatario, forma di governo che durò fino al 1915.

Torquemada che non era uno sciocco, usò la frusta e il bastone del comando a distanza, vivendo a Roma, lasciando autonomia ai due Priori di Santa Scolastica e San Benedetto, limitandosi solo a visite fugaci, quando era strettamente necessario.

Le fonti storiche su questo evento sono frammentarie e richiamano più a una tradizione popolare che a un fatto storico effettivamente accaduto; basti pensare al numero dei giovinastri, che coincide con quello degli apostoli; è anche abbastanza inverosimile, che l’Abate avesse deciso di uccidere dodici persone senza un processo, soprattutto sapendo che così avrebbe scatenato l’ira di dodici importanti famiglie.

Quindi è più probabile che lo sfratto di Guglielmo II sia imputabile all’uccisione di alcuni ribelli, che avevano aggredito deliberatamente i monaci o le guardie, cercando con un colpo di mano di prendere il Monastero. Storicamente è accertato che egli fu comunque deposto.

Altre fonti, come il testo “Ferdinand Gregorivs-Ricordi storici e pittoricid’Italia” del 1865, asseriscono che i giovani fossero 15, che i monaci non furono sbranati, ma feriti e sporsero querela all’Abate, che mandò i suoi arcieri ad arrestare i giovani nella notte, che poi furono impiccati su un patibolo all’alba al Colle delle Forche.

Pur essendoci questi riferimenti, la nostra analisi rimane comunque quella di un enfasi su fatti storici realmente accaduti, ingigantiti nel corso degli anni dalla tradizione popolare-orale.

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